Grandi binocoli, ciliegie, fette di torta, spine elettriche, aghi, fili e bandiere americane grandi come edifici, in mezzo ad altri edifici: realtà aumentata nel senso letterale del termine – realtà ingrandita, meglio – è la cifra che ha caratterizzato la produzione di Claes Oldenburg , morto il 18 luglio ancora nel pieno di una carriera che metteva le sue radici nelle provocazioni pop degli anni ’60. Ed è proprio della Pop Art e del postmoderno che il lavoro suo – sviluppato poidagli anni ’70 con la moglie Coosje Van Bruggen – su oggetti di comune uso e consumo portati alla scala del monumento è diventato icona, spesso diventando parte di architetture urbane, come nel caso della collaborazione con Frank O. Gehry, o delle installazioni milanesi con Gae Aulenti.
Nell’aprile del 1975, in una lunga conversazione con David Shapiro, Oldenburg si immergeva nel mondo dei suoi oggetti dalla scala ambigua, oggetti creati “per stabilire una comunicazione”. Domus pubblicava questa intervista sul numero 575.
Claes Oldenburg. Un colloquio a new York.
David Shapiro: Tu pensi con fiducia shakespeariana che le tue proposte, i tuoi monumenti sopravviveranno?
Claes Oldenburg: No. Penso che l’unica cosa che può sopravvivere sia un disegno. I monumenti sono destinati a decomporsi. Rovine, pensavo di far delle rovine. Potrebbe essere un tema nuovo. Come quando nel 700 si facevano i corteges e cose del genere. È una di quelle cose che metton paura, come il sesso, una di quelle cose su cui non ti butti facilmente, ma io ci ho pensato da un po’. ‘The Clothespin’ (La molletta fermabucato) è un monumento molto romantico, voglio dire è quasi come una torre. Sarà costruito a Filadelfia, l’anno prossimo, spero. Una molletta alta quattro piani, 12,20 metri.
D.S. Cosa pensi delle sculture di David Smith involontariamente a strisce? Sculture dipinte?
CO. Penso che Smith abbia creato una situazione in cui le cose sono destinate a deteriorarsi. Forse l’oggetto più deperibile è, paradossalmente, la scultura all’aperto... Un rossetto bianco potrebbe essere molto divertente, purché se ne abbia anche uno colorato, lo faccio le versioni ‘fantasma’, che sono poi versioni in bianco delle cose colorate.
D.S. A te non interessa la ‘purezza’, come hai detto ripetutamente CO. Certo, di tanto in tanto. Voglio dire, che la purezza fa parte del repertorio di cose che io posso ambire di raggiungere. La nozione di arte quale cosa singola sta morendo.
D.S. Le tue strutture potranno mai diventare spazi abitabili come quelle di Schwitters? Molte delle tue proposte sono architettoniche, nel senso che sono strutture sepolcrali.
CO. Penso sempre anche alla parte interna delle strutture, cioè non trascuro mai l’interno della struttura. Se tengo in mano una presa a tre vie cerco di immaginare come può essere fatta dentro. Cerco sempre di immaginarla ingrandita, come se 10 fossi una formica o qualcosa del genere. Stare all’interno sarebbe come essere in un edificio. Ciò è molto importante... Un aspetto della spina è la facilità con cui può essere trasformata in, per esempio, una casa, una caverna, uno spazio abitabile.
D.S. Hai mai avuto degli incarichi reali per un autentico spazio abitabile?
CO. Non ancora. Ma è in questa direzione che van le cose. Penso che l’architettura si muova in questa direzione.
D.S. Avremo dunque una architettura divertente, una architettura erotica, una architettura come ‘complesso’, come sembra voler essere quella di Venturi?
C.O. Giusto. Talvolta girando per il paese si vede che qualcuno ha costruito delle cose in questa direzione e l’ha portata un po' più avanti.
D.S. In Mitt and Ball (‘guantone e palla’) c’è la tua volontà di giustapposizione comica, condensazioni freudiane?
C.O. Mitt and Ball Dipende anche dal contributo della gente. Esistono due livelli di linguaggio. C’è il mio, che è un livello molto personale, e ci vuole molta esperienza per capirlo, e poi c’è il livello convenzionale. Se la gente parla di un guantone, vede qualcosa di diverso da quello che io ho dato loro... Lo humor rende la vita sopportabile ed è tremendamente importante, qualunque sia; è difficile da definire. C’è sempre del pericolo nello humor, e presumo che è di ciò che la gente priva di humor abbia paura — del pericolo cioè che lo humor possa eliminare del tutto la serietà.
D.S. Le tue nuove opere sono sempre trasformazioni di oggetti esistenti?
C.O. Non esattamente trasformazioni. Non altero fino a quel punto. Semplifico o riduco la forma a struttura essenziale, che è una sorta di trasformazione.
D.S. Un esempio: se io ti do una torreserbatoio, come la lavoreresti?
