Lo scorso mese, quando finalmente è stato riaperto questo ponte pedonale ormai famoso in tutto il mondo, ho rivisto quello che avevo scritto a suo tempo per l’Observer, il quotidiano inglese della domenica: un testo un po’ imbarazzante, visto che il ponte fu chiuso precipitosamente appena poche ore dopo l’inaugurazione ufficiale. “La cosa più bella che si può dire a proposito del percorso che in sette minuti a piedi porta da Bankside a St Paul, attraverso l’unico ponte costruito a Londra nell’ultimo secolo, se paragonato per esempio a un giro intorno al London Eye, è questa: che alla fine si arriva da qualche parte. Il ponte ha cambiato non soltanto l’aspetto di una parte fondamentale del fiume, ma anche il modo in cui funziona. Per la prima volta è possibile andare a piedi dalle sale delle contrattazioni di borsa e dalle sedi delle società della riva nord e immergersi direttamente nel mondo della riva sud. Percorrere questo ponte è anche un’esperienza fisica intensa. Sotto il cielo grigio e minaccioso, c’è nell’aria l’inconfondibile odore londinese di fango da bassa marea. Nella brezza si sentono i prodromi della pioggia e sotto i piedi le vibrazioni dell’alluminio”.
Già, le vibrazioni. Il giorno precedente la pubblicazione dell’articolo – troppo tardi per i tempi di un giornale – sul ponte si trovava Roger Risdill-Smith, il giovane ingegnere di Ove Arup che si era occupato di tutti gli aspetti del progetto, da quando Norman Foster fu colpito dal famoso schizzo di una “lama di luce” tracciato su un tovagliolino di carta. Quando il ponte cominciò a riempirsi di gente, Risdill- Smith notò il primo segno di un movimento che era qualcosa di più di una vibrazione. “Accadde in pochissimo tempo e non si poteva dire che fosse una vibrazione, bensì un movimento più pronunciato accompagnato da un rumore. Pensai:‘Interessante’, ma quando la gente si diradò il ponte tornò tranquillo”. Poi, all’ora di pranzo, quando le persone tornarono ad accalcarsi alle due estremità, il ponte cominciò veramente a muoversi. Tutte le 690 tonnellate del piano di calpestio in alluminio cominciarono a ondeggiare come un gigantesco giocattolo; i pedoni, sospesi sopra il Tamigi su sottili cavi d’acciaio, cominciarono ad aggrapparsi ai corrimano e a tentare di controbilanciare il movimento per stare in piedi. Mentre questo avveniva, le oscillazioni si facevano sempre più violente.
Risdill-Smith ripercorse mentalmente tutti i calcoli, tutte le previsioni di sicurezza, tutti i test nella galleria del vento, tutti i giganteschi cassoni idraulici usati in Canada per misurare la resistenza del ponte all’acqua. Nessuna di queste operazioni e di questi controlli aveva fatto prevedere una simile possibilità. Era una cosa che semplicemente non poteva accadere. Tutta la sua esperienza di ingegnere gli diceva che il ponte doveva essere stabile e che certamente era sicuro. Eppure anche lui deve avere avuto un flash del grande ponte sospeso di Tacoma Narrows, che si agita tanto da andare in pezzi, nel 1940. Prontamente arrivò la polizia, che sgombrò il ponte e lo chiuse: giusto il tempo per gli esperti di capire cosa era andato male e riparare al danno. Se si pensa ai disastri che possono accadere quando un’opera di ingegneria cede, si può dire che è andata bene. Nessuno si è fatto male, ma vedere una realizzazione di questa portata chiusa così improvvisamente è stato certamente umiliante per gli orgogliosi ingegneri di Arup: un gruppo che ha costruito di tutto e dappertutto, dall’Opera House di Sydney alla torre della Hong Kong & Shanghai Bank. Il loro imbarazzo fu un’occasione irresistibile per i loro colleghi più pignoli, che si precipitarono a tranciare giudizi su ciò che era accaduto: anche perché i progettisti di Arup sembravano veramente esserselo tirato addosso.
La loro ‘giustificazione’ fu che avevano permesso a Foster di spingerli a violare i limiti del ragionevole. “È naturale che il ponte avrebbe traballato, basta guardarlo”: fu la dichiarazione unanime. Con i sostegni a sbalzo e il profilo piattissimo, la “lama di luce” non assomigliava a nessun altro ponte. Si disse che era il risultato della presunzione di chi è troppo bravo. Eppure secondo Tony Fitzpatrick, che ha guidato il gruppo Arup nella ricerca di una soluzione, “il problema non è stato causato da ciò che nel ponte è diverso. Tutte le soluzioni innovative che abbiamo applicato hanno funzionato egregiamente. Ciò che ci ha dato il colpo di grazia è stata invece la parte uguale a quella di ogni altro ponte a grandi campate. Abbiamo pensato che questa parte avrebbe funzionato, come è accaduto per tutti i ponti fino a ora: qui abbiamo sbagliato”.
Senza gli ingegneri, il ponte non starebbe su. Senza gli architetti non ci sarebbe stata la cura maniacale per il dettaglio, che ha trattato la progettazione di ogni bullone e di ogni giunto come fosse un tema architettonico di importanza fondamentale. Senza la maestria di Foster e la sua difesa a spada tratta contro tutti i dubbiosi, il ponte non sarebbe mai stato costruito. E senza Caro? Nella forma che il ponte ha assunto oggi è difficile individuare la parte che Caro vi ha avuto, ma senza di lui il ponte sarebbe stato completamente diverso. Egli è rimasto nel gruppo anche quando la forma originale, che avrebbe dovuto portare più chiaramente la sua firma, fu modificata per andare incontro alle richieste arrivate dalla giuria del concorso per una progettazione “meno scultorea”.
“La gente mi chiede: qual è la parte del ponte che hai fatto tu?”, dice Caro. “E io naturalmente non posso indicarne neanche una in modo specifico, ma non è questo il punto. L’idea di uno scultore, di un architetto e di un ingegnere che lavorano insieme: ecco ciò che rende diverso il ponte, e quando sono state prese tutte le decisioni importanti io c’ero. Chiedere a uno scultore, all’ultimo momento, di fare il parapetto di un ponte, questo è il vecchio modo di lavorare. Noi invece abbiamo lavorato in modo nuovo, ed è stato bellissimo. Ho imparato che gli architetti pensano in modo diverso da noi artisti. Noi possiamo dire cose che loro non oserebbero mai, per esempio: perché non proviamo a girarlo da sotto in su? D’altra parte, gli architetti hanno molto da insegnarci riguardo alla scala e alla dimensione delle cose”.