L’immensa distesa del Rio Negro, l’incredibile varietà della vegetazione amazzonica e la semplicità del canto degli indios sono i tre ingredienti fondamentali della pellicola girata da Restany in Brasile alla fine degli anni Settanta.
Nel luglio del 1978 il critico d’arte di Domus insieme gli artisti Sepp Baendereck e Frans Krajcberg da inizio all’ambizioso progetto di risalire la corrente, con l’obiettivo di scoprire zone inesplorate della foresta amazzonica ed entrare in contatto con la cultura degli Indios.
Una preziosa pellicola 16 mm conservata nell’Archivio Domus documenta quell’incredibile avventura da cui è scaturita la creazione del Manifesto del Rio Negro.
Il progetto della spedizione nasce nella mente dei due artisti che, dopo aver elaborato l’itinerario del viaggio nell’estremo nord del paese, invitano l’amico Pierre Restany ad accompagnarli alla scoperta di un ambiente e di una natura incontaminati. Baendereck e Krajcberg, due artisti europei naturalizzati brasiliani negli anni Cinquanta, già lavoravano da anni traendo ispirazione dalla natura brasiliana e in particolare dalla foresta amazzonica.
Le immagini, girate in quaranta giorni, ricordano i documentari naturalistici e sono intervallate a scene che testimoniano le numerose conversazioni che avvengono tra i tre amici.
Il fascino delle correnti del fiume, gli intensi primi piani degli Indios, la minuziosa descrizione delle specie vegetali fanno da scenario alle intense discussioni filosofiche del trio, in un perfetto connubio tra arte e natura.
Malgrado i tre non partano con idee chiare e definite su cosa sarebbe scaturito dalla loro esperienza, raccontano come il naturalismo integrale si impone come spontanea conseguenza della loro permanenza in quei luoghi. In seguito, Restany, che da tempo si interessava al rapporto tra arte e natura, riassume le sue impressioni sul viaggio definendolo come lo “Shock amazzonico”: uno scontro brutale provocato dall’isolamento dalla civiltà occidentale che gli permette di riflettere sulla sua condizione di uomo e sul suo rapporto con la natura.
Le problematiche avanzate si inseriscono nel solco della coscienza ambientalista che vede, al principio degli anni Settanta, il suo ingresso negli ambienti politici internazionali con la fondazione dei primi partiti ispirati ai principi di sostenibilità e di tutela dell’ambiente.
Restany, Baendereck e Krajcberg, a contatto con gli Indios, constatano come queste popolazioni tendano a perdere, sotto le spinte della civilizzazione, i valori su cui la loro cultura è stata fondata e di come i prodotti del progresso stiano diventando necessari anche al loro sostentamento.
Restany, sopraffatto dalla bellezza della natura, si chiede quale possa essere il ruolo dell’arte nella società contemporanea, sotto quali forme e secondo quali principi essa possa offrire una chiave di lettura del presente che ne incarni le problematiche e le criticità.
La tradizione realista deve essere soppiantata dal naturalismo integrale, ovvero da una visione della realtà basata sulla sensibilità dell’individuo che si oppone ai ritmi vitali dettati e imposti dalla società occidentale, che incombe minacciosa sulla vera natura dell’uomo.
Al termine del viaggio Restany prende parte ad un ciclo di conferenze internazionali in cui si analizzano le varie declinazioni del rapporto tra natura e cultura con l’obiettivo di focalizzare le relazioni tra due discipline così apparentemente distanti ma inevitabilmente connesse.
Sarebbe interessante oggi ripercorrere lo stesso itinerario compiuto dai tre protagonisti della pellicola e confrontare la trasformazioni dei luoghi e degli insediamenti umani a più di trent’anni di distanza. Con buona probabilità le problematiche alla base del manifesto apparirebbero ancora più urgenti e le scene girate potrebbero acquisire, oltre che un valore storico artistico, anche quello di testimonianza della continua e forse evitabile distruzione di quei luoghi.
I temi della sostenibilità, e la denuncia del consumismo indiscriminato sono al centro del lavoro di molti artisti contemporanei e negli ultimi anni si sono moltiplicate le esposizioni sull’argomento. Forse davvero come auspicava Restany l’arte può aiutare, se non a risolvere questi problemi, forse a comunicare più efficacemente l’urgenza di risolverli e a facilitarne la presa di coscienza.