CO. Beh, probabilmente la smonterei, ne analizzerei le proporzioni e ne cambierei forse le proporzioni un po’, basandomi su altre torri che conosco. Poi la lascerei là, ad aspettare un’occasione a venire... La allungherei o forse la comprimerei, chi lo sa. Tutto l’oggetto passerebbe un’analisi. Chiederei cosa c’è all’interno. Vorrei sapere di che cosa è fatta. Il problema delia sostituzione del materiale è molto importante, ovviamente... Potrei farla in materiale ‘soft’, e questa sostituzione, l’atto del sostituire, cambierebbe il suo carattere in un modo molto letterale... Rendere morbido (‘soft’) per me non ha niente a che fare con materia da sogno.
D.S. T. S. Eliot ha parlato della difficoltà di sviluppo in un artista. Per te ogni opera nuova comporta uno sviluppo?
CO. Certo, il lavoro coinvolge sviluppo. Anche se è la stessa struttura in contesti diversi e diverse situazioni, quando diventa più grande o cambia materiale. Sto preparando, appunto, una mostra per il Walker Art Center (di Minneapolis) sull’evoluzione di certe strutture, e su come cambiano durante il lavoro. Prendiamo sei temi, sei soggetti, e facciamo vedere come cambiano. La cosa più grossa della mia vita, negli ultimi due anni, è stata l’esperienza nella fabbrica Lippincott che mi ha portato a dimensioni mai prima raggiunte, circa 7x12 m. Ho fatto soprattutto grandi oggetti in metallo.
D.S. Come ti senti ora davanti ai problemi di scala?
CO. Tempo addietro, quando ho incominciato con i monumenti giganti, che inizialmente erano stati pensati per una copertina di Domus, quei monumenti erano, naturalmente, fantasie, quasi delle poesie, impossibili, benché un giorno o l’altro potranno diventare possibili. Si può pensarlo. Ma allora erano impossibili. Ora, dopo alcuni anni, ho incominciato a pensare di ingrandire semplicemente gli oggetti con i quali lavoro normalmente. ‘Monumenti’ è un termine ironico. Ho usato ‘monumenti’ in due modi: in modo ironico (come antimonumenti, per cosi dire) e per motivi di scala, perché quando si dice monumento si pensa a qualcosa di grande... ma le cose che faccio, ingrandendo gli oggetti, non le penso necessariamente come monumenti... Colleziono anche piccoli oggetti. Prendi il ‘Mouse Museum’ — il topolino è uno studio in scala. La misura base sono le orecchie — il topo di 18’ ha un orecchio di 9’, e il più piccolo ha un orecchio di 6’.
D.S. L’‘Alfabeto’ rappresenta una nuova gamma dì immagini per te?
CO. No, la ‘Q’ è probabilmente l'immagine più nuova, e sto pensando di introdurre un osso. Ma pure questo è un fatto da alfabeto (è quasi come la lettera ‘I’). Le forme delle lettere mi interessano molto, l’hanno sempre fatto. Guarda questo, ‘The Good Humor Alphabet’ (‘L’Alfabeto del Buon Umore’): comprende 26 lettere. Ne ho eliminate alcune perché non c’entravano. Con l’alfabeto lo puoi fare senza aver l’impressione di aver perso qualcosa; così elimini la ‘R’... E l’alfabeto è nella forma di un ‘popsicle’ (ghiacciolo), del ghiacciolo all’americana, del tipo ‘buon umore’. Questo ha uno stecco di bronzo. L’insieme è come una scultura indiana piena di sagome attorcigliate. Sarà molto grande e molto molto fisico. Ora non capisco bene cosa faccio con le lettere e l’alfabeto, ma è qualcosa di più che prendere un dato... Questa è la mia poesia, ed ha molto a che fare con il suono, con la rappresentazione del suono nel modo dei comics, con palloncini e suoni espressivi... È un tentativo di rendere le parole e le lettere tangibili.
D.S. Come fai a evitare la ripetizione nel tuo lavoro, o la accetti come inevitabile?
CO. L’idea della ripetizione e della variazione mi piace. Non è mai stato un problema. Il problema sta piuttosto nel limitare le cose a certe forme e strutture che siano le più adatte alla riduzione e le più rivelatrici, le forme più semplici, e allo stesso tempo le più facilmente dilatabili. Ho taccuini pieni di progetti... Cerco di restringermi a circa dieci o dodici soggetti diversi... Ognuno è una sorta di famiglia, come per esempio la famiglia dei ‘Q’ che ha che fare con un cerchio ed una coda che ne esce. Il cerchio e la coda sono una intera famiglia di forme, che si possono ritrovare nella Molletta, la molla e la molletta, o nel Typewriter eraser (gomma da macchina per scrivere). Esistono certe famiglie di strutture che io uso per le mie variazioni.
D.S. E il puritanismo dei concettuali riguardante gli ‘oggetti’?
CO. Non accumulo oggetti. Creo semplicemente degli oggetti per stabilire una comunicazione. Di modo che io ti do una cosa e tu la prendi e le dai un valore se per te diventa più importante e poi tu la dai a qualcun’altro. Il denaro è molto interessante. Per diventare un artista l’oggetto che tu hai creato, quasi deve avere un valore economico, altrimenti non esisti come artista; la gente non ti stimerebbe... È difficile immaginare una qualsiasi attività umana che possa esistere senza lo scambio di oggetti di un qualche tipo. Persino il vestirsi.
