Storicismo, neo-vernacolare, adocismo, contestualismo, architettura metaforica e metafisica: con un’efficacia spregiudicata e lucida, Charles Jencks ha costruito categorie con cui progressivamente costruire una leggibilità dell’onda Postmoderna, e più generalmente di alcune espressioni che hanno seguito gli anni “eroici” del Moderno.
Generando e legittimando cesure e milestones come le demolizioni al complesso Pruitt Igoe di St. Louis del 1972 — con cui identificare il capolinea del Moderno — lavorando a molteplici revisioni del suo fondativo The language of Post-Modern Architecture del 1977, Jencks ha scatenato reazioni contrastanti e dibattiti legati alle sue posizioni teoriche e alla sua ricerca.
Su Domus, a partire dalla recensione che Agnoldomenico Pica fa dell’antologia partecipata Meaning in Architecture nel 1975, Jencks si è espresso in diverse vesti. Principalmente, lo ha fatto come critico e creatore di categorie, ruolo che gli era valso il contributo come co-curatore della Mostra internazionale di Architettura di Venezia del 1980, sul cui tema aveva avuto ad esprimersi in questi termini:
"(…) la definizione del Post-Modern fa perno sulla nozione di ‘doppio-codice’, definizione più rigorosa che mi si è chiarita solo dopo la prima edizione del mio libro nel 1977. Definizione che contrappone questo gruppo eterogeneo di tendenze a quelli con cui vengono spesso confusi, i Late-Modernists. Ancora oggi giornalisti, redattori e pubblico continuano a fare confusione tra questi due indirizzi basilari. Pensano infatti che tutto ciò che appare ludico, strano, più Moderno del Moderno, sia automaticamente Post-Modern: ecco perché, ad esempio, Peter Eisenman diventa un Post-Modernist. (…)Va inoltre considerato che il Classicismo Post-Modern è ormai uno stile chiaramente identificabile e una precisa impostazione filosofica (che assembla frammenti di contestualismo, eclettismo, semiotica e altre particolari tradizioni architettoniche)."
(Presence of the Past, Domus 610, ottobre 1980)
La moda può certo essere liberatoria, così come la vaghezza e il pluralismo, soprattutto quando il Modernismo (e forse anche il tardo-modernismo) tendono a divenire più dottrinari ed esclusivisti. (Charles Jencks, 1980)
Costruttore di immagini, categorizzatore di storie, ha provvisto a un ritratto contestuale di Le Corbusier in un’opera di cui Domus ha pubblicato gli estratti nel 2001:
“Dato che pare inopportuno avere un periodo eroico senza un eroe, se si dovesse estrapolare il nome di un architetto questo sarebbe senz'altro dovrebbe senz'altro essere Le Corbusier. (…) L’eroe classico della cultura occidentale è un individuo che ha una chiara visione dei problemi che affliggono la società (…) è moralmente e direttamente coinvolto in tali problemi, in modo del tutto diverso da coloro che sono parte di un Movimento o di uno Zeitgeist.”
(Le Corbusier e la rivoluzione continua, Domus 833, gennaio 2001)
Quando non è stato lui autore, molte critiche e recensioni ne hanno esplorato i lavori: dopo Pica, anche Federico Bucci (Architecture Today, Domus 767, gennaio 1995), Dejan Sudijc (Ripensamenti, Domus 852, ottobre 2002), Gianni Pettena (Jencks si aggiorna, Domus 857, marzo 2003), Andrea Branzi (Charles Jencks: : un geniale critico e architetto pragmatico, inventore di utili slogan Le sue idee sui futuri scenari del mondo in un saggio dallo sguardo oggettivo, Domus 943, gennaio 2011).
Charles Jencks: un geniale critico e architetto pragmatico, inventore di utili slogan. (Andrea Branzi, 2011)
Jencks si è poi espresso come architetto, inizialmente impegnato nel far confluire un panorama di simboli e riferimenti, letterature e cosmologia in progetti quale la sua casa a Los Angeles: una Casa degli elementi, che riunisce i quattro elementi della California (Aqua, Terra, Aer e Ignis) e li combina ispirandosi ai poemi di John Milton L'allegro e Il pensieroso nasce da un uso “della decorazione e della scultura in termini semantici e non estetici”.
(Caccia al simbolo, Domus 655, novembre 1984)
Con ‘new paradigm’ Jencks sembra suggerire che, considerando il modo in cui è mutata la nostra concezione dell'universo rispetto a 50 anni fa, non si vede ragione per continuare a osservare l'angolo retto quando costruiamo. (Dejan Sudijc, 2002)
Ma anche un altro risvolto di Charles Jencks architetto ha trovato spazio su Domus, dove la dimensione personale della sua storia non è stata nascosta ma è anzi divenuta punto di partenza per un progetto di cui lui si è fatto promotore coinvolgendo molti architetti di fama internazionale: i Maggie Center, luoghi pensati colla moglie Maggie Keswick negli ultimi tempi della sua malattia per garantire qualità positiva di vita ai malati di cancro:
“Quando a mia moglie sono pronosticati tre o quattro mesi di vita, (…) grazie ad uno spirito combattivo riuscì a vivere per altri 27 mesi. E’ stata una lezione che lei ed io (…) abbiamo sviluppato all'interno delle nuove strutture. (…) Un misto di informalità, clima domestico e rischio creativo,uno spazio aperto (che riesce) a unire un senso di intimità è un atmosfera casalinga ad un’architettura provocatoria.”
(Il posto di Maggie, Domus 865, dicembre 2003)