Beatrice Leanza: “Il nuovo MAAT di Lisbona è un’arena civica per i cittadini”

Abbiamo incontrato Beatrice Leanza, direttrice del Museo Arte Architettura e Tecnologia di Belem, per farci raccontare la sua visione di museo, che riapre dopo lo stop pandemico.

La pandemia ha rallentato l’operatività del Museo Arte Architettura e Tecnologia di Belem ma non la determinazione di Beatrice Leanza che, con grande entusiasmo rilancia il suo programma o meglio “il suo esercizio a tempo indeterminato per interrogare il ruolo delle istituzioni culturali nella società e prototipare il futuro del Museo”.

Partiamo dalla tua idea di museo. Quale ruolo e quali formati per un’istituzione importante come il MAAT?
Mi sembra opportuno iniziare da questa prospettiva che, per me costituisce il centro della visione del museo come spazio inclusivo. Sin dall’inizio del mio mandato ho guardato al museo come un’arena civica polifunzionale in cui discutere temi caldi per la vita pubblica. L’installazione del collettivo newyorkese SO-IL aveva proprio la funzione di creare un nuovo punto di accesso rivolto verso la città, un gesto che non solo ha trasformato il modo in cui i visitatori vivono il museo, ma è stato un segnale che ha aperto l’edificio a nuove prospettive sfidando anche le implicite gerarchie degli spazi in un museo tradizionale per vivere il museo in una dimensione aperta alla città e al territorio. Nasce così l’idea di spazio museale come piattaforma integrata e sospesa tra dimensione fisica e virtuale, il museo come palco, stage per incontri e MAAT Mode, un programma pubblico partecipativo e sperimentale di eventi sviluppato in collaborazione con istituzioni, operatori internazionali, locali e comunità, gruppi che partecipano attivamente alla programmazione del museo. Un’istituzione pubblica che vive partecipando alla costruzione di un futuro più inclusivo. Un esercizio virtuoso che ci permette di parlare a nuovi pubblici generando forme di appropriazione dello spazio pubblico da parte di curatori, collettivi e studenti del territorio metropolitano.

Beatrice Leanza
Beatrice Leanza. Foto Valentina Sinis

Quali sono questi nuovi pubblici?
Guardo al pubblico del museo che dirigo come un ricettore, un coautore di contenuti attivamente coinvolto. Aspiranti professionisti, scuole, istituzioni che insieme danno vita, costruiscono un discorso pubblico. Questo è un aspetto fondamentale per cambiare l’idea canonica di museo. Da deposito di conoscenze, il museo si trasforma in macchina che produce conoscenza e l’attenzione al contesto è un beneficio, un valore aggiunto. La pandemia ci obbliga a modificare i modelli e creare alleanze con gli enti che insistono sul territorio attivando processi di co-creazione che vanno oltre la filantropia. Occorre costruire una public agency. Una nuova capacità di azione culturale. Nasce così la scelta di voler lavorare su un programma di fruizione di contenuti in tempi differenti e continui quindi con un’attività quotidiana. E’ un invito a concepire il formato mostra come una nuova opportunità di porre domande. Una metodologia di lavoro che aiuta a trasmettere conoscenza e creare dibattito. Co-creazione e co-azione sono le parole chiave. Le scuole del territorio sono fondamentali per questo tipo di lavoro culturale. Il museo è il luogo di orchestrazione di contenuti anche per chi non ha una casa, uno spazio in cui creare e agire.

Passiamo alla programmazione e alle nuove proposte?
Da inizio aprile siamo ripartiti con una proposta articolata di nuovi contenuti. Nel dettaglio abbiamo in programma due mostre e un’installazione multimediale. X is Not a Small Country - Unraveling the Post-Global Era a cura di Aric Chen e Martina Muzi è una mostra che esplora la nostra attuale condizione post-globale osservando i processi di de-globalizzazione e le mutazioni della dimensione geopolitica a diverse scale: territori, città, infrastrutture, piattaforme, corpi e oggetti - che in molti casi sono stati accelerati e distorti dalla pandemia globale. Anche se la mostra è stata concepita prima della pandemia ha come principio quello di restituire possibili rappresentazioni delle questioni del presente in maniera dialettica con la realtà. Sette progetti nuovi e 2 adattati mostrano come arte, architettura e design siano discipline, linguaggi capaci di testimoniare il collasso dei sistemi di riferimento della globalità. Monadi, universi che si offrono allo spettatore per nuovi modi di porsi rispetto alle questioni geopolitiche e agli scenari postpandemia. 

MAAT Lisbona
Il MAAT di Lisbona. Foto Francisco Nogueira

Aquaria - Or the Illusion of a Boxed Sea a cura di Angela Rui riflette, invece, sulle possibilità e sulle nuove domande che si pongono quando si ripensa il nostro rapporto con il mondo marino. Gli acquari sono dispositivi che organizzano e rappresentano la vita marina; sono sistemi complessi che, nel paradigma della modernità e dell’urbanizzazione, incarnano la trasformazione della natura in cultura, con l’aiuto della tecnologia e del capitale. Questa separazione della cultura come entità separata dal mondo organico-naturale deriva da tentativi scientifici e razionali di categorizzare e organizzare. Tuttavia, questi tipi di costrutti che dividono la cultura dalla natura non sono più convincenti nel contesto del nuovo regime climatico, modificato anche dalla pandemia,  che fa appello a nuove narrazioni che vanno oltre le gerarchie costruite intorno all’umanità e alla sua esplorazione di risorse e corpi. Un dispositivo espositivo complesso che apre nuove domande attraverso la decostruzione di scenari e sistemi dove la forza del design si rivela come una disciplina senza nome. Viviamo in un mondo dove la scala dell’intervento è completamente saltata. Lo spazio del minuscolo e dell’enorme. Proprio in questa dimensione nuova e misteriosa si inserisce, anche, Earth Bits – Sensing the Planetary di Dotdotdot che opera nell’infinitesimo dell’azione umana e prova a rappresentarlo restituendo l’immaterialità del contatto. Una potente evocazione multimediale che stimola un pensiero critico andando oltre la semplice messa in scena di un messaggio, grazie alla costruzione di una storia da esplorare attraverso linguaggi innovativi che aiutano a decodificare la complessità, strutturare il pensiero e creare conoscenza. Un’apertura al confronto tra scienza, cultura e società.

...questi tipi di costrutti che dividono la cultura dalla natura non sono più convincenti nel contesto del nuovo regime climatico, modificato anche dalla pandemia, che fa appello a nuove narrazioni che vanno oltre le gerarchie costruite intorno all’umanità...

Buoni presagi per il presente e il futuro attraverso l’azione culturale?
Si, assolutamente il MAAT prova a partecipare a una mappatura delle questioni che interessano la vita pubblica e inoltre prova a scandire una timeline sulla cultura e l’ambientalismo in senso allargato. Si tratta di attraversamenti del tempo che mettono in questione successi e fallimenti della comunità globale.

Liam Young, Drone Sheperd
Liam Young, "Drone Sheperd" dal progetto Planet City in esposizione al MAAT di Lisbona

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