Uno dei cambiamenti più evidenti che ha apportato l’evoluzione tecnologica al mondo dei videogiochi è sotto il profilo dell’architettura, intesa come qualità dell’ambiente di gioco in cui ci si può muovere e agire, che si tratti di singole mappe, livelli o di interi mondi da esplorare. Sia in termini di resa grafica che di caratterizzazione spaziale, quello che un tempo costituiva quasi sempre un mero sfondo fatto di poligoni con cui a malapena era possibile interagire, oggi è un coprotagonista dell’esperienza ludica, con un peso che talvolta equivale quello dei personaggi giocanti.
Esplorare l’architettura in 8 videogiochi contemporanei
La serie di Horizon e quella di Spider Man, il labirintico Deathloop e il recente Elden Ring mostrano che l’architettura, da sempre presente nei videogame, si è trasformata nell’esperienza stessa del giocare.
Courtesy Sony
Courtesy Sony
Courtesy Bandai Namco Entertainment
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Courtesy Sony
Courtesy Sony
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Courtesy Electronic Arts
Courtesy Electronic Arts
Courtesy Ninja Theory
Courtesy Ninja Theory
Courtesy Bethesda Softworks
Courtesy Bethesda Softworks
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- Mirko Tommasino
- 06 marzo 2022
Nonostante i limiti legati alla tecnologia, sarebbe una bugia affermare che l’architettura non abbia comunque avuto un ruolo centrale nell’evoluzione del medium.
Tuttavia, gli ultimi titoli usciti per la “vecchia” generazione di console – come Red Dead Redemption II – e, ancor di più, quelli concepiti idealmente per la next gen – come l’ottimo horror d’atmosfera Returnal, o la demo MATRIX, il risveglio: Un’esperienza su Unreal Engine 5 – che hanno reso l’aspetto architetturale ancora più fondamentale, potendo contare su una maggiore potenza di calcolo, accoppiata a uno standard di televisori e monitor casalinghi che restituiscono una profondità e un respiro fino a pochi anni fa semplicemente inimmaginabili.
Nel quotidiano, l’architettura è un linguaggio che parla a chi la vive e la osserva attraverso un approccio transcalare, passando dal generale al particolare, celando o svelando caratteristiche uniche che solo un occhio attento riuscirebbe a cogliere. Parimenti, catturare l’attenzione di un giocatore attraverso simili espedienti lo aiuta sia a immergersi in quel mondo come fosse il suo, come abbiamo già visto nei casi di Final Fantasy VII: Remake, Doom Eternal e Cyberpunk 2077, sia ad avere dei punti di riferimento meramente tecnici per attuare strategie di gioco: appigli, nascondigli, punti d’osservazione, e tanto altro ancora.
Ogni architetto segretamente sogna di realizzare degli spazi incredibili, senza alcun vincolo fisico, economico o d’altra natura oltre la sua mente, ed effettivamente la rappresentazione di mondi fantastici nei videogame (come al cinema, per esempio) è quanto più si avvicina a questo ideale.
L’architettura di un videogioco rappresenta l’impianto spaziale in cui si può agire, parlando in maniera estremamente semplicistica. Inoltre, la differenza fondamentale della rappresentazione rispetto al mondo reale, è riassumibile così: la percezione, la funzione e la coerenza degli spazi rappresentano gli obiettivi fondamentali da raggiungere, potendo spaziare con la creatività e l’ingegno senza dover curare eccessivamente gli aspetti meramente strutturali.
Immagine in apertura: Horizon Forbidden West. Courtesy Sony
La serie Horizon, sviluppata da Guerrilla Games e pubblicata da Sony Interactive Entertainment, rappresenta un fulgido esempio nel panorama contemporaneo di interazione tra protagonista e personaggi non giocanti con l’ambientazione. Trattandosi di un open world, quindi di un gioco in cui è possibile muoversi e spaziare senza praticamente alcun limite attraverso ogni spazio esplorabile (una volta scoperto, naturalmente), la possibilità di trarre oggetti, trovare percorsi e applicare strategie all’interno della mappa.
