“Architettura e moda stanno incontrandosi sul terreno di una funzione che le oltrepassa: quella della presenza del corpo umano, una funzione che vuole rinnovarsi”, si legge su Domus 460. Siamo nel 1968 e l'occasione è la presentazione di una nuova boutique a Milano, tra gli architetti c'è anche un giovane Ugo La Pietra. L'articolo cita uno stilista, all'epoca alfiere di un rinnovamento che partiva da Parigi: Paco Rabanne, “architetto di donne dal ruolo di armi, la cui rivoluzione nel dress design ha direttamente mirato ad emancipare il ruolo del corpo femminile”. Lo stilista di origini spagnole, che studiò architettura prima di dedicarsi alla moda, è stato citato più volte sulle pagine di Domus nel corso degli anni. Una firma illustre come il critico d'arte Pierre Restany gli dedicò uno dei suoi editoriali sulla rivista, “L'abito immagine di una civiltà”, nel 1980, dopo avere incontrato “il samurai della moda cinetica” nel suo studio di Saint-Germain-des-Prés. “Un architetto filosofo e uno storico del vestito”, lo definì Restany: ripubblichiamo quell'articolo come omaggio a Paco Rabanne, nato Francisco Rabaneda Cuervo, scomparso il 3 febbraio 2023, a pochi giorni da quello che sarebbe stato il suo ottanovesimo compleanno.
Quando Domus incontrò Paco Rabanne (1934-2023)
È morto Paco Rabanne, l'enfant terribile della moda francese degli anni Sessanta, architetto di formazione, icona del fashion design. Nel 1980 il grande Pierre Restany lo andò a trovare nel suo laboratorio parigino, e raccontò quell'incontro in un memorabile articolo su Domus.
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- Pierre Restany
- 03 febbraio 2023
L'abito, immagine ultima di una civiltà
“L'ultima immagine di una civiltà è il suo vestito”, afferma con decisione, tra un mucchio di plastiche a riflessi cangianti, paillettes, ma glie di cuoio intrecciate e busti di metallo, Paco Rabanne, la grande rivelazione dell'alta moda non conformista degli anni 60, la star del pre-sessantotto. Sono andato a trovarlo nel suo laboratorio parigino di Saint-Germaindes-Prés, curioso di scoprire cosa fosse divenuto questo James Dean del cuoio, questo Samurai della moda cinetica, questo cavaliere Baiardo del metallo stampato. Mi aspettavo un eterno “beat” dell'abbigliamento, ho trovato invece un architetto-filosofo, uno storico del vestito. “L'abito, immagine ultima di una civiltà”: grazie, Paco Rabanne, per aver puntualizzato così bene la tua idea, proprio oggi, quando tanti credono di avere concetti propri sulla moda mentre hanno solo idee acquisite, non realmente vissute.
La moda è l'espressione ultima, tangibile, narcisista dell'inconscio collettivo di una comunità. Le persone che dividono gli stessi valori si vestono nello stesso modo. Ecco perché la moda è profetica: se il popolo di Parigi nel 1789 non avesse optato in blocco per i calzoni proletari all'italiana contro l'abito aristocratico alla francese, la storia non avrebbe conosciuto i “sans-coulottes”. Quando gli orli degli abiti femminili scendono ai polpacci o alle caviglie, è cattivo segno: la moda lunga degli anni '29-'30 annunciava l'arrivo in Europa della crisi economica americana. Le donne portavano già il lutto futuro delle fortune dei loro mariti o dei loro amanti! Tra il 1964 e il 1968 la società dei consumi è invece ottimista: la minigonna “oggettivizza” il corpo della donna e ne svela la intimità al guardone-consumatore. Il 1964 è anche l'anno di inizio della grande invasione dei jeans in Europa. Se il grigio unisex cinese non ha resistito al ridimensionamento post-mortem di Mao, il jeans sopravvive allegramente ai miti dei cercatori d'oro, dei cow-boys, dei beat-niks, degli hippies, a Kennedy e a Carter: non è forse l'immagine ultima dell'America?
In fin dei conti, gli stilisti non creano la moda, ma ne seguono piuttosto le tracce, come cacciatori di lupi o cercatori di funghi, forniti di i-stinto e di talento. Fortunatamente poi ci sono gli artisti che nutrono l'immaginazione degli stilisti. Sonia Delaunay, la grande signora della “visione simultanea” degli anni trenta, aveva predetto il prêt-à-porter con vent'anni di anticipo. E questo è del tutto logico: quando la moda non riflette più le tendenze artistiche di un'epoca, gli artisti costituiscono le fonti immaginative dell'immediato futuro. Le idee si comprano e gli industriali le sfruttano in serie. Uno stile che esce dal pezzo unico di un quadro per finire nei modelli degli abiti di serie è la più diretta emanazione visiva di un desiderio collettivo. Continuiamo dunque a cercare di vivere da esseri umani, secondo il nostro istinto o il nostro sogno di libertà. Lottando per restare degli uomini liberi, noi tracciamo la linea evolutiva di ciò che sarà la moda nell'immediato futuro, l'immagine sempre nuova della nostra civiltà.
Immagine d'apertura: account Instagram ufficiale @pacorabanne