Guardando ai vostri lavori si direbbe che la sostenibilità sia per voi un atteggiamento “naturale”. La vostra formazione già lo prevedeva o ci siete arrivati in altro modo?
Pensiamo di essere cresciuti in un’epoca in cui la sostenibilità si è trasformata da valore aggiunto per l’architetto a elemento intrinseco del progetto d’architettura. Contemporaneamente abbiamo assistito a un’esplosione dell’idea di sostenibilità che l’ha resa onnipresente. I rischi sono sotto gli occhi di tutti: carenza di risorse, riduzione della biodiversità, cambiamento climatico, disuguaglianza sociale e così via. In questo senso ci rendiamo conto dell’inevitabilità della sostenibilità.
Comunque il tentativo di rispondere a queste sfide con l’innovazione della società, dei materiali e dell’architettura è l’elemento che può distinguere il nostro studio nel settore. Come possiamo creare sacche di sostenibilità in un mondo fondamentalmente e inevitabilmente non sostenibile? (si veda il saggio di Martin Gielen, Pockets of sustainability, che fa da presentazione alla Triennale di Oslo del 2013). Come possiamo ricollegarci alle filiere di fornitura, ai modi di operare e ai contesti esistenti e tuttavia offrire sostenibilità? Abbiamo deliberatamente deciso di creare sacche di sostenibilità grazie al senso di responsabilità sociale nel lavoro del settore edilizio. Non siamo da soli su questa strada e in questo processo cerchiamo di conoscere altri operatori e imparare da loro.
Creiamo le nostre sacche di sostenibilità con quel che chiamiamo “atto del costruire”. L’atto del costruire è contemporaneamente un’azione e una narrazione. È lo sforzo complesso di una comunità per elaborare le proprie infrastrutture, le proprie categorie di riferimento e i propri insiemi di competenze, i propri materiali e le proprie tecnologie. Genera un influsso sull’esterno ed esprime valori e idee in un’ampia rete intorno a un progetto specifico. L’atto del costruire possiede la forza del cambiamento attraverso l’azione, la storia e il risultato. A BC architects & studies crediamo che, per avere un’influenza positiva sulla società attraverso la disciplina dell’architettura, non sia solo necessario concentrarsi sul progetto dell’infrastruttura, ma occorra anche riprogettare il processo di fruizione dell’infrastruttura. Dobbiamo sperimentare l’atto del costruire e il ruolo che ciascun membro della comunità riveste in esso.
Per noi la ristretta definizione di “architetto professionista” non è più sufficiente. Ci avventuriamo nel territorio della fabbricazione dei materiali, dell’appalto, della narrazione, del trasferimento dei saperi e dell’organizzazione della comunità; e tutto ciò influisce sulla nostra prospettiva progettuale. È un modo di costruire diverso, in cui i ruoli cambiano, si fanno esperimenti e le comunità vengono coinvolte. Perciò BC architects crea un’architettura semplice, funzionale e logica, come una forma cava in cui accogliere i gesti e le narrazioni della comunità del costruire. L’atto del costruire genera il modo di fare architettura, il suo aspetto e il modo di viverla. Per definizione ciò crea sostenibilità sociale ed ecologica.
Siete un piccolo studio. Come mai avete due società, una delle quali non profit. Solo un problema fiscale?
L’esistenza di due (e presto tre) entità giuridiche non ha affatto scopi fiscali ma è relativa alla diversità delle attività che affrontiamo. Queste attività ampliano il ruolo tradizionale dell’architetto, avvicinandosi a quelli della ricerca di finanziamenti, dell’organizzatore comunitario, del produttore di materiali, dell’appaltatore, del narratore e via dicendo. Non limitiamo le nostre attività a ciò che è legalmente possibile con una particolare forma giuridica. Ci imbarchiamo in certe attività e poi cerchiamo di dar loro forma giuridica secondo la legge belga. Questa caratteristica ibrida del nostro lavoro significa che, visto che facciamo quel che facciamo, talvolta dobbiamo cambiare ‘cappello’ giuridico. La società BC architects bvba (plc) è uno studio d’architettura che fa architetture semplici e oneste inserite nel contesto locale, che usano risorse locali.
