Ci sono le città dei render. Sono ben illuminate, levigate, ogni cosa è bianca o di vetro o di metallo e c’è tantissimo legno e le piante sono di un verde quasi onirico. Tutti sono burattini felici nelle città dei render: gli anziani e i bambini, i runner e le donne in chador. Nessuno suda, nessuno si affanna, nessuno si lamenta nelle città dei render. Sono il sogno degli architetti. La noia.
Dall’altro lato della luna, c’è la Città del Messico di inizio anni 2000. Un posto violento e terribilmente affascinante, dove ci si schianta in auto a ripetizione. Dove si scommette sui combattimenti dei cani. Dove enormi discariche abusive si aprono come crateri nel tessuto urbano. Dove il caos della vita sorpassa l’anelito riorganizzatore di qualsiasi progetto possibile.
A quella città deve molto, moltissimo l’immaginario di Alejandro Iñárritu, il grande regista messicano ora protagonista di una grande installazione nella sede più celebre di Fondazione Prada, quella a Milano firmata OMA e disegnata da Rem Koolhaas. È una mostra semplice e sostanziale come i piatti della mensa della griffe di Miuccia Prada che talvolta trapelano su Instagram: è tutto buio, ci sono alcune macchine che proiettano spezzoni inediti di Amores Perros, oltre trecento chilometri di pellicola, pari a circa sedici milioni di fotogrammi, rimasti per venticinque anni negli archivi dell’Unam, l’Università Nazionale Autonoma del Messico. In certe sale c’è una sola macchina, in altre ce ne sono parecchie. Il pubblico si aggira tra le proiezioni, si sofferma sul nastro della pellicola che corre, per una volta visibile.
Amores Perros cattura tutte le contraddizioni di Città del Messico: alcuni dei suoi personaggi aspirano al glamour, mentre altri lottano per sopravvivere in mezzo a una povertà angosciante e a ingiustizie sociali.
Juan Villoro
Sono proiettori analogici 35mm, con graffi e lampi tra bobine, accompagnati da un paesaggio sonoro apposito che rafforza il carattere materico dell’installazione. La magia del cinema è messa a nudo. “Questa installazione non è un omaggio, ma una resurrezione”, ha detto Iñárritu. “Sueño Perro” include girati inediti “che raccontano i temi universali di Amores Perros come l’amore, il tradimento e la violenza”, spiega Fondazione Prada. L’occasione sono i 25 anni del film. “Queste sequenze intense”, racconta ancora la Fondazione, “catturano le interconnesse realtà sociopolitiche di Città del Messico, ancora oggi estremamente attuali”.
Sopra la scatola buia di “Sueño Perro” c’è un’altra installazione, di cui si è parlato meno e che avrebbe meritato più attenzione. Se i frammenti cinematografici di Iñárritu colpiscono dritti alla pancia, al primo piano c’è il cervello. La parte razionale. Al piano superiore è proprio Città del Messico a essere messa a nudo, come nel pasto nudo di Burroughs, quando sollevi la forchetta e vedi la realtà senza veli. Se sotto era tutto buio, qui è tutto chiaro, come passare dalla notte al giorno. “Mexico 2000: The Moment That Exploded” è il titolo che spiega già quasi tutto da solo dell’installazione curata da Juan Villoro.
Villoro, giornalista e scrittore, qualche anno fa aveva dedicato un saggio ad Amores Perros su Current, la rivista online della Criterion Collection. Lì ricorda come il 2000 fosse un anno di transizione: dopo 71 anni al potere il PRI aveva perso le elezioni, aprendo un raro momento di speranza democratica, mentre allo stesso tempo la realtà restava segnata da corruzione, disuguaglianze e violenza. “The beginning of a new millennium is naturally laden with omens. In Mexico, the year 2000 coincided with the end of a political era”.
“Mexico 2000” è minimalista ma estremamente efficace. La si visita con un paio di cuffie. Sensori sparsi nello spazio attivano racconti diversi che partono in automatico, a seconda della posizione in cui ti trovi. Ritagli di giornale accompagnano le grandi fotografie a parete, scattate da grandi fotografi messicani come Graciela Iturbide, Enrique Metinides e Pedro Meyer. Testi brevi e sintetici raccontano notizie che sembrano arrivare da un mondo parallelo, con prime pagine di Proceso, La Jornada, Reforma e persino The New York Times, a restituire un clima di caos e violenza che ribalta l’idea odierna di Mexico City come paradiso dei digital nomad. “Amores Perros cattura queste contraddizioni: alcuni dei suoi personaggi aspirano al glamour, mentre altri lottano per sopravvivere in mezzo a una povertà angosciante e a ingiustizie sociali”, scrive ancora Villoro nell’articolo.
Questa mostra, il cui unico difetto forse sta nel fatto dell’essere quasi un’appendice della parte di Iñárritu, laddove forse avrebbe meritato più spazio, fonde in maniera esemplare documenti e narrazioni per raccontare una città. Gli aneddoti sono ben calibrati, i punti di vista mai scontati, il racconto che fluisce in cuffia è illuminante e ben curato. Il percorso è lineare ma ogni visitatore troverà una sua personale strada: proprio come in una città. Se Iñárritu lavora nell’ombra della pellicola, Villoro accende le luci della città. Due prospettive che insieme restituiscono la vitalità caotica del Messico reale, ben oltre i render.
Immagine di apertura: Pablo O. Monasterio, Volando bajo, 988. ©Pablo O. Monasterio. Courtesy Fondazione Prada
- Mostra:
- “Sueño Perro: Instalación Celuloide de Alejandro G. Iñárritu”
- Dove :
- Fondazione Prada, Milano, Italia
- Date:
- 18 Set 2025 – 26 Feb 2026