In questo caso specifico, il contesto geografico si rifà al tema dell’apocalisse, dove esseri umani e macchine sono costretti a una convivenza forzata e decisamente poco pacifica su un pianeta affascinante e ricco di segreti. Aloy, la nostra protagonista, si muove con destrezza attraverso numerosi pericoli, ma oltre alle epiche battaglie con le Macchine è proprio l’esplorazione della vastissima area di gioco che tiene incollato il giocatore al pad. Tanto negli spazi aperti, quanto in quelli chiusi, la fisica in cui ci si muove è un contenitore tangibile e coerente con il personaggio, facendo sentire costantemente quel brivido alla base di ogni esplorazione: mettere sempre un passo davanti all’altro, andando incontro al fascino dell’incognito.
Ultimo nato dal sodalizio tra la casa di sviluppo FromSoftware e Bandai Namco Entertainment, Elden Ring è un titolo dalla complessità notevole. In termini prettamente architettonici, il level design e il world building sono una vera meraviglia per gli occhi e una “maledizione” per le dita, visto che la casa di produzione giapponese di videogame action RPG ha fatto dello sfruttamento tattico della mappa per gli scontri (in particolare contro i temibili boss) uno dei suoi cavalli di battaglia.
Le sezioni labirintiche, i grandi spazi aperti, e lo sfruttamento su più livelli della mappa a sviluppo verticale e orizzontale, rendono l’avanzamento da parte del giocatore molto complesso e attento. È necessario prendersi grossi rischi, restando contemporaneamente a bocca aperta davanti a scenari con un notevole livello di dettaglio nel design, alzando ancor di più l’asticella qualitativa già vista nella trilogia di Dark Souls e nel recentissimo remake di Demon’s Souls per Play Station 5.
Volteggiare come Spider-Man è uno dei sogni più comuni tra i bambini che hanno vissuto gli ultimi decenni, proprio come è già accaduto in passato durante le diverse esplosioni mediatiche del fumetto statunitense. Come mai? È facile dirlo: al di là della caratterizzazione morale e in termini di scrittura, Spider-Man è un supereroe che ha fatto dell’esplorazione tridimensionale dello spazio e della libertà di movimento le sue caratteristiche principali, invidiabilissime da chiunque desideri muoversi ad altissima velocità tra i più alti grattacieli o tra gli enormi spazi aperti di New York. Dopo essere stato un personaggio “giocabile” in diverse generazioni di videogame negli ultimi vent’anni, è proprio su Play Station 5 che l’“amichevole Uomo Ragno di quartiere” trova la sua casa più congeniale.
Vedere il personaggio volteggiare con le ragnatele al cinema, come nel recentissimo Spider-Man: No Way Home, è sicuramente affascinante, almeno tanto quanto lo sia il leggerlo tra le pagine delle storie a fumetti. Però, è quando il giocatore può vivere in prima persona quelle evoluzioni attraverso il “controllo” del personaggio, immedesimandosi nei suoi gesti, che l’identificazione con lui raggiunge livelli importanti. E l’architettura urbana, quindi, smette di essere uno sfondo per le avventure, e diventa uno spazio importante da analizzare e tenere costantemente sott’occhio sotto il profilo strategico: appigli per la ragnatela, nascondigli e punti a cui appendere i nemici diventano strategicamente fondamentali nell’interazione tra eroe, nemico e ambiente circostante.
Ma cosa fa percepire la serie sviluppata da Insomniac Games e distribuita da Sony Interactive Entertainment così “viva”? Probabilmente, è proprio la caratterizzazione in continua evoluzione della città di New York, la quale sembra condurre una vita normale finché non si presenta un guaio in una qualsiasi parte della città, e che dopo la risoluzione da parte di Spider-Man riprende con il suo flusso quotidiano, interagendo spontaneamente con il personaggio. Davanti a un livello di dettaglio così impressionante di modelli, colori e luci, chi non si fermerebbe a osservare almeno una volta il tramonto dalla cima dell’Avengers Tower, prima di lanciarsi nuovamente in caduta libera verso i guai che avvengono per strada?
