Che tempi sta passando la televisione – quel luogo ultraterreno che è il grande tv show per la precisione – dopo un decennio di massificazione dell’on demand e della consumabilità di contenuti su piattaforma, che devono prima di tutto essere condivisibili e poi imprigionare l’attenzione per quei 20 secondi massimi dopo i quali già si passa ad altro? Matt Steinbrenner, che ha appena portato a casa un grande successo firmando la scenografia degli Mtv Video Music Awards 2023, costruendo quel nesso visuale che per poche ore ha accomunato nomi come Taylor Swift, Beyonce, Blackpink, Nicki Minaj e Shakira, sembra la persona giusta a cui chiederlo. Nome giovane ma tutt’altro che nuovo sulla scena, Steinbrenner si è già fatto notare fin dalla sua collaborazione agli Oscar 2008, combinando la ricerca di innovazione nel design con le complessissime dinamiche della galassia televisiva sviluppando grandi produzioni, come appunto i Vma nelle edizioni 2016 e 2021.
Come si disegna la scenografia di uno show nell’epoca della tv verticale?
La magia dell’imprevedibile, i contenuti da consumare e condividere, gli schermi che diventano orizzontali e poi tornano verticali: abbiamo parlato di questo, e di creare l'immaginario per Oscar e Vma, con lo scenografo Matt Steinbrenner.
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- Giovanni Comoglio
- 02 ottobre 2023
Per il 2023 si è trattato di affrontare una sfida di scala, ci racconta subito, in un’arena con una bassa capacità di portata sospesa si è trattato di collocare l’enorme casco simbolo dei Vma su una zavorra di quasi 7 tonnellate, e di integrare i tre palchi dello show – quello centrale dove si consegnano i premi è il palco centrale – in un’unica grande scultura. “Il modo in cui le onde audio vengono visualizzate è stato il punto di partenza per il concetto: le onde audio che attraversano l’arena e quello che lascerebbero una volta esaurita la scia dello spettacolo. Se potessimo congelare quel momento e visualizzarne l’audio, che aspetto avrebbe?” e così le onde audio arrivano ad incidere il casco del Moon Man mentre accompagnano l'ingresso di tutti i presentatori sul palco.
È stato un monumentale rituale di celebrazione della cultura pop, e cosa questo possa significare dipende in gran parte da come il “pop” viene visto da coloro che concepiscono e sceneggiano lo spettacolo. Un vero e proprio manifesto di design. “Per me, la bellezza della cultura pop sta nel fatto che nasce dai personaggi stessi che vanno in scena. Non appena si passa allo spettacolo dal vivo e i fan invadono la sala, il livello di energia aumenta enormemente e l’intero spazio assume un atteggiamento completamente nuovo: quindi, dal punto di vista del design, come possiamo tradurre quell’energia dalla sala alla televisione?”. Ricorda Steinbrenner.
Quello che gli show televisivi, soprattutto quelli a cui lavoro, offrono di unico è quel momento di live, in cui l’imprevedibilità pervade tutto.
“Nei Vma cerchiamo di incorporare l’energia dei fan, mescolata alla scenografia e agli artisti sul palco, in modo che si abbia la sensazione che tra le celebrities e coloro che guardano da casa non ci sia una barriera: vedono persone proprio come loro, a pochi passi dalle celebrità stesse”. E, cosa più sorprendente, la scenografia non si sviluppa intorno alle personalità che partecipano allo spettacolo: “Di solito non sappiamo nemmeno chi parteciperà allo show fino a quando non è sorprendentemente tardi. Il mio compito come production designer dello spettacolo è quello di creare l’ambiente e il tono, ma anche di fornire un ambiente sufficientemente flessibile, in modo che quando Shakira vuole entrare e esibirsi in un enorme tunnel di pietra, possiamo portare quel design in scena direttamente durante le riprese dello spettacolo dal vivo”.
Potrebbe sembrare un approccio abbastanza senza tempo, non soggetto a chissà quale cambiamento, e invece molto è cambiato nel corso dei due decenni di carriera di Steinbrenner; il senso stesso degli show televisivi è stato messo in discussione. La tecnologia, innanzitutto – “quando ho iniziato, tra 2006 e 2007, la tecnologia video disponibile per le scenografie era piuttosto limitata: video standard, pannelli Led, pochi tubi Led o prodotti che concedessero un minimo di creatività – e poi un cambiamento nel gusto del design, che si è spostato verso linee più fluide e snelle. “Ripenso ai primissimi Oscar a cui ho lavorato nel 2008”, ricorda Steinbrenner, “il progettista era Roy Christopher, che ha disegnato circa 17 Oscar nel corso della sua carriera, uno scenografo geniale che apparteneva ancora a un’epoca di scenografie molto teatrali, quasi operistiche, con enormi statue dell’Oscar sul palco, molte prospettive trompe-l’oeil, molta architettura, tra forme voltate e grandi piastre sceniche che si stendevano verso il pubblico inglobando la statua: è stato un grande onore lavorare con lui, ma anche la fine di un’epoca. È stato il suo ultimo progetto scenico per gli Oscar prima di ritirarsi. Ho poi lavorato con Derek McLane, un designer di Broadway con un approccio molto diverso, per gli Oscar del 2015 e del 2016, e mi sono trovato immerso in un nuovo modo di progettare, con dettagli molto più fini, su scala molto più piccola, con componenti sceniche in sequenza che componevano grandi panorami sul palco. Era già un’altra epoca”.
