L’hotel paradigmatico di Jean Nouvel a Vienna, dall’archivio Domus

Con il Sofitel Stephansdom, l'architetto francese – guest editor di Domus nel 2022 – riscriveva all’inizio degli anni ‘10 i canoni del rapporto tra albergo e città, fondandoli su minimalismo, esperienza dello spazio e sorpresa visuale.

La fine degli anni 2000 è, per Jean Nouvel, un periodo in cui il dialogo con la città mediato da un controllatissimo minimalismo, contrastato da elementi di sorpresa ed esplosione visuale, raggiunge livelli massimi di raffinazione nel processo progettuale: succede con la Koncerthuset di Copenhagen che nasconde il suo solido fluttuante e luminoso dietro l’opacità solo apparente delle sue facciate in lamiera stirata, e succede soprattutto nell’albergo che completa a Vienna, nelle sue masse scure ed enigmatiche squarciate dagli interventi sovrasaturati e incontrollati di Pipilotti Rist. Tra questo posizionamento esterno, e gli interni dominati da un minimalismo che non è semplice pulizia formale – come affermerebbe anche John Pawson – ma design dell’esperienza visuale e spaziale, Nouvel finiva per sintetizzare un paradigma per l’hotellerie urbana di un decennio di svolta.

Domus, di cui poi Nouvel sarebbe diventato guest editor anni dopo, pubblicava questo progetto nel luglio del 2011, sul numero 949.

Domus 949, luglio 2011

Vienna, la città Lumière

Presque rien, quasi nulla. Il particolare rapporto che Jean Nouvel istituisce con l’immateriale, o con il virtuale quando espressamente richiesto (come nel progetto per la Virtual House competition, su invito dell’ormai defunta rivista Any), è sempre stato segnato da una concreta dialettica con il reale. Su questo, l’eventuale evaporazione della materia può anche essere uno stadio di quella sorta di “corso darwiniano di dematerializzazione che è cominciato con il dolmen e finirà, forse, con niente più di un campo magnetico”, diceva Nouvel stesso, ma il tutto sempre si appoggia su un solido controcanto con il corpo delle cose.

Così, se quel quasi nulla è l’incipit con cui Nouvel introduce il progetto del suo ultimo albergo realizzato a Vienna, il nuovo Sofitel Stephansdom, tale rapporto non è estraneo nemmeno all’astrazione di questo monumentale progetto, che vuole anche inseguire una tradizionale idea del ruolo che un hôtel di tale misura, un ‘Grand Hôtel’, dovrebbe avere nei confronti della città: quella particolare relazione di scambio tra vita urbana e cultura dell’ospitalità che tante politiche di hotellerie hanno posto progressivamente in secondo piano, più inclini (con le dovute eccezioni) a eterotopiche isole autoreferenziali. 

Domus 949, luglio 2011

Collocato all’incrocio tra il Donaukanal e la Taborstrasse, a ridosso del centro storico, l’edificio si confronta direttamente con l’adiacente Media Tower delle Generali di Hans Hollein, realizzata dieci anni prima: non una semplice torre, ma una composizione di solidi calibrati su un tessuto urbano che, dagli anni Cinquanta del secolo scorso, vedeva sorgere i primi edifici di banche e assicurazioni. Come Hollein dialogò, allora, con altezze, volumi e allineamenti circostanti, oggi Nouvel si relaziona con Hollein nelle inclinazioni delle superfici, nella materia e nel colore, istituendo un dialogo preciso con la materia urbana circostante. Di qui, l’opera diventa concettuale, quasi ripiegandosi in se stessa. La stretta logica che ordina la palette di colori e materiali, il bianco, il nero, il grigio e lo specchio che identificano nettamente le facciate verticali; il loro conseguente mescolarsi sul piano inclinato del belvedere (le cui losanghe richiamano la cattedrale di Santo Stefano visibile in prospettiva), lo stesso rigore cromatico che continua all’interno delle camere sono l’esito di un riduzionismo minimalista interpretato, prima di tutto, come enunciazione di un ‘procedimento’. E in fondo questo dev’essere, il cosiddetto minimal, mica un elegante ascetismo formale. Tant’è che, in contrasto a tale rarefazione, irrompe il figurativo: con i tre squarci di luce colorata dell’artista svizzera Pipilotti Rist, in un trompe-l’œil tecnologico e in un caleidoscopico gioco di riflessi e trasparenze dello sguardo.

Domus 949, luglio 2011

Sguardo a cui il linguaggio di Nouvel fa buon gioco. Dai prismi del Sofitel l’abbraccio visivo di Vienna è spettacolare, nelle grandi parti comuni, e modulabile, nelle camere, dove pannelli scorrevoli progettati ad hoc espandono e contraggono le inquadrature sul panorama come diaframmi di un obiettivo cinematografico, una metafora da sempre cara al nostro, già poeticamente dichiarata in quel piccolo gioiellino che era The Hotel di Lucerna. Insieme a Pipilotti Rist, gli studenti della Scuola di Belle Arti di Vienna completano la rosa di interventi d’arte contemporanea, mentre il giardiniere verticale Patrick Blanc, già compagno di avventura di Nouvel, ne arricchisce gli spazi con una parete vegetale di 600 metri quadri. 

Ma il lavoro di Rist, chiamato a contraddire sul piano orizzontale ciò che si sviluppa su quelli verticali (ma non del tutto), è qualcosa di più. Non solo ha un ruolo ‘classico’, non diverso da quello del bronzo di Georg Kolbe nel padiglione di Barcellona, per fare un esempio canonico di modernità: ma è il fantasmagorico, fluido, regalo notturno alla città. E Nouvel, che di quella modernità è il più grande sopravvissuto avendone respirato gli ultimi vapori (così il saggio di Casciani per il suo Pritzker Price nel 2008), accompagna questo passaggio sublimandolo, non senza inquietudine, nella liquidità contemporanea.

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