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Pubblicato in origine su Domus 563 / ottobre 1976
Secondo viaggio di Agnoldomenico Pica nelle facoltà di Architettura di Venezia e di Torino
In quello splendido e assurdo labirinto che è Venezia le sedi dell'Istituto universitario di architettura .. si annidano, come possono, in tre edifici
storici: l'ex convento dei Teatini nel Campazzo dei Tolentini a pochi passi da Piazzale Roma e dal Giardino Papadopoli, Palazzo Tron sul
Canal Grande a San Stae, Palazzo Badoer in Rio terà San Tomà quasi all'ombra di Santa Maria Gloriosa dei Frari.
In Campazzo dei Tolentini, al di là di una cesata "provvisoria", nell'ampio convento cinquecentesco restaurato nel 1960-64 da Daniele Calabi,
sono installati la direzione e gli istituti, a Palazzo Tron, ora in restauro, è agibile il solo piano nobile che ospita il IV e il V anno di Composizione architettonica, in fine in Palazzo Badoer - pure in via di lento restauro - sono allogate la Casa dello studente (solo 48 posti assegnati per concorso) e, al piano terreno, la mensa universitaria capace di 200 coperti. Ma non è finita: l'attuale vocazione di Venezia al decentramento turistico (vedi le dieci sedi della Biennale) ha comportato una quarta stazione, la Villa Albrizzi di Preganziol, a 23 chilometri da Venezia in provincia di Treviso, dove è sistemato il "Corso di laurea in urbanistica", per il quale si invoca, motivatamente, il trasferimento a Venezia.
Nel chiostro dei Teatini leggiamo una delle solite scritte rosse allo spray: "Non ci saranno più sciocchi ad attendere come una folla di ciondoloni che esca una parola dalle labbra del maestro". È una profezia di Majakowski, il rivoluzionario tradito, che non diremmo avverata se, qui, gli "sciocchi", per l'anno corrente, sono 5.927. Vero che di questo bel numero soltanto
il 40 %, ci dice il direttore Carlo Aymonino, frequenta, ma, allora, i 3.550 circa che non si fanno vedere e che, dunque, sarebbero non-sciocchi, che si iscrivono a fare? Non vogliamo pensare che tutto si riduca a una questione di buoni mensa e di "pre-salario". Di singolare interesse, a Venezia, l'istituzione del corso di laurea in Urbanistica, che, con la direzione di Giovanni Astengo, funziona dall'anno accademico 1971-72. L'esperienza, per ora unica in Italia, dovrebbe prossimamente replicarsi nella nuova Università della Calabria.
Viaggio nelle facoltà di architettura: parte 2
Continua il viaggio di Agnoldomenico Pica all'interno delle maggiori facoltà di Architettura italiane, negli anni '70. Dopo Firenze e Roma è ora la volta di Venezia e Torino.
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- 22 dicembre 2012
Denso l'ordine degli studi: Analisi delle strutture urbanistiche, Teorie urbanistiche (e cioè storia dell'urbanistica), Progettazione urbanistica, Disegno e comunicazioni visive, Fondamenti di matematica, Economia urbana e regionale, Cartografia, Fondamenti di statistica, Sociologia urbana e regionale, Geografia urbana e regionale, Infrastrutture per la viabilità e per i trasporti, Tipologia strutturale, Gestione urbanistica, Storia delle strutture urbane e territoriali (cioè, ancora: Storia dell'urbanistica), Diritto e legislazione urbanistici, Storia delle dottrine politiche, Storia delle dottrine economiche. Forse pleonastiche le ultime due. Fra le molte materie facoltative sembrano alquanto al di là degli interessi specifici di un futuro urbanista l'Epistemologia e la Metodologia, che entrano, la prima nella Gnoseologia, la seconda nella Logica, entrambe nel dominio squisitamente filosofico. Altrettanto ridondante è a dirsi l'Econometria che toccherebbe più pertinentemente a Ca' Foscari (Economia e Commercio). Viceversa dovrebbero essere obbligatorie, e non facoltative, materie come l'aerofotogrammetria e quelle "Tecniche di rappresentazione dei fenomeni territoriali e urbani" che - con dizione meno macchinosa e più perspicua - si chiamano Topografia.