BC studies vzw (ONG) organizza trasferimenti di conoscenza. Possono andare dai cicli di conferenze alla consulenza per altri architetti o appaltatori, ai laboratori sul campo, per lo più collegati a progetti che stiamo realizzando con la BC architects. La BC studies può anche procurare finanziamenti per la realizzazione e la gestione di progetti della ONG. Stiamo varando in questo momento una nuova società che si chiama BC Materials cvba (cooperative). La società nasce dai laboratori che organizziamo, in cui i partecipanti hanno realizzato materiali edilizi per progetti pubblici e privati elaborati da BC architects e da altri studi. Abbiamo ottenuto finanziamenti dalla società Be Circular della città metropolitana di Bruxelles, che si occupa di economia circolare. L’idea di BC Materials è semplice: consideriamo il terreno di riporto dei grandi cantieri edilizi di Bruxelles come una risorsa da cui ricavare materiali edilizi utili. Negli anni a venire gestiremo miniere urbane per alcuni edifici di Bruxelles in terra battuta, intonaco in terra, terra compressa e parecchi altri materiali. A questo progetto lavoriamo con ULB (Université Libre de Bruxelles), Esher e CRAterre. Anche in questo caso la produzione di materiali non è giuridicamente gestita da uno studio d’architettura, da cui la creazione di un’ulteriore società giuridica.
Sono affascinata dagli edifici in terra cruda, immagino il profumo. Come è nata la vostra pratica di questa tecnica costruttiva? Ce l’ha un buon profumo?
Abbiamo scoperto la terra come materiale edilizio in occasione del nostro progetto per una biblioteca a Muyinga. Eravamo alla ricerca di un materiale disponibile sul posto che fosse rappresentativo dell’identità della regione (il Nord-est del Burundi). Per via di questo progetto abbiamo poi continuato a fare ricerca sulle costruzioni di terra su scala più globale e con maggiori approfondimenti. Così facendo abbiamo capito che la terra, in tutti i suoi usi, è un materiale facilissimo da ottenere, totalmente riutilizzabile, a buon mercato, bello, sano e contemporaneo, che ci radica nell’habitat naturale. Dai mattoni di terracotta alla terra battuta, high-tech o low-tech, è un materiale che permette impostazioni differenti in contesti differenti, ma che è sempre presente sotto forma di affidabile risorsa locale di facile disponibilità. Sì, ha un odore meraviglioso, e anche una trama superficiale vivace, che cambia nel corso del suo periodo di vita.
Come mai siete andati a lavorare proprio in Africa? Quanta parte del vostro lavoro è in Africa?
Avevamo una forte propensione a un’architettura della scarsità di risorse, in cui tutte le scelte architettoniche e strutturali vengono fatte con la massima cura e la massima precisione. Semplicemente perché se si ha un bilancio molto limitato tutte le scelte architettoniche devono essere fatte con grande considerazione. Quindi ogni semplice gesto architettonico assumeva la massima importanza. La struttura logica diventa l’espressione dell’architettura, spoglia di ogni decorazione e di ogni ridondanza. Abbiamo ancora parecchi progetti in corso in paesi africani come il Benin, l’Etiopia, il Mali e il Marocco, per committenti pubblici e privati, ma il nostro portafoglio di incarichi attualmente si è spostato per lo più a progetti in Belgio e in Europa. Diciamo che oggi siamo a metà e metà.
Il progetto con il quale avete vinto ai LafargeHolcim Awards mostra un’idea di città che contiene tutte le sue attività e funzioni. Una “Grande Madre”. Come siete arrivati a questa idea?
Date le richieste del bando, per noi era chiaro che un progetto che tendesse all’integrazione di industria e funzioni pubbliche era un’idea possibile per questo quartiere in transizione. L’ufficio del Brussels Bouwmeester, l’organismo municipale di Bruxelles per l’architettura, aveva bandito un concorso per la riconversione dell’area della Inter-Beton “che restituisse qualcosa alla città” (si veda la mostra A Good City Has Industry di Bozar, Bruxelles, a cura di AWB). Il cementificio della Inter-Beton sorge nella zona del canale di Bruxelles, una delle aree più dinamiche della città. È un sito esemplare per una riconversione postindustriale, dove attori pubblici e privati, insieme con la società civile, discutono le rispettive opinioni sul futuro rinnovamento. Come sempre, a BC architects & studies, abbiamo cercato di raggiungere con il progetto d’architettura una situazione vantaggiosa per tutti. Essendoci trasformati in uno studio ibrido, per noi non è poi così difficile concepire ambienti differenti o combinazioni di elementi che all’inizio possono sembrare in contrasto, da fondere insieme in coesistenza dinamica e suggestiva. Possiamo dire che il progetto degli impianti del cementificio integrato con funzioni pubbliche è lo specchio del nostro studio e delle nostre esperienze professionali a BC, dato che siamo architetti, produttori di materiali, ricercatori, consulenti, appaltatori.