Siamo alla fine degli anni sessanta, in Europa e in America si manifestano nuove operazioni figurative: dalla Minimal Art, alla Process Art, all’arte concettuale propriamente detta, all’Arte Povera e alla Body Art. Queste tendenze, tra loro molto diverse, sono legate da un atteggiamento contestatario verso il meccanismo di mercato dell’arte che, dagli inizi del secolo, ha portato la disciplina a “sopraelevarsi” rispetto al reale. L’arte diventa azione, reazione, per favorire la presa sul reale e recuperare quell’autonomia persa nel sistema industriale del lusso.
Su questa linea si pone la Land Art (o Process Art, o Earth Art), fenomeno che nasce tra il 1967 e il 1968 negli Stati Uniti d’America con Michael Heizer, Robert Smithson, Walter De Maria, Dennis Oppenheim, poi Robert Morris, Christo, Richard Serra, Alan Sonfist, James Turrell. Gli artisti operano direttamente sui territori naturali: dai deserti ai laghi salati, dalle praterie alle cave, lasciano segni artificiali con azioni di incisione, sottrazione, demarcazione e dislocazione.
Ecco allora comparire nel deserto del Nevada cinque enormi fosse rettangolari (Michael Heizer, Dissipate, 1968-69) mentre a Little Bay, vicino Sidney, Christo “impacchetta” quattro chilometri di costa (Wrapped Coast, 1969). Dietro la modificazione di un territorio si nasconde un processo simbolico-concettuale che diventa fonte di ispirazione per l’opera di Superstudio.
Il gruppo fiorentino si dedica al disegno di figure monumentali, a scala paesaggistica. Una progettazione libera da ogni discorso funzionalista, l’obbiettivo è quello di accentuare la componente fantastica a discapito della componente tecnica
Negli stessi anni infatti, il gruppo fiorentino, dopo una prima fase “pop” legata agli studi universitari e alla mostra di fondazione “Superarchitettura”, si dedica al disegno di figure monumentali, a scala paesaggistica. Una progettazione libera da ogni discorso funzionalista, l’obbiettivo è quello di accentuare la componente fantastica a discapito della componente tecnica: ora progettare significa condurre un’analisi critica al reale, lontana da ogni aspetto formale, “lentamente, al progetto-oggetto si sostituisce il progetto-comportamento” [1]. Quello che emerge è un atteggiamento comune, la componente critica al reale diventa la chiave di lettura dell’intersezione tra arte e architettura e le radici del pensiero della neoavanguardia architettonica si ritrovano proprio nella concettualizzazione e nella de-estetizzazione dell’arte contemporanea.
Superstudio appare sistematicamente su Domus con pubblicazioni di testi, disegni, progetti che sono sintesi del loro pensiero: l’urbanizzazione che opera sulla globalità della struttura urbana stessa, l’impostazione del discorso su un piano critico ponendosi come modello di comprensione, la generazione di una serie di immagini non rappresentative ma analitiche.
Nell’ottobre del 1969 pubblicano il “Viaggio nelle Regioni della Ragione” [2], un racconto a vignette dove raccolgono l’attività di ricerca condotta dal 1966 al 1969. Vengono riprese le forme di «Superarchitettura» – il cubo, l’arcobaleno, la nuvola, lo ziggurat, l’onda – per poi frammentarle e aggregarle secondo un metodo di composizione simbolico-concettuale. La creazione di narrazioni sugli eventi e sul significato profondo, a-temporale dell’architettura avvicina ideologicamente il gruppo alla Land Art, in particolare ad un artista, Walter De Maria.
De Maria fa “tabula rasa” degli archetipi esistenti nella storia delle arti visive, assumendo se stesso quale unico strumento di interrogazione e conoscenza. Il suo corpo, il suo “esserci”, è il mezzo per avviare quel processo di “epurazione" nell’arte necessario per sconfiggere la condizione di de-realtà in cui si trova, nello stesso modo Superstudio allude a una necessaria “ripulizia” del fare architettonico da ogni suo aspetto funzionale in prospettiva di un astrattismo assoluto. Più che ispirazione, è una sorta di tributo all’artista: in una vignetta del “Viaggio nelle Regioni della Ragione” viene raffigurata un’autostrada nel deserto e due linee parallele ispirate all’opera Mile Long Drawing (1968) nel deserto Mojave in California, un lavoro costituito da queste linee tracciate con gesso in polvere, lunghe un miglio, in cui era prevista la costruzione di due muri di cemento, molto alti, mai realizzati, una sorta di corridoio che gioca sul rapporto tra chiuso e aperto con un effetto di inquietante spaiamento sullo spettatore.
Il Monumento continuo è l’esempio maturo e compiuto dell’uso della metafora in termini concettuali, è un’operazione di distruzione e riduzione progressiva dell’oggetto architettonico nella quale tutta l’avanguardia è impegnata
Nel racconto di Superstudio si trova un riferimento anche all’intervento più grandioso di Michael Heizer, che nel 1969 realizza Double Negative, uno lavoro di sottrazione: due enormi scavi di forma regolare, uno di fronte all’altro ai due lati di uno stretto canyon del Virgin River Mesa, nel Nevada: 560 metri di lunghezza, 15 di profondità e 10 di larghezza, come una sorta di strada interrotta dalla valle.
Con la pubblicazione su Domus di “Discorsi per immagini” [3] del dicembre 1969 del Monumento continuo il tributo alla Land Art è ancora più evidente, anzi, palese. Il Monumento è l’esempio maturo e compiuto dell’uso della metafora in termini concettuali, è un’operazione di distruzione e riduzione progressiva dell’oggetto architettonico nella quale tutta l’avanguardia è impegnata.
Si abbandona il momento progettuale per creare immagini, viene data più importanza alle idee alla base del fare architettonico e non all’oggetto, il disegno non è più una riduzione in scala della realtà, dotato di un fine funzionale, ma si pone come dato concettuale. Tra i fotomontaggi che Superstudio realizza del Monumento continuo, in uno di questi il gruppo riprende proprio un’immagine di Walter De Maria sdraiato tra le linee parallele di Mile Long Drawing, che vengono cancellate per inserire la loro opera.
Questa struttura monumentale, fatta di campate colossali che possono ripetersi all’infinito, invade il paesaggio, lo attraversa e si proietta oltre, verso la conquista della metropoli contemporanea, crea un’effetto di smarrimento dal significato metaforico e simbolico che rende questa operazione del tutto simile ad un’opera di Land Art. L’architettura guarda all’arte e l’arte guarda all’architettura, tanto da poter assimilare l’intervento artistico in quello architettonico e viceversa, una intersezione disciplinare senza confini linguistici e formali.
- 1:
- P. Navone, B. Orlandoni, architettura “radicale”, documenti di Casabella, Milano, 1974
- 2:
- Superstudio, Progetti e Pensieri, in «Domus», n. 479, ottobre 1969, pp. 38-43
- 3:
- Superstudio, Discorsi per immagini, in «Domus», n. 481, dicembre 1969, pp. 44-46
Immagine di apertura: Superstudio, Monumento Continuo, 1969-70. Fotomontaggio: veduta con De Maria (Musée National d'Art Moderne, Centre Georges Pompidou, Paris).