Ci chiediamo se l'istituzione di una laurea particolare in urbanistica, nell'ambito della facoltà, sia pienamente accettabile. Uno dei problemi di fondo dell'attuale organizzazione dello scibile è proprio quello delle innumerevoli specializzazioni: inevitabili, ma limitanti e, fra l'altro, desinenti nella incomunicabilità fra i vari rami, nonostante il gran parlare di interdisciplinarità.
Ora, ammesso che oggi le specializzazioni sono irrecusabili, sembrerebbe più consigliabile, proprio perché limitanti, rimandarle a corsi supplementari da seguire dopo i corsi fondamentali della materia-madre, nella fattispecie dopo la laurea in architettura. Esiste già il non-senso di due facoltà, ingegneria civile e architettura, che dovrebbero convenire in una sola, non sembra urgente fabbricarne una terza, in cui sviluppare un solo ramo.
Di questo passo, domani, potremmo ritrovarci tante facoltà quante sono le materie oggi comprese nell'ordine degli studi di architettura. Inoltre gli interessi dei due corsi, architettura e urbanistica, sono talmente interferenti da potersi interscambiare: la dimostrazione, ove occorresse, ci è offerta proprio dall'Istituto veneziano.
Quest'anno, nei Magazzini del sale alle Zattere (13 maggio-15 giugno) l'Istituto ha esposto i risultati di una ricerca esemplarmente condotta, in ambito scolastico, circa i "Problemi di Venezia, Murano e Chioggia"; si tratta di una rigorosa analisi e di alcune proposte di "restauro", di "risanamento" e di "riciclaggio" di interi quartieri nei tre centri antichi: come è patente si tratta di un impegno squisitamente urbanistico, che, tuttavia, non è stato affrontato dal Corso specifico ma - del tutto leggittimamente - da quello di architettura.
Piuttosto intensa la vita dell'Istituto, anche a giudicare dai molti disegni, talora ben condotti, che abbiamo visto esposti nel chiostro dei Teatini e dalla caterva di elaborati in cui, a Palazzo Tron, abbiamo ritrovato sommersi due giovani assistenti di Aymonino: Vanna Fraticelli e Carlo Magnani.
E dunque sembrerebbero superati i tempi (recenti) in cui si mormorava che un neolaureato dell'Istituto veneziano avesse reso noto a un suo potenziale committente come fosse disposto non già a fornirgli un progetto, ma, semmai, a discuterne. Non superata, invece, la tendenza
centrifuga e degli allievi e, più grave, di alcuni docenti. Il fenomeno, da noi più volte denunciato, si risolve in una sorta di progressivo allontanamento dal centro (forse inconsapevolmente parallelo alla "perdita del centro" - "Verlust der Mitte" 1948 – individuata da Hans Sedlmayr?) e cioè nel proiettarsi degli interessi in campi affatto estranei all'ordine degli studi; di ciò, s'è osservato dianzi, è traccia pure nei programmi, ma più incidentemente, nella vita dell'Istituto, come risulta da episodi recenti e tanto clamorosi che sembra inutile rievocare.
Uno dei problemi di fondo dell'attuale organizzazione dello scibile è proprio quello delle innumerevoli specializzazioni: inevitabili, ma limitanti e, fra l'altro, desinenti nella incomunicabilità fra i vari rami, nonostante il gran parlare di interdisciplinarità
A differenza delle Scuole di Roma, Firenze, Venezia, tutte policentriche, la Facoltà di architettura del Politecnico torinese gode il vantaggio di una sede unica, e, inoltre di alto prestigio: il Castello del Valentino, magnificamente situato nel parco in riva al Po. È anche vero che gli spazi attualmente fungibili si sono ormai rivelati ampiamente insufficienti per i 4.500 iscritti, che per ora, dispongono seltanto di dieci aule. Secondo il preside, Mario Roggero, esiste la possibilità di un adeguamento degli spazi senza ricorrere a costosi e disagevoli decentramenti. È in programma l'acquisizione del fabbricato laterale, ora occupato dalla scuola di Grafica frequentata soltanto da una ventina di allievi, inoltre una cospicua parte del Castello (piani superiori delle quattro torri, ecc.) è oggi inagibile: basterebbe sistemarla.
