Bernard Rudofsky: note di un viaggio in Oriente

Su Domus, il teorico viennese trapiantato in America anticipava alcune riflessioni sull'architettura spontanea, che avrebbero trovato forma compiuta qualche anno dopo con l'edizione di "Architettura senza architetti".

Pubblicato in origine su Domus 357/agosto 1959

Sotto ogni punto di vista Barcellona e Bangkok hanno ben poco in comune. Il clima e la topografia delle due città, il fisico e il temperamento dei loro abitanti non potrebbero essere più differenti. E nonostante l'influenza livellatrice della civiltà occidentale, neppure le opere e gli oggetti, spagnoli e siamesi, hanno alcunchè in comune. Specialmente l'architettura. Con una eccezione: Gaudi sembra gettare un ponte multicolore tra l'Occidente e l'Oriente. Dove egli può dare campo libero al suo personalissimo mondo di forme - come nel tetto di Casa Mila e al Parco Guell - la sua immaginazione si fa prodigiosamente orientale. È come se il suo tappeto volante personale lo trasportasse dal rigore di una città spagnola a un mondo fantastico di eccitazione visuale.

La parentela tra certi templi Siamesi e le torturate escrescenze delle costruzioni di Gaudi appare persino nei particolari minuti, come nell'uso di piastrelle di ceramica; anzi, di frammenti di ceramiche  rotte, di vasellame rotto, usato con grande freschezza. Ma i mosaici di Gaudi sono piatti, e le composizioni un po' casuali, quasi al modo di tappeti di toppe. La tecnica siamese è invece più delicata, più attenta, quasi appassionata.

Vedute interne degli edifici circolari di Jantar Mantar, destinati a misurare i giri del sole, della luna e delle stelle, e raccolti uno di fianco all'altro, su un prato, questi immensi strumenti in pietra hanno una bellezza che non è di scenografia nè di scultura

A Bangkok, quegli stessi piatti e vasi rotti, sono stati trasformati in scultura policroma, in mosaici a fiori e fioriture che sulle ripide pareti dei templi, sono sfavillanti e sensuosi quanto la stessa fauna tropicale. (A questa tecnica, a questa "arte dei piatti rotti", che non ha ancora un vero nome, si potrebbe dare quello di 'debrismo' dal francese 'débrisme' ; inglese 'debrism'; tedesco 'Scherbengestaltung'). Di una architettura intatta da considerazioni pratiche, di una architettura fine a se stessa, di una "architecture  pour  l'architecture" ,  assai rari sono gli esempi  ai giorni nostri. Quelli che forse più vi si avvicinano sono gli edifici che presentiamo in queste pagine. Architetture non funzionali  quanto può esserlo l'architettura.  Sono innocenti di porte, finestre e tetti,  particolari che inevitabilmente guastano  le migliori intenzioni di un architetto.  A pensarci, non hanno neppure dei piani.  E, non c'è bisogno di dirlo, non hanno colonne, cornici, profili o  ornamenti. Si tratta di architettura  soltanto nel senso che è fatta di  mattoni e pietre, stuccata e dipinta. A rigore di logica, questi non  sono edifici, ma strumenti costruiti  in scala enorme per minimizzare l'errore: rappresentano l'intero impianto  di un osservatorio. 

Delhi: gli “strumenti astronomici architettonici” di Jantar Mantar, costruiti nel diciottesimo secolo. In India i metodi di osservazione del cielo si svilupparono con la costruzione di questi immensi strumenti in mattoni e pietra, la cui scala, enorme, permetteva di raggiungere una grande precisione di misure.

In India si trovano parecchi impianti  di questi strumenti astronomici,  che servivano a misurare i giri del sole, della luna, delle stelle. Quelli qui illustrati, del Jantar Mantar, sono a Delhi e furono costruiti nel diciottesimo secolo. È probabile che da lungo tempo si sia smesso di usarli, e ci si chiede quanti sarebbero ancora  in grado di farlo. Sebbene superati come strumenti, essi sono  di una stupefacente precisione.  Stanno a testimoniare di un tempo in cui gli spazi celesti non erano ancora stati tentati dall'uomo,  quando i missili erano tascabili e venivano lanciati soltanto  una volta all'anno, in onore di un santo.  È Senza dubbio questa qualità loro  non-utilitaria che ne aumenta  l'indefinibile fascino.

Queste pareti non contengono che dei vuoti. Le scale non conducono a nessun posto. L'architettura qui si fa giuoco dell'architettura.  Eppure c'è un certo tocco magico, in questo: queste costruzioni  racchiudono un incantesimo: hanno l'aria di essere  'abitate' sebbene siano  proprio l'opposto delle rovine.  C'è qualche cosa di lunare, in esse,  anche quando il sole è allo zenith.  Sono labirinti di un più alto ordine, in cui nessuno si perde, dove ogni cosa è chiara come la luce del giorno; il sogno di un giorno di mezza  estate, per così dire.

Queste pareti non contengono che dei vuoti. Le scale non conducono a nessun posto. L'architettura qui si fa giuoco dell'architettura.  Eppure c'è un certo tocco magico, in questo: queste costruzioni  racchiudono un incantesimo: hanno l'aria di essere  'abitate' sebbene siano  proprio l'opposto delle rovine.
Forme e spazi astratti degli strumenti architettonici di Jantar Mantar.