“Albergo diffuso” è un’idea ormai consolidata nei nostri anni ‘20, specialmente in associazione a un immaginario di turismo lento, dalla forte vocazione domestica e, nel più delle narrazioni, sostenibile: borghi recuperati, abitazioni sparse che diventano camere, dimensione urbana, umana e turistica che coincidono. Dalle prime esperienze, principalmente italiane e ormai ultraquarantennali, l’albergo diffuso può già dire di aver attraversato molte diverse mode e visioni, tra le quali non manca quella di Alain de Botton: sempre sospeso tra la decostruzione, la predicazione e la provocazione, lo scrittore di origine svizzera negli anni 2000 era già nel pieno della sua attività (il celebre Architettura e felicità è del 2006) intesa a costruire nessi tra forma architettonica e formazione psicologica individuale o collettiva. Ed ecco che a fine decennio, lungo la costa del Suffolk, riunisce nomi internazionali tra cui MVRDV – lo studio di Winy Maas, Guest Editor Domus nel 2019 – , NORD Architecture, Michael Hopkins, Jarmund Vigsnæs Architekter, Patricia Urquiola, Peter Zumthor, nel progetto Living Architecture: in sintesi, una missione di contrasto alle tendenze nostalgiche del pubblico inglese in fatto di architettura, attraverso un albergo diffuso a scala territoriale dal linguaggio rigorosamente contemporaneo. Domus segue il progetto, e pubblica i primi edifici nel luglio 2011, sul numero 949.
Alain de Botton e l’albergo diffuso contro l’architettura nostalgica
Dall’archivio Domus, il progetto con cui il filosofo e scrittore di origine svizzera riuniva un dream team di architetti e designer – tra cui Mvrdv, Zumthor e Urquiola – per “educare” un pubblico inglese ritenuto conservatore all’architettura contemporanea.
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- 18 luglio 2023
Architettura vivente
Lungo un pittoresco tratto di costa del Suffolk, su un lungomare sabbioso, si affaccia un’infilata di casette di villeggiatura, ognuna con la sua accozzaglia di pati, giardini d’inverno e ampliamenti vari, gli spruzzi del mare sulle finestre e le verande di legno scolorite. Fra queste c’è la Dune House (Casa sulla duna) progettata da Jarmund Vigsnæs Architekter, con il profilo pungente del suo tetto frastagliato. Per la gente di qui la casa sulla duna è una vera e propria curiosità. Non che le case private disegnate da architetti di fama mondiale siano poi così inconsuete, ma la novità è che questa casa molto contemporanea, con vista mare, si può affittare. La Dune House fa parte di una serie di case disegnate per Living Architecture, un progetto lanciato dallo scrittore svizzero Alain de Botton pensato per offrire al grande pubblico l’esperienza della più sofisticata architettura moderna. Alain de Botton è un filosofo, autore di Architettura e felicità (2006). A suo parere la natura stessa dell’architettura contemporanea in Gran Bretagna, sia essa una grande opera come un aeroporto o un museo o un intervento privato ed elitario come una residenza privata, ha mancato nei confronti della gente che ha potuto provare solo un’esperienza effimera, superficiale e spesso molto diffidente, dell’architettura del Ventunesimo secolo. “Gli inglesi continuano a opporre una tale resistenza all’architettura contemporanea che abbiamo pensato fosse importante aprire le loro menti e i loro cuori”, spiega lo scrittore che osserva come molti preferiscano trascorrere le proprie vacanze in cottage romantici o locande trecentesche con il tetto di paglia.
