“È una città con case e cimiteri e templi, ma molto speciale, realizzata all'Universidad Católica de Valparaíso. È stata un grande successo e qualcosa di davvero importante per la nostra generazione, perché nel pieno del Postmodernismo, di tutta questa architettura noiosissima, nella nostra scuola c’era un segno. Penso che al momento non sia molto potente, ma è ancora lì nell'immaginario, è ancora lì e lavora nella nostra memoria”.
Queste sono le parole dell’architetto cileno Smiljan Radic, che dialogando qualche anno fa con Hans Ulrich Obrist sulle pagine di Domus (1020, gennaio 2018) evocava la Ciudad Abierta (Open City), un’esperienza di comunità e formazione ad oggi unica, e soprattutto ad oggi ancora viva e in evoluzione, nata nel 1971 a Ritoque, poco distante da Valparaíso, sopravvissuta al buio della dittatura e alla tendenza – tipica dei cenacoli alla Bauhaus e simili – alla cristallizzazione e conservazione statica di quelli che un tempo erano nati come principi rivoluzionari. Come?
Il come sta nella sua natura costitutiva, di comunità nata nel rifiuto dell’insegnamento Beaux-Arts e trattatistico dell’architettura su impulso del professore Alberto Cruz e del poeta Godofredo Iommi; un’idea di comunità che abbandona l’eurocentrismo per ricentrare le sue geografie culturali sull’America, costruendole sulla creazione di un’opera di viaggio poetico chiamata Amereida, e che in una dimensione totalmente orizzontale e collettiva riunisce studenti e docenti (rulli che perdono immediatamente il loro senso e il loro significato gerarchico) attorno alla creazione di atti poetici che potrebbero poi tradursi in architettura.
La poesia è il mezzo per dischiudere, comprendere, il reale e il possibile, è qualcosa di completamente aperto e passeggero come la sabbia delle dune su cui la Ciudad Abierta accoglie viaggiatori e nuovi membri da più di 50 anni, in una città visibilmente priva di una forma normata e riconoscibile; una visione di esistenza e coesistenza che nel febbraio del 1997 porta Domus a scegliere questa esperienza come manifesto di sostenibilità sociale, modello per le comunità urbane del futuro, nel numero 789 integralmente dedicato alla sfida di Progettare la sostenibilità.
Città Aperta, Valparaiso, Cile
Da ormai 25 anni nei dintorni di Valparaiso, in Cile, si sta costruendo una città. Più precisamente si tratta del modello di una città, progettato e realizzato su iniziativa della Scuola di architettura dell’Università di Valparaiso e ispirato all’idea poetica dell’abitare una soglia, un non-luogo, basandosi sull’uso creativo delle risorse esistenti. Il proposito è quello di sviluppare un esempio di architettura in grado di stabilire una nuova identità per la città sudamericana e contemporaneamente di sviluppare in senso spaziale e materiale una nuova forma di esistenza e di società urbana; in sintesi un paesaggio costruito composto di ambienti che esprimono un’utopia sociale.
La valutazione del nostro rapporto con gli architetti europei ci offre questa occasione per presentare la Città Aperta nel modo in cui intendiamo l’idea di “Terrain Vagues”. È questa la collocazione che è stata scelta per il nostro progetto nell’Esposizione principale del XX Congresso del l’UIA a Barcellona e che noi consideriamo feconda allo scopo di far conoscere il nostro pensiero e le nostre opere. Perciò ci basiamo sulla storia dell’America in quanto continente. Nel periodo in cui era colonia spagnola, il re sarebbe venuto a inaugurare le opere realizzate dai suoi sudditi. A dar loro compiutezza.
Architettura continentale?
L’America è un continente della compiutezza. E vi è arrivata per mezzo delle città. Quando arrivavano alla loro compiutezza, esse ne generavano altre. Nel periodo repubblicano le città si sono estese. Secondo un orientamento che fa sì che la città arrivi a compiutezza più profonda.
Città continente?
