Maria Cristina Didero

Fun House: a Washington D.C. dieci anni di Snarkitecture

La curatrice racconta la mostra inaugurata al National Building Museum. Ancora una volta, lo studio newyorkese colpisce nel segno.

Un ritratto di Snarkitecture al National Building Museum di Washington D.C. Foto Noah Kalina

Una casa prefabbricata tipicamente americana, compreso il vialetto d’accesso e il cortile sul retro, completamente bianca. È Fun House, la mostra a cura di Maria Cristina Didiero che ripercorre dieci anni di Snarkitecture al National Building Museum di Washington D.C., inaugurata il 4 luglio. Il nome dello studio deriva da The Hunting of the Snark, di Lewis Carroll: il racconto paradossale della caccia allo Snark, creatura di cui non si conoscono le sembianze, con l’aiuto di una cartina che è un foglio bianco. Dal 2008, anno in cui Alex Mustonen e Daniel Arsham hanno fondato lo studio a New York, (Benjamin Porto si è aggiunto nel 2014), la ricerca di questo elemento non identificato non si è mai arrestata. Snarkitecture ha elaborato un linguaggio specifico ed è diventato celebre per le grandi installazioni total white e le collaborazioni importanti con brand come COS, Valextra, Kith, Calvin Klein. Abbiamo chiesto a Maria Cristina Didero, che da tempo collabora con lo studio newyorkese, di raccontarci questa esposizione.

Come nasce l’idea della mostra?
Nel 2018 si celebra il decimo anno di attività dello studio, noto per essere allergico alle convenzioni. Quando mi hanno chiesto di curare una antologica che raccogliesse i progetti prodotti, ho pensato che l’occasione era sì convenzionale, ma che non potevamo seguire un percorso che lo fosse a sua volta. Abbiamo pensato a un modo diverso, tanto diverso dal guardare alla cosa più semplice come la casa, icona prima. Abbiamo quindi usato questo espediente narrativo per raccontare la storia di Snarkitecture, costruendo una sorta di elemento parassita all’interno di uno dei musei più prestigiosi degli Stati Uniti, e nella sua capitale. Lo studio non ne aveva mai costruita una; ora la loro prima casa serve a raccontare il loro percorso, abitata dai loro oggetti accoglie sconosciuti. Lo scrivo anche nel testo curatoriale: la casa è la prima cosa che un bambino disegna, un quadrato con sopra un triangolo. Un contenitore dentro a un contenitore. L’idea era di ricreare la tipica casa americana con tanto di steccato, giardinetto e piscina. Lavoriamo a questa idea da circa un anno e mezzo. Poi il nome Fun House, input per la narrazione vicina alle coordinate dello studio, sorpresa, gioco e al divertimento e spaesamento. Abbiamo sviluppato il percorso espositivo guardando al contenitore, il software segue e si adatta all’hardware. Ci sono le tradizionali divisioni degli spazi, ma il bagno non è un bagno, la cucina non è una regolare cucina – anche se Ikea ci ha aiutato – la piscina non è una normale piscina. Inoltre, non è stato semplice trovare un museo in grado di accogliere un’esposizione di questa portata.

Abbiamo pensato a un modo diverso, tanto diverso dal guardare alla cosa più semplice come la casa, icona prima.

Un’operazione ambiziosa a livello sia concettuale che fisico.
Sì, dovevamo trovare un’istituzione che credesse nell’idea di costruire la tipica casa americana ma bianca, e che avesse ovviamente anche lo spazio per realizzarla. Il National Building Museum, dove Snarkitecture aveva già presentato nel 2015 una delle sue installazioni più note, The Beach, ha avuto il coraggio di imbarcarsi in questa avventura. Quindi ora qui abbiamo una Casa Bianca, una casa che non è una casa ed è altro, nel cuore degli Stati Uniti perché siamo a Washington e che inaugura il 4 Luglio, giorno dell’indipendenza del paese…

Parlaci di Fun House.
È la ricostruzione indoor di un outdoor. La tipica casetta prefabbricata completa di dettagli quali il classico cartello del real estate, dove al posto della scritta “casa in vendita” abbiamo messo il testo curatoriale. Nel cortile, le grandi lettere che compongono le parole Fun House (riprendendo il progetto A Memorial Bowing a Miami nel 2012), diventano delle panche dove i visitatori possono sedersi. Così come possono interagire con tutto quello che è dentro e fuori dalla casa. Nel backyard, dove solitamente gli americani hanno una piscina e i giochi per i bambini, abbiamo ricreato una versione più piccola di The Beach - non potevamo esimerci - dove tuffarsi e giocare. È la prima volta che uno dei progetti a cui lavoro è in grado di comunicare e creare così tanta gioia: io sono rimasta senza parole quando ho visto famiglie con bambini passare ore a giocare. (È anche la prima volta che una mostra a cui lavoro è sold-out il giorno dell’inaugurazione, chissà quando mi ricapita!). Su questi elementi tipici è subentrato il linguaggio espressivo tipico di Snarkitecture, capace di trasformare il quotidiano attraverso la sua visione. Su questi elementi tipici è subentrato il linguaggio espressivo tipico di Snarkitecture, capace di trasformare il quotidiano attraverso la sua visione.

Snarkitecture in uno scatto di Noah Kalina
Snarkitecture ritratti da Noah Kalina

Nel volume che Phaidon ha dedicato allo studio proprio quest’anno, l’introduzione scritta da te comincia con la domanda: “cos’è Snarkitecture?”. Questa mostra potrebbe essere intesa come una sorta di risposta?
Direi di sì, anche se all’epoca avevo raccontato il lavoro attraverso una negazione dicendo che non si muovono tra arte e architettura ma che non si trattava ne di arte e ne di architettura; che i loro progetti sono appunto borderline. Questo è un modo diverso di presentare la loro attività. Ci interessava fare un doppio salto, dare un valore sia al contenitore che al contenuto attraverso un’installazione inedita e capace di mettere insieme anni di lavoro.

Sono fedeli a sé stessi e riescono a essere riconoscibili portando il loro tocco singolare in progetti anche molto diversi tra loro.

È stato complicato lavorare a distanza?
No. Io ci sono abituata. E con loro il dialogo è sempre stato preciso, quindi la cosa facilita le operazioni. Quello che amo molto in Snarkitecture - questo punto per me è molto importante - è la loro solidità, la coerenza. Sono fedeli a sé stessi e riescono a essere riconoscibili portando il loro tocco singolare in progetti anche molto diversi tra loro. È il caso del cuscino per appoggiare le chiavi in cemento bianco o l’installazione per COS durante il Salone del Mobile di tre anni fa, adesso stanno costruendo un club. Selezionano i loro codici di pensiero interpretativi e li traslano nei loro progetti, siano essi una piccola candela o uno spazio di centinai di metri quadrati – come questo di Washington; avevamo a disposizione la stessa grandezza di un campo da calcio. Per questo siamo sempre stati sintonizzati, è stata una bella collaborazione anche perché per lavorare con un oceano in mezzo ci vuole una grande fiducia reciproca, certamente guadagnata sul campo dal precedenti esperienze. E le fasi di costruzione della casa le ho seguite via webcam!

Titolo della mostra:
Fun House
Date di apertura:
4 luglio - 3 settembre 2018
Curatrice:
Maria Cristina Didero
Sede:
National Building Museum
Indirizzo:
401 F Street NW Washington, DC 20001, Stati Uniti d'America

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