L’operazione è semplice. Commissionare a un gruppo di architetti altamente selezionato case belle ed economiche, in località sperdute della campagna inglese. Famiglie e amici possono affittare l’intera casa per una modica cifra, da poche notti fino a un massimo di due settimane. Finora hanno preso parte al progetto lo svizzero Peter Zumthor, vincitore del premio Pritzer, gli architetti olandesi di Mvrdv, lo studio scozzese Nord, Michael Hopkins, l’architetto inglese dell’era dell’alta tecnologia, e i delicati norvegesi di Jarmund Vigsnæs Architekter. Sono già disponibili tre case che hanno avuto recensioni tutte generose e positive, e due progetti hanno ricevuto premi e riconoscimenti architettonici. Agli ospiti è piaciuta non solo l’idea ma anche il dettaglio e l’accuratezza con la quale gli architetti hanno pensato ogni casa. Gli studi hanno coinvolto diversi designer per definire ogni minimo dettaglio di questo esperimento progettuale, dai bagni alle camere da letto. Makkink & Bey, negli interni della Balancing Barn di Mvrdv, e altri come Wieki Somers e Patricia Urquiola hanno contribuito con le loro lampade e oggetti d’arredo a incontrare la strategia di Living Architecture: cercare di trasmettere l’intimità e la qualità offerte dal design contemporaneo oltre ogni normale aspettativa del cliente. “L’Inghilterra si è industrializzata così in fretta che ha una fortissima nostalgia del passato”, spiega Alain de Botton. “L’architettura della nostra epoca può avere molte delle qualità che la gente ama nei vecchi edifici, come la ricchezza sensoriale, il calore e il legame con la storia”.
E difatti ognuna delle case costruite si nutre di un rapporto molto stretto e sensibile con l’ambiente circostante. La Dune House di Jarmund Vigsnæs Architekter, costruita sulla costa del Suffolk, nonostante la sua apparenza ruvida, è particolarmente accogliente e confortevole. Come tutte le case del progetto Living Architecture, può ospitare otto-nove persone. Il progetto è molto istintivo: un’ampia zona giorno e cucina al pianterreno con grandi vetrate che si affacciano direttamente sulla spiaggia. Al piano di sopra, le camere da letto dai ripidi soffitti inclinati ricordano le mansarde o le case di cartone della nostra infanzia. La particolare sagoma della casa scontorna il paesaggio del Suffolk e si cala perfettamente, in tutta la sua stranezza, nel disordinato panorama delle case del posto. Altrettanto audace il progetto di Mvrdv, vincitore di diversi premi. La brillante Balancing Barn (Il fienile sospeso) dalle facciate a specchio, si chiama così perché è l’estrusione orizzontale di un fienile che incombe sopra una lieve pendenza. Gli architetti dello studio Mvrdv hanno cominciato a esplorare il Suffolk alla ricerca di spiagge e chiese e di un vecchio fienile da ristrutturare. Hanno trovato un pezzo di terra isolato, con un naturale terrazzamento del terreno disseminato di vecchi granai e uno stagno pieno di rane: invece di provare a riconvertire una delle strutture esistenti, hanno deciso di riprendere il tradizionale tetto spiovente e l’ingombro di un fienile di dimensioni normali ed estruderlo il più possibile in senso orizzontale. La pianta della casa è incredibilmente semplice, ma l’interno tradisce la sua complessa struttura. Grandi capriate di frassino percorrono visibilmente lo spazio lungo le pareti interne. Dalla cucina parte un corridoio su cui si affacciano quattro camere da letto con bagno, per condurre a un’ampia e accogliente zona giorno dalle grandi vetrate, sospesa sul verde e proiettata su un piccolo lago, con il rivestimento esterno a specchio che assorbe i verdi e i blu della natura circostante. “È come una favola. Non c’è più la stessa adesione alla realtà”, dice del progetto l’architetto Winy Maas.
Non è un caso che il direttore di Living Architecture, Mark Robinson, sia lo stesso architetto che ha progettato l’annuale Serpentine Pavilion di Hyde Park. Lo spirito che aleggia sui due progetti difatti è lo stesso: selezionare e incaricare grandi architetti è il miglior modo per comunicare l’architettura contemporanea al pubblico inglese ed evidenziare il potenziale di questi professionisti a investitori altrimenti molto scettici. Peter Zumthor, l’architetto svizzero che sta disegnando il Serpentine Pavilion di quest’anno, sta lavorando al completamento di Secular Retreat (Il ritiro laico), una casa immersa fra i campi del South Devon, tra colline e piccoli paesini in pietra, prevista per la fine del 2012. A proposito del progetto Zumthor spiega: “Il concetto di Living Architecture mi è piaciuto subito. Mi è sembrata un’opportunità unica di creare un’opera di architettura che si fondesse e si lasciasse ispirare dal paesaggio circostante. Così, spero che si senta lo spirito inglese del nostro lavoro, che abbia preso in qualche modo l’‘aria’ del posto, e che diventi parte della chimica locale delle cose. Chi entra in questa casa dovrebbe avere la sensazione di non volersene più andare o almeno di volerci tornare un’altra volta, e un’altra volta ancora”.