Milano. Michael Fliri e le anime dell’Animismo

Alla Galleria Raffaella Cortese, una doppia personale propone le sperimentazioni su volto, maschere e calchi di mani dell’artista altoatesino.

Michael Fliri, Galleria Raffaella Cortese

Una piccola folla di maschere nere guarda sospesa dalle vetrine di via Stradella 1, a Milano. Le superfici sono scure, tumefatte, non rifinite. Ma ancora si distinguono, attraverso le colature superficiali e i riflessi esterni delle vetrine, tre fori per ciascuna, effettuati per occhi e bocca, applicati per guardare e respirare. Where do I end and the world begins (2014) è il titolo della serie scultorea che Michael Fili (1978, Tubre. Vive e lavora tra Innsbruck, Zurigo e Tubre) dispone a guardia e al principio della sua terza personale, negli spazi di Galleria Raffella Cortese. Questo lavoro, costituito da decine di maschere, viene disposto come una selezione rispetto ad una serie più ampia, proponendo e provocando l’unica estensione tridimensionale della mostra. 

Michael Fliri, “AniManiMism”, 2018. Photo Lorenzo Palmieri
Michael Fliri, “AniManiMism”, 2018. Photo Lorenzo Palmieri

Where do I end and the world begins (2014) incarna una dichiarazione di poetica e una chiave epistemologica decisiva per l’intero lavoro dell’artista sudtirolese che realizza le sculture -dopo aver operato su maschere provenienti dal Mask Museum di Diedorf in Germania – utilizzando un composto ceramico, per poi dipingerle, in superficie, con una vernice spray nera, opaca. Precedentemente a questa rifinitura, Fliri esegue un processo di doppio calco, positivo/negativo: per definire la prima impronta viene versata una miscela di lacca e gesso in una prima maschera che poi in seguito viene fatta aderire ad una seconda. Creando, infine, su un solo elemento, su un solo fronte, l’impressione di due maschere diverse, l’una rivolta dentro l’altra. 

Le eredità etnografiche, culturali e storiche implicate, in questo lavoro si stratificano e si fondono con le origini performative dell’artista che, fin dall’inizio del proprio percorso (da Der schneemann 2001 a Give doubt the benefit of the doubt 2010; da I pray I am a false prophet 2015 a The light never sees a shadow, 2018) assorbe, traslittera e trasforma anche la leggenda natia del Krampus. Un Krampus (dal bavarese krampn, ovvero morto, putrefatto, oppure dal termine kramp, che in lingua tedesca significa artiglio) è un diavolo travestito che, per tradizione, durante il solstizio d’inverno, accompagna, nelle aree di lingua tedesca, la figura folcloristica di San Nicola da Bari. Queste maschere incarnano l’esorcizzazione del demonio, sconfitto dal santo patrono, e per questo sono costrette a servirlo. Il travestimento da loro indossato non deve, però, mai essere tolto in pubblico e nessuno può, in alcun modo, cercare di sfilarlo al performer, pena il disonore per lo smascherato. Ma la maschera, in-attraversabile, come nella pratica di Fliri, ci riporta al volto che c’è dietro. La definizione di Buio e Luce, di parte emersa e di identità inconscia aderiscono al mondo, fino a incorporarlo, solamente quando viene guardato e respirato dall’interno di una maschera. Sottile, tramite, sembiante che diventa il punto di contatto con il paesaggio rappresentativo e con l’alterazione originale dei connotati del volto, a partire dai quali l’artista può scendere dentro se stesso, fino a raggiungersi. 

Ecco dunque, sullo sfondo di Where do I end and the world begins (2014), emergere la serie fotografica My Private Fog II. Il viso dell’artista, ritratto orizzontalmente, in primo piano, steso al di sotto di maschere escrescenti e impalpabili, si profila contro uno sfondo grigio, sineddoche di un paesaggio solamente evocato. La trasparenza della maschera permette, quasi per intero, di distinguere i connotati di Fliri che si lascia nascondere dal suo stesso respiro. I volumi dismorfici delle maschere si modificano, di fotografia in fotografia, lasciando solamente intuire il lungo processo di ricerca mineralogica attuato dall’artista, che raccoglie rocce fisiognomicamente simili a sé e ne effettua il calco plastico sottovuoto. Infine, indossando i manufatti, Fliri si lascia ritrarre nascosto, confuso dall’umidità della condensa dei propri polmoni. Il grado di trasparenza e di visibilità si modifica parallelamente allo stato fisico dell’artista che osserva quel che rimane fuori da sé, a seconda di quanto il proprio respiro lo consenta. 

A qualche metro di distanza, sebbene la serie di maschere formate da calchi di mani (Gloves, 2017) risultino un’assoluta novità della mostra, presso Galleria Raffaella Cortese, in questo caso rappresentano un richiamo, in direzione dell’ultimo lavoro di Fliri, allestito al di là della strada, al civico 4. Qui, nel buio quasi completo di una sola lunga stanza, la sparizione dell’artista dietro la propria apparenza si completa e la video installazione a quattro canali AniManiMism (2017) lascia danzare solo le mani, attraverso quattro punti di vista diversi e una colonna sonora curatissima. Una maschera trasparente, composta da più componenti, per permettere alla parte mandibolare di aprirsi e chiudersi, si lascia muovere come l’alter ego di un ventriloquo, mentre sullo sfondo le ombre azzurre, acquose della gibigiana fanno brillare un cranio che batte i denti ad ogni rintocco mosso dalla mano dell’artista. 

Michael Fliri, “AniManiMism”, 2018. Photo Lorenzo Palmieri
Michael Fliri, “AniManiMism”, 2018. Photo Lorenzo Palmieri
Titolo mostra:
Michael Fliri. AniManiMism
Date di apertura:
17 maggio – 28 luglio 2018
Sede:
Galleria Raffaella Cortese
Indirizzo:
via A. Stradella 1-4, Milano

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