Una conchiglia si forma poco a poco, per infinite stratificazioni che sono un'immagine negativa e pietrificata della bestia che dentro vive: è l'espressione pratica di un sentimento. Così i nostri visi e le nostre case. Esse ci crescono attorno, e fissano, nelle tende fiammanti o scolorite e nei muri impeccabili o scrostati, vicende paterne e infantili, abitudini, passioni e noia. Leggiamo come fotografie gli interni spaccati dalle demolizioni, e le loro carte fiorate, che raccontano i bisogni monotoni degli uomini, come abiti appena smessi che serbano il calore del corpo. Dentro queste sentimentali conchiglie viviamo, ma, per quanto esse, come la veste da camera di Diderot, abbiano la nostra forma, e parlino, possono essere oggetto dell'arte, non arte. E meno ancora hanno a che fare con l'arte quelle altre case, tutte nuove, di cui sono piene le riviste, nelle quali si nsolvono problemi di "gusto moderno" inseguendo i bisogni di un ipotetico uomo 'funzionale', o l'idea di una Bellezza astratta, insita, per misteriose ragioni, in certi rapporti, in certi moduli e mode (l'idea, per così dire, di una suppellettile ideale eterna): L'ostrica ha fatto il guscio, in ogni parte, in quarto bono, coi dovuti affreschi Matissiano-ortodosso-masacceschi ed un torrione basso nel gusto di Picasso (ma un poco più neoclassico). Po', beata, si è assunta al ciel dell'arte.
Chi, guardando queste fotografie o visitando direttamente la Casa Miller, vi cerchi soluzioni nuove a problemi di costruzione di mobili d'uso, di collocazione di oggetti in un ambiente da abitarsi, di particolari decorativi troverà di certo risposte brillanti e utili
Che cosa dice dunque, o che cosa accenna a dire questa Casa Miller? Che cosa è quel suo mondo, per il quale siamo indotti a considerare come errori i pregi del gusto e della abilità? L'architettura di Mollino (e il discorso vorrebbe, d'ora innanzi, documenti più abbondanti che questi presenti, poichè si riferisce non solo alla Casa Miller, ma, attraverso di essa, presa come primo abbozzo e tentativo, a quelle altre opere più importanti e realizzate ch egli ha costruito o ha in corso), l'architettura di Mollino, se mi si consentano queste distinzioni, tende, piuttosto che alla effusione lirica, al romanzo, alla creazione cioè e alla descrizione di personaggi. Rivolta all'uomo, non si appaga in generale di svelare l'umano in forme assolute bastevoli a se stesse, formalmente determinate (per quanto, anche nell'opera di cui ci occupiamo esistano oggetti realizzati senza necessità di rapporti: come, ad esempio, le curve rincorrentisi del piccolo tavolino di vetro, amate come un teorema risolto). Il suo interesse è invece per un uomo individualmente determinato nella coesistenza di tutti i suoi tempi e di tutti i suoi spazi e perfino, se si potesse ottenerlo, di tutte le sue possibilità. Questa aspirazione a una singola totalità anzichè implicita e nascosta, diventa esplicita e oggettiva: si riferisce cioè a un "personaggio" che Mollino descrive con i mezzi dell'architettura e della scenografia. Architettura nasce qui da autobiografia, ed è lo sforzo di liberarsene oggéttivamente come racconto: da questo sforzo nasce il personaggio. È un ambiguo personaggio, insieme in prima e in terza persona, un Ulysses mistificatore alla ricerca degli spazi perduti. La Casa Miller vuol essere piuttosto che la casa di questo personaggio inventato, il personaggio stesso (o un suo primo tentativo di esistenza), nel cui ventre, come in quello della balena, vivranno gli abitatori reali. La caratteristica principale del nostro personaggio è che egli tende a bastare totalmente a sè stesso, a trasformare tutto in coscienza, a razionalizzare tutti gli impulsi e tutti i sentimenti, e a dominare. Se dunque è un personaggio libero, lo è come un tiranno alfieriano. Egli vuol essere tutto: ne viene come prima conseguenza che, nella sua rappresentazione, lo spazio (poichè questa, spaziale, è la sua natura) dev'essere finto. Questo è un mondo chiuso: siamo sul palcoscenico o nell'interno di un capitolo. L'uscio è serrato: quello che è fuori è totalmente arbitrario. Ma, dentro, tutti gli spazi possibili debbono coesistere: quelli dell'infanzia e quelli della vecchiaia, e l'attualità e il ricordo, e l'evidenza e il pudore.