Design sociale tra i piatti

A Milano, un ristorante da 28 coperti gestito dalla chef Caterina Malerba mette in atto un progetto di impronta sociale con un team di carcerati, trasformati in falegnami dal designer Francesco Faccin.


Recupero. È sicuramente, in estrema sintesi, il concept del nuovo ristorante aperto in via Corsico 1, nel cuore dei Navigli milanesi, ai primi di aprile, in concomitanza con il Salone del Mobile. Si è trattato innanzitutto del recupero di un ex karaoke chiuso da anni, poi di quello di legno di scarto, trasformato in elementi d’arredo da un nuovo laboratorio formato da detenuti—le cui competenze manuali sono state così riutilizzate—e infine dei sapori della cucina calabrese, rivitalizzati dall’interpretazione della chef Caterina Malerba.

Il progetto che ha portato a far aprire le due vetrine di 28Posti—tanti saranno i coperti del ristorante, anche se con la bella stagione potranno aumentare sistemando altri tavoli nella strada pedonale—nasce come costola dell’attività di Silvia Orazi e Gaetano Berni, che con Liveinslums hanno dato avvio a progetti di riqualificazione ambientale e sociale ad ampio spettro in Kenya e al Cairo: dall’organizzazione di mostre e conferenze all’ecoturismo, dall’agraria all’architettura.

All’interno del Bollate Lab sono statio costruiti tavoli, porte e armadiature disegnati da Francesco Faccin e realizzati con il contributo del maestro ebanista Giuseppe Filippini. Il laboratorio continuerà a sviluppare progetti legati al cibo e non solo, con un fitto programma di ospiti esterni appartenenti al mondo del design milanese, che potranno creare e interpretare una nuova linea arredi insieme ai detenuti. Foto Filippo Romano


L’incontro con Francesco Faccin avviene per lo sviluppo di uno di questi progetti, lo scorso autunno: la realizzazione dei mobili per la Whynot Junior Academy dello slum di Mathare, a Nairobi (pubblicati sul numero 967 di Domus dello scorso marzo). È proprio dal comune entusiasmo per la creazione ex novo del laboratorio artigianale keniota che ha realizzato porte, banchi, tavoli e sedie per la scuola, istruito per continuare il proprio lavoro in autonomia, che è nata l’idea di collaborare al programma di lavori socialmente utili dell’Istituto Penitenziario di Bollate, struttura simbolo di reclusione rieducativa.

Da tempo Silvia e Gaetano avevano in mente di entrare nel campo della ristorazione e avevano avviato una ricerca tra gli chef stellati, individuando proprio in Caterina Malerba—originaria di Pizzo Calabro—l'esponente di una cucina a metà strada tra tradizione e sperimentazione, capace di dar vita a un ristorante con una forte identità: i suoi piatti, messi a punto nel corso di quasi vent’anni di ricerca, prendono le mosse da ricette che valorizzano la bontà di materiali di prima scelta e l’equità dei processi di produzione, grazie all’accostamento di ingredienti particolari. Con il coinvolgimento per l’arredo di Francesco—che ha anche curato il progetto architettonico insieme a Maria Luisa Daglia e Gaetano Berni—il progetto di 28Posti ha trovato l'ultimo elemento per decollare, in linea con lo spirito di utilità sociale delle due anime di Liveinslums.

La chef Caterina Malerba, originaria di Pizzo Calabro, ha elaborato un ricettario di qualità e dal gusto ricercato che affonda le proprie radici nei piatti della tradizione. I piatti compresi nel menù vengono realizzati al momento, con prodotti freschi e stagionali; i pani del ristorante sono autoprodotti con farine a lievitazione naturale; viene privilegiato l'utilizzo di prodotti agricoli e caseari di provenienza biologica e a km zero. Foto Filippo Romano


La squadra scelta per costituire il Bollate Lab si è messa all’opera per realizzare, i soli tre mesi, i tavoli, il bancone all’ingresso, le credenze, le porte e la boiserie, elementi che hanno costituito la base degli interni del ristorante—insieme a una versione con finiture in tessuto della sedia Pelleossa disegnata da Faccin per Miniforms e alle PET lamps, nate dal riciclo di bottiglie in plastica e frutto di una collaborazione di Alvaro Catalán de Ocón con gli indios colombiani (vedi Domus 967).

Sono otto gli addetti al laboratorio di falegnameria, detenuti che non possono uscire dal carcere ma che sono stati individuati dagli educatori per le loro capacità manuali e quindi affidati, durante tutto il percorso di formazione e lavoro, a Faccin e al maestro ebanista Giuseppe Filippini (storico collaboratore di Michele De Lucchi e con alle spalle vent’anni di lavoro in Artemide).
Anche se l’attività del laboratorio non è mirata a far loro acquisire una professionalità da coltivare in futuro, una volta liberi (nel Lab sono coinvolti prevalentemente ergastolani), rappresenta pur sempre una possibilità di redenzione, un modo costruttivo per passare il proprio tempo, per coltivare quell’etica del lavoro che fa sentire socialmente utili, e apprezzati.