Il mio compito come production designer dello spettacolo è quello di creare l’ambiente e il tono, ma anche di fornire un ambiente sufficientemente flessibile, in modo che quando Shakira vuole entrare e esibirsi in un enorme tunnel di pietra, possiamo portare quel design in scena direttamente durante le riprese dello spettacolo dal vivo.
Se Steinbrenner ci parla di ciò che sta accadendo nel design degli show televisivi con lo sguardo di chi parla di evoluzione, è perchè per lui vita e professione sono andate avanti sullo stesso sentiero nel corso degli anni: “Ho iniziato a progettare scenografie teatrali al liceo, e davvero era semplice come pensavo”, racconta, “mi hanno letteralmente detto ‘se ti va di progettare delle scenografie, qui non abbiamo scenografi’. Sono sempre stato interessato al design e all’arte e mi piaceva giocare con i Lego e con i piccoli diorami che facevo da bambino dentro le scatole delle scarpe, e a un certo punto tutto questo s’è trovato a coagulare in questa modalità di progettare mondi super effimeri, ci veniva l’idea, la progettavamo, costruivamo muri di pietra con il polistirolo dipinto, facevamo lo spettacolo, poi tutto veniva tirato giù. Mi piaceva questa assenza di limiti tra quel che doveva essere reale e quel che non lo era, il rapido passaggio da uno spettacolo all’altro”.
È però frequentando un conservatorio a Cincinnati e studiando teatro, musica e performance, che si è avvicinato al mondo della televisione: “Ho trovato lavoro presso un designer di Los Angeles che si occupava sia di televisione che di teatro. Per una serie di eventi molto fortunati, trovandomi nel posto giusto al momento giusto, mi sono fatto strada in Tribe, una socieà che si occupava di progettare concerti e spettacoli televisivi. Tra cui quell’Halftime Show del Super Bowl dove la star era Prince. Così, nel giro di un anno della mia vita, sono passato dal teatro universitario e dall’opera a lavorare all’Halftime Show forse più iconico della storia”.
Eppure, a distanza di qualche anno, la televisione si è trovata ad affrontare la sfida più difficile, quella della convivenza con il digitale e i social media. Non si tratta solo di una questione tecnologica, ma di una vera e propria domanda di scenario per il design, come dire: c’è qualche possibilità per la TV nel contemporaneo? “Sono convinto di sì” è la risposta lapidaria di Steinbrenner. “Quello che gli show televisivi, soprattutto quelli a cui lavoro, offrono di unico è quel momento di live, in cui l'imprevedibilità pervade tutto.
Sappiamo anche che molto degli show viene consumato a spizzichi e bocconi sui telefoni, quindi confezioniamo lo show col più possibile di momenti ad alta energia (emotiva e spettacolare) perché sappiamo che, soprattutto con i social media e la quantità di informazioni cui le persone sono esposte nella loro vita quotidiana, tutto deve essere consumabile, costantemente pieno di energia e interesse. E dal punto di vista del design, ironia della sorte, dopo che siamo passati dal formato schermo 4:3 a quello orizzontale in 16:9, ora dobbiamo reintrodurre anche la visione verticale, considerando entrambi i formati come termini dell’equazione progettuale, anche per i Vma. Quest’anno, per l’esibizione di un artista Kpop, abbiamo ritagliato l’inquadratura a schermo in modo che fosse già in formato iPhone”.
A quanto pare, però, questa non sarebbe stata la sfida più difficile affrontata da Steinbrenner nella sua carriera. Si è trattato piuttosto dei Vma del 2021, mentre ci si avviava verso la conclusione pandemia: una scenografia molto ambiziosa, un enorme Moon Man gonfiabile, molte incertezze – non sapevamo se l’avremmo fatto in un’arena o in studio – e un inizio ritardato, e lì si è trattato di agire di pancia, molto: “È stata forse la volta in cui più ho fatto ricorso alla reazione istintiva, che io mi ricordi, ed è stato uno dei più bei design concept che abbiamo creato per i Vma: lì non c’è stato tempo per questionare ogni nostra decisione, quindi siamo particolarmente orgogliosi del successo che abbiamo avuto, agendo d’istinto”.
Resta l’ultima domanda: Un progetto a cui vorresti lavorare?
“Mi piacerebbe progettare la cerimonia degli Oscar, prima o poi. Ho avuto modo di lavorarci come parte del team di progettazione. Ma poter essere il progettista titolare e far sì che la mia visione creativa sia la cosa che vedrà realizzata sul palco, sarebbe un grande onore”.
Immagine di apertura: Mtv VMA 2023. Foto Justin Schmalholz