Kenzo Tange ha da subito rappresentato un Giappone nuovo all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, il Giappone che si inseriva in una dimensione globale guardando a occidente, aprendo un dialogo tra la profondità di una cultura locale e i linguaggi del moderno che stavano prendendo piede nel mondo. Già nel 1952 Gio Ponti aveva pubblicato la sua Peace Hall di Hiroshima su Domus, individuando nel progetto il germe di un lungo scambio; nei decenni avremmo poi trovato suoi lavori in Italia – Bologna, Napoli, Catania – come in Europa e in Asia, col Giappone sempre in primo piano. Nel 1964 a Tokyo arrivano le Olimpiadi, e Tange sviluppa un masterplan che include uno dei suoi capolavori, lo stadio con piscine e campi da basket oggi ancora in uso come Yoyogi National Gymnasium. Un suo commento inizialmente concepito per la rivista Kenchiku Bunka, veniva pubblicato anche da Domus nel marzo del 1965, sul numero 424, per raccontare la genesi e il carattere di opere pronte a rappresentare un’epoca.
Kenzo Tange per Tokyo
Con gli stadi di Tokyo, Kenzo Tange continua a stimolare, come nel passato, le possibilità creative della architettura del nostro tempo. Il contributo attuale del Giappone all'architettura – ricco di inventiva, e di un nuovo slancio, svincolato da canoni vecchi e nuovi – è importante. Sulla concezione e nascita di quest'opera – che per l'unità di forma e di struttura, e le gigantesche dimensioni, è eccezionale – ascoltiamo la testimonianza dell'autore.
Mi rendo ben conto – scrive Tange – della grande responsabilità che ha comportato la costruzione di edifici come questi. Sono grato a coloro che mi hanno assistito e che han partecipato con i loro sforzi e se penso alle difficoltà che è costata quest'opera, e alle ansie per portarla a termine in così breve tempo, mi auguro con tutto il cuore che essa serva ancora a lungo al Giappone, come centro sportivo popolare, sempre aperto, dopo il grande episodio delle Olimpiadi.
Il complesso è composto dallo Stadio del Nuoto, per quindicimila spettatori, dallo Stadio per Palla a Canestro, per quattromila, e dal lungo edificio amministrativo, coperto da una 'passeggiata', che corre fra l'uno e l'altro. Il nostro problema maggiore era lo Stadio del Nuoto: come distribuire quell'enorme spazio, e con quale struttura coprirlo.Per la struttura, prese in esame varie possibilità, con il collega Tsuboi e gli altri collaboratori, arrivammo molto presto alla scelta di una struttura sospesa, una tensistruttura in acciaio.
L'acciaio è il più importante elemento della tecnica e della architettura attuali. La sua prerogativa, la resistenza alla tensione, si sta sviluppando in resistenza all'alta tensione. L'utilizzare in modo razionale questa prerogativa risponde all'indirizzo che l'architettura contemporanea sta prendendo. Le dimensioni stesse – pensavo – portano con sé il suggerimento della struttura: si procede dalla trave all'arco, alla volta, alla cupola, alla struttura sospesa, secondo le distanze da collegare; come nel caso dei ponti.
Nello Stadio del Nuoto, dunque, i cavi principali che reggono la copertura sono tesi, lungo l'asse longitudinale della costruzione, fra due enormi pilastri di cemento, come un ponte sospeso; e, ai due capi dei cavi, due tiranti sono fissati ad ancoraggi al terreno. A destra e a sinistra dell'asse longitudinale, sono le due grandi falci delle tribune; le tribune superiori, inclinate (a rampa, per il percorso degli spettatori) funzionano strutturalmente come due enormi archi, alzati obliquamente. La copertura, costituita dai cavi secondari che partono dai cavi assiali, si aggancia; tesa, a questi archi, cioè all'orlo superiore delle tribune. Per effetto di questa tensione, i due cavi assiali, in origine paralleli, si divaricano, e si apre fra di essi una grande fessura a fuso, utilizzata per illuminare dall'alto l'interno dell'edificio. La tensione che lavora lungo l'orlo superiore curvo delle tribune viene a scaricarsi alla base dei grandi pilastri. La copertura, tesa fra la curva 'concava' dei cavi assiali e la curva 'convessa' dell'orlo superiore delle tribune, è una superficie continua a doppia curvatura, resa rigida da questa opposizione.
Si voleva arrivare a creare e mantenere una unità di ambiente, in cui spettatori e atleti condividessero la reciproca crescente emozione.
Lavoravamo in molti, al progetto e poi alla costruzione – architetti e calcolatori – ed è da dirsi che era necessaria una continua correlazione fra il lavoro di ognuno, come fra le parti della struttura stessa; poiché la variazione di un elemento si ripercuoteva, data la continuità della struttura, su tutti gli altri elementi. In questo tipo di architettura l'unità formale è essenziale. Ma non sempre, devo dire, noi riuscimmo a raggiungerla. Nello Stadio del Nuoto la caratteristica formale della copertura è la forma "a catenaria", nata dalla struttura sospesa, in acciaio. Ma per avere tale struttura sospesa, è necessaria una base con struttura a compressione, in cemento, e questa struttura è caratterizzata dall'arco. Nei particolari, in molti punti, non siamo riusciti a risolvere del tutto queste due caratteristiche.
L'unica cosa che non mi ha soddisfatto è, ancora, il rapporto fra il volume degli edifici e la superficie dell'intero terreno. Per costruzioni di queste dimensioni, il terreno è troppo piccolo; non solo visualmente ma anche funzionalmente, per la insufficienza dei parcheggi. Inoltre, non è stato risolto il problema di una netta separazione fra i percorsi pedonali e quelli delle macchine... Ma la 'passeggiata' pedonale sulla copertura, funzionava; ho potuto constatarlo, visitando gli stadii durante i giochi olimpici. Anch'io, per una volta, ho potuto avere la gioia di camminare. E ho visto che il movimento dell'entrare e dell'uscire dai due stadii era più facile di quel che non avessi pensato. Entrato, nello Stadio del Nuoto, constatavo come lo spazio cambiasse dinamicamente secondo i miei movimenti; e mi sembrava che i movimenti della gente stessa dessero dinamismo allo spazio.
(da Kenchiku Bunka, gennaio 1965)