Da quasi quarantacinque anni, il world building di Star Wars ideato per la prima volta da Ralph McQuarrie su indicazioni di George Lucas rappresenta un altissimo standard con cui confrontarsi quando si parla di mondi fantastici. La prolifica epopea cinematografica ci ha insegnato che le tipologie di pianeti esplorabili sono talvolta limitate nel numero in termini di caratteristiche generiche (deserto, giungla, ghiaccio, città, isola, subacqueo, in rovina e pochi altri), ma ognuno di essi ha delle peculiarità davvero uniche da esplorare. Nel videogioco action-adventure sviluppato da Respawn Entertainment e pubblicato da Electronic Arts per la precedente generazione di console, l’intero impianto architettonico (inteso come contesto più o meno urbanizzato di interni ed esterni) è uno dei punti di forza dell’esperienza.
Cal Kestis, questo il nome del protagonista della vicenda, esplora dei mondi diametralmente opposti l’uno dall’altro, muovendosi da contesti naturali e mistici, colmi di creature fantastiche, ad avamposti imperiali, passando per pianeti in cui è la morte a fare da padrona (qualcuno ha detto Dathomir?) o luoghi dove la distruzione ha alterato interamente il paesaggio. Pur mantenendo lo stile labirintico e verticale visto in altrui soulslike, qui è davvero la curiosità di esplorare ogni singolo anfratto e scoprire tutti i segreti a far apprezzare letteralmente al cento per cento tutti i luoghi visitabili.
Videogioco di genere hack n slash sviluppato e pubblicato da Ninja Theory, questo titolo permette al giocatore di esplorare la mitologia norrena in modo estremamente immersivo, dove l’architettura non è solo caratterizzata sotto il profilo della costruzione visiva, ma anche da quella uditiva. Talmente grande è stato il successo del videogame e talmente importante la sua peculiarità nel panorama in cui è stato proposto, che l’anno successivo (parliamo del 2018) è stata pubblicata una versione VR (virtual reality, per chi non fosse pratico della terminologia), dove l’atmosfera è ancora più immersiva.
Rispetto a tanti altri giochi sullo stesso genere, quello che rende questo prodotto peculiare è proprio il connubio sensoriale: quando si ha il pad in mano, si è letteralmente immersi nello stesso luogo in cui si trova Seuna. Si ascoltano le voci che ha nella testa e quelle che provengono dall’ambiente esterno, restituendo una tridimensionalità degli spazi che talvolta (volutamente) è in contrasto con quanto si osserva. Chi ha mai detto che l’architettura è fatta unicamente da ciò che si può osservare con gli occhi?
Nel nuovo titolo dei francesi Arkane Studios, ancora una volta pubblicato da Bethesda, si ritrovano ambienti che in qualche modo suonano familiari. Luogo dell’azione è Fristad Rock, una città multilivello divisa in quattro zone completamente esplorabili, disegnate con quel tocco sospeso tra modernismo, retrofuturo e distopia che caratterizza anche i titoli precedenti dello studio di Lione, che si tratti degli interni claustrofobici del precedente Prey (2017), o dei mondi pseudo-steampunk dei due Dishonored (rispettivamente 2012 e 2016). Tutto molto stiloso, ricercato, raffinato, con un approccio a metà strada tra una curatissima animazione e il turbine di sangue di un Doom qualsiasi.
Quello che qui viene aggiunto è il fattore tempo: Colt, il protagonista, si trova invischiato in una storia che è una via di mezzo tra il giorno della marmotta e un racconto di Philip Dick. L’esplorazione degli spazi di gioco, non vastissimi ma estremamente dettagliati, è ciclica, totalmente impostata sulla ripetizione. Ma se lo spazio è sempre quello, la variabile tempo moltiplica le possibilità e gli scenari: lo stesso luogo al mattino sarà diverso da quello che Colt si troverà davanti la sera, quando una grande nevicata si abbatterà sulla cittadina. Le architetture si trasformano, i percorsi cambiano. E al mattino tutto si riazzera.