Vero che non è il caso di illudersi circa il tempestivo intervento della pubblica Amministrazione, la quale - è sempre Roggero a farcelo notare - ha già speso somme ragguardevoli
per il nolo delle difese provvisorie (cesate di rete metallica, tipo pollaio) poste in opera lungo le due ali del cortile aperto, cioè lungo le zone minacciate dalla non infrequente caduta di scandole dai tetti. Per un'ordinaria ricorsa delle coperture, e relativo fissaggio delle scandole pericolanti, si sarebbe speso assai meno e molto più utilmente. Con una conduzione ispirata a simili concetti è probabile che, prima di rendere funzionanti le parti residue del Castello, si pensi di apprestare baracche precarie nel giardino o, magari, di sistemare qualche aula in zattere o barconi galleggianti sul Po, il che, fra l'altro, potrebbe assumere il romantico sapore di un'evocazione di Redburn: His First Voyage di Herman Melville.
Dell'esercito studentesco circa il 60% o frequenta. Percentuale alta, dati i tempi, benché sempre scarsa in una facoltà per la quale, un tempo e giustamente, la frequenza era obbligatoria per tutti gli iscritti. Nella composizione del corpo studentesco hanno notevole incidenza, oltre ai numerosi stranieri (come sempre, specie dal Vicino Oriente), i cosiddetti studenti-lavoratori, per i quali esistono anche corsi serali (17,30-20,30) quotidiani: si tratta in genere di geometri, cioè di funzionari in caccia di laurea per lo scatto di carriera, che si applicano con impegno, disponendo già di una certa esperienza, i quali, ci dicono, debbono essere "riciclati culturalmente".
Sufficientemente regolare, in genere, lo svolgimento degli studi. Roberto Gabetti, ordinario di Composizione, ci dichiara che si tende a dare precedenza agli elaborati in confronto alle disquisizioni verbali, e Roggero incalza, icasticamente, facendo osservare come, qui, si accordi prevalenza alla "matita" sulla "parola ". Riguardo agli insegnamenti scientifici e alle applicazioni tecniche, a parte l'eventuale rapporto con gli istituti del Politecnico (come a Venezia con l'università di Padova), i quadri della docenza non potrebbero dirsi deficienti con titolari come Manfredo Montagnana, Roberto Riganti, Massimo Foti per Analisi matematica e Geometria analitica, Giuseppe Antonio Pugno per Fisica tecnica e impianti, Filippo Mondino per Geometria descrittiva, Alberto Chiorino per Scienz·a delle cestruzioni, Giorgio Dardanelli per Statica, Giuseppe Ciribini per Tecnologia della architettura, Giacomo Donato per Tipologia strutturale; tutte materie il cui insegnamento, variamente qualificato, è presente pure nelle altre facollà. Singolare la cattedra di "Ponti e grandi strutture", affidata a Vittorio Nascé, che, almeno negli intenti e nel tilolo, sembra felicemenle parafrasare la gloriosa "Ecole des ponts et chaussées" che dal Settecento funziona in Parigi. Di un certe interesse le ricerche "di gruppo" condotte nell'ambito della Facoltà.
Si tratta di studi monografici, che non sostituiscono i corsi normali, ma li integrano impegnando un manipolo di discenti nell'approfondimento pluriennale di un determinato tema. Attualmente, sotto la guida del Roggero, è in corso uno studio sulle periferie urbane, altra ricerca dello stesso tipo si sta svolgendo sul tema della Scuola materna. A quest'ultimo riguardo abbiamo avuto il destro di assistere a una riunione nello sludio di Giorgio De Ferrari, il quale tiene a sottolineare come il metodo seguito da lui e dal suo collega Enrico Bettini, che assistono gli studenti, sia a un tempo critico-analitico e propositivo. Gli studenti presenti - Giorgio Scivolato, Roberto Enriello, Gisella Quadri e altri - che abbiamo interrogato, sembrano abbracciare l'impegno con entusiasmo e con la confidenza che questa sorta di studiobottega (in senso antico) ispira; del resto, docenti e discenti, con molla cortesia e altrettanta fermezza, dopo averci brevemente ascoltato e risposto, ci hanno messo premurosamente alla porta nell'evidente, e legittimo, intento di non perdere tempo. Come si vede, il tutto, qui a Torino, dà l'impressione di una talquale efficienza "subalpina", di una serietà che tenta di reagire allo sfacello generale, non però alle mode e alle fisime politiche, o parapolitiche, di cui qualche traccia, del tutto impertinente, riscontriamo perfino in pubblicazioni ufficiali della Facoltà.