La Città Aperta è situata vicino al porto di Valparaiso. Non è stata costruita con un tratto, con isolati ben scanditi. Per questo ha sempre lottato per diventare una città con un ‘tratto’. Si è estesa verso nord lungo la costa e verso l’interno. La Città Aperta è situata sui terreni del litorale settentrionale più favorevoli alla compiutezza.
Architetti insieme a poeti?
Tutta questa comprensione della compiutezza rimane come una voce in cui sembra che i fatti non parlino. In questa situazione interviene la parola poetica dell’Amereida, l’Eneide americana che canta il “Ha Lugar” (c’è un luogo). La compiutezza è soprattutto di natura poetica. L’Amereida parla dell’infinito. Il saluto nell’infinito e la casa degli uccelli nell’infinito.1
Opere in circolo?
Abbiamo così deciso che chi vuole può partecipare a questo compito poetico. Perciò tale invito implica un cammino di partecipazione. Un cammino che non aiuti solo, ma che sia, per chi lo consideri nel modo giusto, davvero costruttivo. E per questo che l’abbiamo chiamato “Ronda”. La nostra presentazione descrive questo cammino della “Ronda”.2
Con segni poetici?
Questo cammino della Ronda richiede un modo di presentare la Città Aperta diverso da quello secondo cui l’abbiamo costruita. È un modo speciale per rispondere al vostro invito.
Pensiamo che la Città Aperta sia stata costruita grazie ad atti poetici. E l’atto stesso che illumina tali atti è che le metà dei suoi terreni sono dune di sabbia. La sabbia è il simbolo poetico del “ritornare a non sapere”. Perciò questo invito esige da noi un tale atto di “tornare a non sapere” o di rinnovamento che costituisce il cammino della Ronda.3
Soglie chiave?
Abbiamo ideato degli itinerari che percorrono la Città Aperta. Degli itinerari della Ronda. È un modo di comprendere la compiutezza poetica della Città Aperta. Questi itinerari vanno da un’opera all’altra. Da una soglia all’altra. Poiché il modo per comprendere il continente americano è toccare quella che è la soglia.
La Città Aperta è stata costruita in modo che rimanesse all’aperto. Sotto il cielo. Rivolta verso il mare. AU’estemo. E dato che trae origine da un atto poetico cerca, come ogni operare, la perfezione, al pari – nell’ambito poetico – di una certa indeterminatezza.4
Nel dibattito mondiale?
L’atto di abitare ha portato luoghi dove si decide dell’amministrazione della città. Che chiamiamo “Agorà”. Luoghi dove si abita e si lavora, che chiamiamo “Luoghi di ospitalità” poiché accolgono gli ospiti e che occupiamo a rotazione. La sala di musica, anche se tra noi non abbiamo musicisti se non come ospiti, e altri luoghi di svago. E i palazzi, i quali sono luoghi che certo si abitano, ma il cui segreto, per così dire, sta nell’essere pure soglie... e il cimitero per i nostri morti. E anche le officine per realizzare i prototipi.5
I terreni li abbiamo acquistati e li abbiamo edificati con i nostri mezzi. Siamo una quarantina tra professori della Scuola e non professori. Abbiamo contato solo sugli allievi della Scuola di Architettura e sulla manodopera non specializzata della zona. Progettiamo en Ronda, sul posto. Possiamo farlo perché interpretiamo architettonicamente l’atto poetico che dà origine all’opera e perché abbiamo ben presenti le risorse di cui disponiamo. L’avventura è, ogni volta, l’ordine della bellezza. Che è nel piccolo.6
Della durata?
Quando si parla però della grandezza, dobbiamo avviare una discussione che oggi è fondamentale. La velocità. Ciò nei modi di percepire l’atto di abitare dentro e davanti del l’opera. Forse per questo devono unirsi gli architetti del vecchio mondo con quanto essi hanno inaugurato e fondato negli altri continenti e noi americani. È il passaggio dal tranquillo al vertiginoso nella percezione della fissità dell’architettura. Che oggi discute della durata.
