Il flusso dell’acqua cambia a seconda del variare della quotazione di un titolo alla borsa di New York, oppure è legato al valore di una certa moneta sui principali mercati mondiali. Una fontana di dati (data fountain), che ben rappresenta l’alluvione di informazioni cui siamo sottoposti quotidianamente. Il funzionamento è piuttosto semplice: la fontana è collegata a Internet, riceve le informazioni sull’andamento del titolo o della valuta e le traduce in variazioni dell’altezza del getto d’acqua. Il primo modello del genere è stato creato al centro di Ricerca Xerox Parc (oggi soltanto PARC, culla delle più importanti innovazioni nella storia del personal computer) e una nuova versione è stata proposta di recente da un gruppo di artisti e designer olandesi. Qui la forma è letteralmente generata dall’informazione. La logica del software, dei flussi di dati che pervadono la rete e si estendono ormai sempre più spesso al di fuori di essa, impone le sue regole nel mondo reale. È il territorio dell’”infoestetica”, alla quale Lev Manovich, autore di Il linguaggio dei nuovi media (Olivares, 2001), sta dedicando il suo nuovo libro. Manovich, che Domus ha già incontrato (nell’ottobre 2003), è stato di recente in Italia per un ciclo di conferenze e ha illustrato i capisaldi della sua nuova teoria.
“L’infoestetica è una disciplina che studia i modi in cui la cultura contemporanea risponde alla sfida di gestire, archiviare e distribuire quantità crescenti di dati – spiega lo studioso –: nascono così nuove sensibilità estetiche, forme e strategie di comunicazione, dal design all’architettura, dal cinema alla progettazione di interfacce uomo-computer”. Dal cyberspazio, regno di pura informazione, la cascata di dati arriva a invadere il mondo materiale e lo plasma secondo categorie inedite. Ogni oggetto può ormai trasformarsi in un’interfaccia, ospitare uno schermo e quindi aprire potenzialmente una finestra su un panorama di dati. Un esempio sono le media skin, facciate o intere superfici di edifici che ospitano contributi video, in alcuni casi visualizzazioni di flussi informativi in perenne cambiamento. Il museo d’arte di Graz è ricoperto da una superficie di metacrilato nella quale sono integrate 930 piccole luci, come altrettanti pixel che si attivano per generare continue animazioni. “Informazione e forma qui lavorano insieme creando oggetti ibridi molto interessanti”, spiega Manovich. In modo simbolico questa tendenza è ben rappresentata dalle costruzioni di Frank Gehry, nelle quali la forma sembra l’istantanea di un processo fluido, in costante evoluzione.
Si tratta di un’estetica in grado di incarnare lo spirito dell’era digitale, proprio come il Bauhaus interpretava la logica alla base della società industriale secondo cui “la forma segue la funzione”. In buona parte - come spiega lo studioso in un suo saggio Avant-garde as software – sono ancora quei canoni ad influenzare il modo in cui trattiamo i dati, ma il lavoro di numerosi architetti e web designer da anni impegnati a esplorare i rapporto fra software e rappresentazioni visive testimonia l’affacciarsi di nuove tendenze. “Oggi il concetto di forma non è più statico, definito una volta per tutte, è variabile secondo infiniti parametri – dice Manovich – sempre più spesso abbiamo a che fare con strutture dinamiche che si generano in tempo reale. Pensiamo alla navigazione di Internet e in particolare all’uso di un motore di ricerca: le informazioni che troviamo non hanno una gerarchia, risiedono in un gigantesco database e si organizzano sulla base della nostra richiesta”. Il problema centrale è allora quello di tradurre tutta questa ricchezza informativa in forme che siano compatibili con i nostri limitati sensi. “Per risolvere la questione la cultura di massa semplifica e riduce, il computer ci offre invece la possibilità di costruirci dei percorsi personali, con piccole variazioni”. È l’estetica del database, dove il significato viene generato dall’esplorazione e dalla visualizzazione delle possibili relazioni fra i dati. Non esiste più una narrazione, una gerarchia coerente, il senso lo costruiamo noi. Il computer consente di ottenere infinite combinazioni e nelle pieghe di questo lavoro di continua riconfigurazione si aprono squarci di autentica creatività, si generano forme che sono il puro riflesso del codice informatico eppure esprimono una nuova concezione di “bellezza” oggi soltanto lontanamente intuibile.
Un esempio sono le creazioni di Benjamin Fry del Mit, web designer fra i più dotati che rappresenta i flussi di dati e di visitatori all’interno di un sito come la crescita e lo sviluppo di un fiore, oppure le organizza in uno spazio tridimensionale che si può visitare. Lo stesso Manovich propone un’esplorazione di una banca dati di brani audiovisivi nel suo ultimo lavoro: “Soft cinema”, oggi disponibile su DVD. I vari spezzoni, girati dall’autore, vengono combinati dal software secondo regole prestabilite. Non si guarda un film, si naviga fra i dati, si sperimentano relazioni inedite fra le immagini e fra immagini e testi. Si intuisce cos’è e cosa potrebbe essere l’infoestetica.
Vedi anche:
Stefania Garassini, Il linguaggio del codice a Linz 2003 (Features, 10.10.2003)