Le lampade (distribuite in Italia dalla Galleria Rossana Orlandi) sono realizzate con il riciclo di bottiglie in plastica, un progetto di Alvaro Catalán de Ocón con gli indios colombiani. Nelle nicchie a parete, oggetti autoprodotti in Kenya. Foto Filippo Romano


Per rispettare una certa etica produttiva, oltre che nell’ottica di contenere il costo finale dei pezzi—che potranno anche essere prodotti autonomamente nel laboratorio e venduti tramite catalogo nello stesso ristorante—gli arredi sono realizzati con legname a basso costo, di riciclo: si usano legni pregiati ma corti, non interessanti dal punto di vista commerciale, oppure ‘rovinati’ dall’esposizione a sole e acqua, tanto da far assumere loro quell’aria vissuta e irregolare che ha però un suo fascino. Il ristorante sarà un banco di prova per questi pezzi, mentre la collezione si arricchirà pian piano con gli accessori ancora mancanti a completare l’arredo del ristorante. Intanto, tra le nicchie in muratura, si scorgono alcuni degli oggetti autoprodotti a Nairobi dalla gente del posto, frutto di un'inventiva nata dalla mancanza di mezzi, avamposto di un nuovo progetto che Faccin e Liveinslums hanno in serbo per il prossimo autunno, a Milano.

I lavori edili sono stati eseguiti dai detenuti dell’Istituto Penitenziario di Bollate, che hanno potuto beneficiare dell’Articolo 21 prendendo parte al cantiere. Il ristorante continuerà a dedicarsi alla reintegrazione professionale di categorie svantaggiate. Foto Filippo Romano


La pianta di 28Posti è semplice, il progetto è incentrato sul locale cucina, visibile già dalla strada e posto accanto al passaggio obbligato all'ingresso, ma ‘aperto’ parzialmente a chi siede al tavolo accanto al desk, di fronte alla feritoia lunga e stretta che lo separa dalla sala: qui, tra una portata e l'altra, si possono osservare le mani di chef e brigata comporre i piatti di portata con grande cura e creatività. La sala è divisa in due ali da una grande madia dalla struttura semplice con dettagli di ispirazione anni Cinquanta, inserita alla base di un'apertura ad arco, e da un muro grezzo; lo spazio tra i tavoli consente di consumare il pasto con sufficiente privacy.

Da una feritoia sulla parete che divide sala e cucina si possono osservare chef e brigata mentre compongono i piatti. La cucina di Caterina Malerba La nostra cucina è attenta alla qualità degli alimenti, al rispetto dell’ambiente e all’equità dei processi di produzione. Foto Filippo Romano



La squadra di Bollate non si è limitata ai lavori di falegnameria. Altri tre detenuti, che beneficiano del trattamento speciale previsto dall’articolo 21 (che consente di studiare o lavorare fuori dalle mura, rientrando la sera), hanno lavorato al cantiere eseguendo i lavori di ristrutturazione per riportare a nudo la struttura originaria del locale, pulendo le travi a vista, installando una putrella di sostegno in ferro, realizzando la pavimentazione in cemento, montando infissi e arredi.

28Posti, così chiamato dal numero dei coperti disponibili in sala, ha due vetrine che danno su via Corsico, una tranquilla strada pedonale in zona Navigli. Ha preso il posto dello storico Karaoke CantaMilano, chiuso e abbandonato da anni. Foto Filippo Romano


Chi ha potuto tra i detenuti ha preso parte all’inaugurazione, orgoglioso e pieno di fiducia in se stesso. Al punto al Bollate Lab hanno già pensato a un progetto parallelo rispetto a quello legato a 28Posti: realizzare mobili a basso costo per abbellire le celle dei compagni di detenzione, da vendere direttamente in carcere. Chi meglio di loro ne conosce esigenze e problemi?

Questa iniziativa spontanea, fuori programma, è una conferma che la strada aperta da Faccin e Liveinslums ha grandi potenzialità, oltre a rendere evidente che il design ha ancora in sé quella carica rivoluzionaria che ha animato i suoi periodi più fecondi, basta applicarlo negli ambiti giusti.


Ristorante 28Posti
via Corsico 1, Milano

Progetto architettonico: Francesco Faccin con Maria Luisa Daglia e Gaetano Berni
Interior design:
Francesco Faccin
Bollate Lab:
Liveinslums + Francesco Faccin e Giuseppe Filippini
Educatori responsabili del progetto:
Catia Bianchi – Matilde Napoleone
Immagine coordinata:
Claude Marzotto
Chef:
Caterina Malerba
Brigata:
Erica Petroni (sous chef) e Andrea Franzoni (commis)
Enti patrocinatori:
Assessorato alle politiche sociali del comune di Milano; Seconda casa di reclusione di Bollate diretta da Massimo Parisi; Camera di Commercio di Milano; Settore artigianato e attività produttive del Comune di Milano