La Città Aperta l’abbiamo cominciata nel 1971. Da allora non abbiamo smesso di costruirla. Alcuni anni di più; altri di meno, però sempre impegnati nel compito, insieme con gli universitari. All’inizio fu un lavoro di costruzione, poi di manutenzione e di costruzione. Ora di restauro e costruzione. Alcune opere sono già scomparse, ne restano solo le tracce, altre sono state ampliate, altre si costruiranno. L’architettura è sempre in trasformazione, attenta all’atto poetico di abitare questo luogo.
Dall’America?
La Città Aperta la si comprende maggiormente se la si conosce o si viene a partecipare alle “Traversate”. Sono viaggi che organizzano i laboratori della Scuola di Architettura attraverso il continente. Durano un mese o un po’ meno. Nel viaggio si patisce l’esperienza della soglia. E in un luogo in cui facciamo tappa, erigiamo un’opera. Leggera e breve. Che in fondo è un Agorà o un Luogo di ospitalità, una sala di svago o un palazzo. Il suo ordine è comprensibile. Sono già state compiute 60 Attraversate. In questo momento stiamo pensando a un’opera che accolga quelli che accettano il nostro invito e vengano a partecipare a una Ronda. Un’opera che sia come un Luogo di ospitalità – un albergo che sia nello stesso tempo una tenda. Come gli ospiti che arrivano e se ne vanno, un’opera che appaia e scompaia.
Poesia per mezzo di attività?
Nella Città Aperta si fa design e grafica, attività che insegniamo alla Scuola di architettura. E che vanno con gli architetti nelle Traversate. Poiché vanno secondo una ampia Ronda dell’Amereida. Anche la scultura. E che cresce autonomamente durante le Traversate. E vi sono i poeti che ricevono l’ospite e se lui se la sente di dire chi é, anche i poeti sicuramente si comportano secondo la loro natura indomabile. E hanno concepito l’atto della Falena, da cui la consapevolezza che la poesia deve essere fatta per tutti.
1. Amereida è un’opera pubblicata nel 1965. Essa comprende mappe con le trasformazioni del Nord come modo di indicare il progredire verso la poesia del “c’è un luogo”. La parola poetica che non scorre ma permane.
2. La Città Aperta è stata concepita e realizzata en Ronda. Perciò ci sentiamo autorizzati a chiamarla Città. Anche se non ha la dimensione e la forza di una città.
3. La Città Aperta fu fondata con quattro atti poetici che segnarono il luogo nel 1970. Nell’ultimo, quattro pennoni che indicavano i punti cardinali furono eretti come uno solo sull’isola di fronte al luogo del progetto. Per mostrare il modo in cui la Città Aperta vie ne costruita. Un processo che non si arresta, ma continua sempre.
4. Cosi, gli itinerari corrono lungo la costa, verso l’interno o semplicemente sotto la Croce del Sud o con il Nord soleggiato. Ciononostante, tale indeterminatezza si adatta ugualmente a quello che l’intero atto comporta: essere un corteo. Forse è ciò che può unire americani ed europei. L’incompiutezza corrisponde al saludo dell'Amereida, ma non ancora alla residenza degli uccelli.
5. Per prima cosa abbiamo costruito le agorà e la sala da musica, i palazzi e i luoghi di ospitalità sono venuti più tardi. Le opere riflettono i bisogni della Città Aperta e i bisogni degli abitanti e degli ospiti e, necessariamente, lo sforzo di unire vita, lavoro e studio. Tali necessità richiedevano il ripetibile e l’irripetibile. Nelle opere, dentro le opere e le loro parti, siamo partiti dall’irripetibile, perché volevamo raggiungere il gratuito.
6. Le opere manifestano la nostra preoccupazione e la nostra ansia per far si che le forme non scivolassero. La libertà di qualsiasi forma implica scivolare da figura a figura. Questa è l’annichilimento della soglia, sia della soglia che distingue, sia della soglia che fa assomigliare. L’avventura è perciò la soglia che non scivola via. Questo è il senso del tavolo. Serve a dare ordine all’intera costruzione. Il gesto di ospitalità della Città Aperta. Dell’atto citato e dei suoi intervalli.