La sala cinematografica è cambiata molto poco nei suoi primi 100 anni di vita. È stato introdotto il sonoro nel 1927, lo schermo panoramico tra gli anni ‘50 e ‘60, i multisala negli anni ‘90 (la vera grande rivoluzione) e poi la disposizione dei sedili “da stadio” (che vuole che ogni fila sia di poco più rialzata di quella davanti) e basta. Si sono evolute molto di più le tecniche di proiezione e di diffusione del sonoro, ma non la costruzione e progettazione delle sale. Oltre a seguire stili e tendenze dei vari decenni non c’è stata molta innovazione, la concezione di cosa sia un cinema è rimasta la stessa. Adesso, nel momento di maggior crisi mondiale della sala, un concetto nuovo di sala si fa strada a partire da un uso diverso degli spazi che vuole rivedere la funzione sociale dei cinema. I numeri sembrano dimostrare che questo sia il futuro della fruizione.
Gli esercenti stessi li chiamano “premium cinema” per differenziare queste sale di nuova concezione da quelle solite. Sono strutture solitamente con pochi schermi, concepite per presentarsi come esperienze premium. Sono più confortevoli, hanno un arredamento caldo e molto personalizzato, offrono aule studio, librerie, bistrot, cafè. E poi hanno le sale di proiezione. Il premium cinema non è solo un miglioramento dell’offerta filmica, è un ampliamento del concetto di sala cinematografica da luogo in cui guardare film a baricentro culturale, un posto in cui passare del tempo anche senza vedere film, in cui aggregare umanità e idee.
Cambiare l’idea di cinema
L’ambizione non è piccola. In un momento nel quale la concorrenza di televisori sempre più grandi, e programmazione originale e inedita offerta dalle piattaforme rischia di marginalizzare il cinema a favore del salotto (quando i film degli autori più importanti, quelli che vincono i festival e vincono l’Oscar arrivano prima in tv è difficile trovare ragioni per uscire di casa e spendere altri soldi per vedere film forse peggiori), le sale vogliono cambiare la maniera in cui le persone concepiscono il cinema (inteso come sala) a partire dall’architettura degli spazi. I cinema che sono nati a partire dagli anni ’90 hanno ricalcato la funzionalità degli spazi e le architetture dei centri commerciali, non-luoghi molto simili tra di loro in cui spendere del denaro. I premium cinema vogliono essere il contrario, affermando a partire dall’accoglienza e dal piacere di muoversi in un luogo esteticamente stimolante e concettualmente audace, di essere parte di una comunità, quella delle persone che vedono film in sala.
Non è un pensiero interamente nuovo, negli ultimi 20 anni i film stessi sempre di più hanno cercato di affermarsi come esperienze incredibili, magnifiche, uniche e irrinunciabili, per spingere le persone a pagare un biglietto. L’hanno fatto con produzioni sempre più ambiziose e costose, storie sempre più giganti e tecnicamente così complesse da convincere il pubblico che quei film lì “meritino la sala”. Soprattutto l’hanno fatto puntando su un marketing potentissimo, che parte anche un anno prima dell’uscita del film nel caso dei più costosi. Solo in sala si può vedere Batman, Fast & Furious o l’ultimo film di Christopher Nolan per primi e solo in sala si può godere a pieno delle loro qualità, perché questi film fanno un uso pieno del grande schermo del grande audio e di tecnologie avanzate.
Il risultato è che le piattaforme ora hanno gioco facile a proporre il miglior cinema a basso tasso di spettacolarità ma alto tasso di idee, sensibilità, complessità e scrittura (sull’esempio di quello che per ormai 20 anni hanno fatto le serie tv). Dopo il disastro e il deserto della pandemia, che ha enfatizzato questo movimento, le sale adesso faticano a recuperare il pubblico che avevano nel 2019. Tuttavia quelle premium sembrano faticare decisamente meno.
