“Spirito europeo in una casa americana” era il titolo che introduceva ai lettori di Domus la casa di Leo Lionni, “designer, artista grafico, scrittore, critico d’arte” olandese, una personalità cara alla rivista, che ne segue il brillante percorso professionale, diviso tra Europa e Stati Uniti (Domus 299, ottobre 1954). Lionni, olandese d’origine, si forma nell’Italia degli anni Trenta per poi rifugiarsi in America, a seguito delle leggi razziali. Qui la sua professione si affina, con incarichi come grafico pubblicitario, vignettista del New Yorker e direttore artistico di Fortune Magazine, il mensile newyorchese dalle bellissime copertine realizzate da artisti moderni. Proprio su Fortune, nel gennaio del 1954, Lionni celebra l’arte italiana con il servizio “The energies of Italy”, a cui lavora anche Enrichetta Richter, redattrice di Domus: sono dieci pagine illustrate da pittori come Carlo Levi, Giacomo Manzù, Renato Birolli, Salvatore Fiume e Massimo Campigli.
Due passi a casa di… Leo Lionni, un art director nella campagna del Connecticut
Il terzo appuntamento nelle abitazioni dei progettisti dell’archivio di Domus è da Leo Lionni, artista olandese con un piede in Italia e uno negli Stati Uniti, che abita una casa-studio custodita da un cavaliere a cavallo.
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- Cristina Moro
- 03 maggio 2020
È nell’ottobre del 1954 che Domus va a trovare Leo Lionni nella sua casa a Greenwich, nel Connecticut: una vecchia e tipica abitazione di campagna con tetto a spiovente, realizzata insieme a Giorgio Cavaglieri, pittore e architetto italiano, anche lui fuggito dalle leggi razziali. Le fotografie scelte dalla redazione per illustrare la casa sono di Ezra Stoller, un gigante della fotografia americana d’architettura, e dello stesso Lionni.
La casa appare semplice e classica, “Bella nella semplicità della facciata, e che al di fuori non rivela, se non nella aggiunta del sottile traliccio del porticato-pergola in legno, e nella finestrata del soggiorno, la modernità degli interni”. Un primo indizio del gusto del proprietario si trova già nel prato d’ingresso, dove si è accolti da un cavaliere a cavallo di Marino Marini, lo stesso che sorveglia l’ingresso del palazzo veneziano di Peggy Guggenheim. Varcata la soglia, si entra nel mondo di Leo Lionni e si respira il suo spirito internazionale, l’amore per l’arte e per gli artisti legati alle sue professioni, “Una modernità che consiste”, si legge su Domus, “più che nella ripartizione degli spazi e nei mobili, nella presenza di opere d’arte che fanno l'arredamento. Rappresentano il mondo in cui vive e di cui vive chi abita”.
Una modernità che consiste più che nella ripartizione degli spazi e nei mobili, nella presenza di opere d’arte che fanno l'arredamento. Rappresentano il mondo in cui vive e di cui vive chi abita
Il soggiorno è un ampio spazio pieno di luce, con le pareti bianche, il parquet lucidato a cera e qualche grande pianta. Alcuni pezzi antichi, come “una statua borgogna del XV secolo” e la pendola olandese del XVII secolo, convivono con le poltroncine di Le Corbusier in pelle nera e acciaio e mobili di Eames e Saarinen, su cui sono esposte due sculture in ferro e una testa scolpita, sempre di Marino Marini. Lionni si è circondato di opere d’arte, prevalentemente europee e italiane, che preferisce non appendere ma disporre su una mensolina di legno a mezza parete, come una composizione di bottiglie di Giorgio Morandi e un disegno di Henry Moore. In soggiorno, opere d’arte, un tavolino basso e i libri per leggere vicino al camino ad angolo, con una grande cappa in lamiera verniciata e la bocca del focolare protetta da una rete metallica. I rivestimenti in noce, con le venature a vista, caratterizzano gli ambienti della sala da pranzo - con le credenze piene di stoviglie bianche - e dei passaggi allo studio e alla stanza da letto.
Al piano superiore Lionni lavora, legge e dipinge davanti alla luce naturale che entra dalla parete finestrata ed è ampliata dal bianco delle pareti e del soffitto a listelli verniciati. Affianco alla finestra c’è un divano con una luce bassa per leggere e un mobile con il giradischi. La libreria incassata nel muro è fatta di sostegni metallici spostabili e raccoglie libri – c’è un catalogo di Goya – e riviste, testimoni della sua passione, che è anche la sua professione; nella parte inferiore Lionni ripone pennelli e colori, dietro a una tendina di paglia: “una pagina arrotolabile copre il deposito degli arnesi da pittura”. La postazione di lavoro è una scrivania con una sedia di Eames, barattoli con matite e un mobile d’archivio in metallo. Appoggiati alla parete, pile di dipinti e, appesi a chiodi, righelli e le forbici per i collages.
Leo Lionni, dopo felici esperienze professionali, come la consulenza per Olivetti per l’allestimento dello showroom di Chicago e di San Francisco, rientrerà in Italia negli anni Sessanta, in Liguria e poi in Toscana, per dedicarsi alla pittura, alla scultura, all’incisione e approfondire il ruolo sociale dell’artista nella collettività. Nell’immaginario comune, Lionni è noto per essere il creatore di capolavori illustrati per l’infanzia nati con i collages, come Piccolo blue e piccolo giallo (1959), e personaggi simbolici come il pesce Guizzino (1963), il coccodrillo Cornelio (1983) o il topo Federico (1967), oggi più che mai attuale: a differenza dei colleghi, che raccolgono il cibo per affrontare l’inverno, Federico raccoglie il sole, i colori e le parole, cibo per la mente da distribuire alla comunità nel buio del letargo… un saggio profeta?
Immagine di apertura: gli interni della casa di Leo Lionni, immagine tratta da “Spirito europeo in una casa americana” da Domus 299, ottobre 1954, Photo Leo Lionni e Ezra Stoller