D.S. Mi puoi dare un esempio, in senso diaristico, di un’opera recente che hai eseguito dall’inizio alla fine?
CO. Possiamo parlare dell’‘Alfabeto’. L’‘Alfabeto’ ha origini nel 1970 come disegno. (Ogni opera ha una lunga storia). Ho fatto il disegno perché sono sceso da un aereo che doveva andare a Cleveland, e di cui pensavo che non ce l’avrebbe mai fatta? tanto che sono sceso e sono andato a casa dove, per passare il tempo, ho incominciato a disegnare. E ho disegnato questo ‘Alfabeto del Buon Umore’... C’era stata una tormenta di neve e l’aeroplano era rimasto fermo a terra per quattro ore, con le ali coperte di ghiaccio, ed io ero seduto dentro e avevo deciso di scendere, e quando mi venne detto che non potevo scendere io risposi che se non mi lasciavano scendere avrei fatto una scenata terribile e avrei spaventato tutti. Allora dissero OK, la facciamo scendere, e così sono sceso, ma nel tempo che ho messo a ritornare a New York, l’aereo era atterrato a Cleveland, e il tutto era assurdo. Ma questa cosa mi ha dato tre o quattro giorni in cui nulla era pianificato.
D.S. Un’ansietà di fondo ti ha riportato all’‘Alfabeto’.
C.O. Sì. Son tornato a casa e ho eseguito i disegni dell’‘Alfabeto’, a Westbeth naturalmente... Avevo già fatto degli schizzi per alfabeti, ma questo era il primo ‘Alfabeto del Buon Umore’ definitivo. Tutto è incominciato allora. E la cosa è stata trasformata in un manifesto per la mostra alla Tate del 1970, e poi ha galleggiato nella mia casa nelle più diverse forme. Puoi vedere dai disegni che è molto plastico. L’unica cosa che non puoi vedere è il rovescio. Poi ho avuto un colpo di fortuna nel 1972. Sono stato presentato a Michael Crichton, autore di libri di fantascienza e cliente di Margo Leavin (gallerista sulla West Coast aLos Angeles), e lui voleva una scultura per il suo giardino.. . Il problema era, quale. Ora, ha fatto il medico ed era stato scrittore, e queste professioni lo hanno influenzato. Dapprima voleva avere una ‘Soft Typewriter’, che però non era adatta a essere sviluppata in monumento. .. Desiderava qualcosa di eretto, di verticale. Lui stesso è alto più di due metri. Possedeva una riproduzione di questo disegno (dell’’Alfabeto ‘) e disse perché non fare il ‘Good Humor Alphabet’ per il suo giardino. E io dissi che era un’idea eccellente. Avevo proprio aspettato che qualcuno me lo chiedesse. Questo era successo nel 1972. Ed ora, due anni dopo, la cosa è in lavorazione. È tipico del mio modo di lavorare che le tecniche impiegate non siano esattamente preordinate. Devono essere sviluppate e adattate all’immagine... Questa è una scultura da giardino per Crichton. Ho fatto fare questo ingrandimento. L’ho messo su un tavolo e queste lettere sono state ricalcate e poi sono state montate come un puzzle. Ogni lettera è fatta individualmente, ed è ricavata dal l’originale che io ho fatto.
D.S. Sono dunque gli atomi staccati dell’opera.
C.O. Si, Sono andato in California e ho dedicato tre settimane all’esecuzione del modello definitivo in gesso, che era stato preparato per me a New York da una donna che lavora la ceramica. Abbiamo lavorato su un modello di creta prima, e poi lo abbiamo gettato in gesso. Poi ho rifinito il modello in gesso, poi ho ingrandito il modello in gesso fotograficamente, modello che serve per l’esecuzione delle lettere individuali. Sono fatte in poliuretano verde. E sono eccezionali. Sembrano delle strane piante. E questo è un manufatto tipicamente di Los Angeles, in contrasto con quanto avviene a Lippincott. I pezzi deile singole lettere sono messi in gruppi, e sono molto belli loro stessi e poi vengono semplicemente montati assieme... Sono incollati con epoxy e alla fine il tutto viene ricoperto con una specie di gelatina che lo rende molto lucido e duro. Poi da questo ‘positivo’ si ricaverà una forma negativa che servirà a ottenere più copie di una lettera, anzi due, una edizione di due. E Michael ne riceverà una, ed io l’altra. Saranno fissate su una barra dì bronzo, e saranno girevoli (hanno due lati).
Ho dovuto curare anche il rovescio, perché si possano girare.
D.S. Ora, ‘ambiente’ è qualcosa che ti piace. Hai detto una volta del Trowel (‘Pala’) che visto che era fatto industrialmente lo volevi in un ambiente rurale. Poi immaginare un contesto ottimale per il Good Humor Alphabet’ oltre a un giardino?
C.O. Sì, lo metterei sulla Park Avenue.