La nascita delle sale premium
Già nel 2021 a CineEurope, la più grande convention di esercenti cinematografici d’Europa, Mark Way, managing director di una delle più grandi catene del mondo, AMC, affermava che “il pubblico cerca l’esperienza premium” e – citando le 47 sale che la società aveva rinnovato trasformandole in premium (su un totale di 340) –, sosteneva che proprio quelle “si stanno riprendendo in fretta; la gente torna per le esperienze premium, è quello che vogliono”. Addirittura nella stessa convention Tim Richards di Vue Cinema (altra catena mondiale) spiegava più nel dettaglio che dopo aver rinnovato molte loro sale hanno capito che per esempio “i sedili reclinabili sono uno dei dettagli che fanno la differenza”.
E se è vero per le grandi catene di multisala lo è ancora di più per i cinema di medie o piccole dimensioni che dopo anni di chiusure cominciano a riaprire. Se i multisala rinnovano l’interno delle loro sale migliorando il comfort già da qualche anno prima della pandemia, sono i cinema nuovi e più piccoli costruiti negli ultimi 6-7 anni ad aver iniziato a sperimentare con successo l’idea di premium cinema a tutti i livelli. E ora che il box office mondiale si sta riprendendo, ma si trova sempre con un -60% rispetto al 2019, sono proprio i film solitamente ospitati dalle sale medio piccole a soffrire. Che è un altro modo per dire che è quel pubblico lì e non quello dei film di supereroi da multisala grande, quello più difficile da riconquistare. Per tutti i film che non vantano un marketing imponente e grande spettacolo è la struttura a fare la differenza: l’accoglienza, l’esperienza dell’andare al cinema che non si ferma alla comodità delle sedute (per quanto cruciale) ma inizia nella lobby e con la chiara percezione comunicata dall’architettura del luogo di essere in un posto speciale, bello, sofisticato e ricercato.
Il caso italiano
In Italia, un paese in cui il ritorno al cinema si è dimostrato molto più difficile, complicato e lento rispetto al resto d’Europa (il 2001 ha portato incassi inferiori del 73% rispetto al 2019), il bisogno è stato tale che anche il ministro della cultura Dario Franceschini ha promosso l’idea di premium cinema come una strada per uscire dalla crisi: “Molte sale italiane sono invecchiate e andrebbero rinnovate e rese accoglienti [...] La differenza oggi non è più tra piccolo e grande schermo ma tra esperienza collettiva e individuale [...] e questo deve essere percepito anche nella maniera di stare seduti, nell’esperienza della caffetteria e delle sale studio. Chi lo fa non vede i cali che vedono gli altri”.
Le parole sono state pronunciate durante una conferenza stampa in cui veniva annunciato l’acquisto da parte dello stato (tramite la scuola nazionale di cinema, il Centro Sperimentale) di una sala storica, al centro di Roma, chiusa ormai da anni. Questa diventerà un premium cinema dall’obiettivo audace: attirare pubblico con una programmazione di film trascurati dalle altre sale, quelli cioè meno richiesti e meno pubblicizzati. Tutte le esperienze di questo genere, sia a Roma che nel resto d’Italia e poi in Europa, raccontano che è possibile, che la creazione di uno spazio che in sé racconti a chi ci entra di essere un punto d’aggregazione culturale, fomenta anche le fruizione di film più difficili, attirando un pubblico non per forza cinefilo ma che si sente parte della comunità culturale della città e ha desiderio di relazionarsi a chi percepisce come propri pari.
Se davvero il concetto di premium cinema sarà in grado di ribaltare le sorti delle sale come dicono al momento i numeri, sarà uno dei migliori esempi di come l’architettura dei luoghi sia in grado di cambiare l’idea che le persone che li attraversano hanno non solo di quei posti, ma anche della funzione e del ruolo che ciò che ospitano ha nella società.
Immagine in apertura: Cinema Colosseum, Oslo