Con Davide abbiamo condiviso anni di frequentazioni di luoghi difficili alla ricerca di un senso. Dai cortili di Ponticelli alle torri del Traiano, dalle periferie vere e proprie alle condizioni di periferia nei centri urbani, dalle zone terremotate a quelle semplicemente dimenticate, io docente e lui studente e poi io docente e lui assistente e, infine, soltanto amici di età diverse, sempre i nostri occhi di architetti si sono fatti attenti a cogliere i dettagli, le realtà nascoste, i punti dove si cela la bellezza. Una siffatta capacità a percepire la realtà diventa un codice che si può applicare a ogni contesto. Davide Vargas è un “letterato architetto” e ha tradotto tutta la sua formazione in edifici e scrittura. Nel 2009 ha pubblicato Racconti di qui (Tullio Pironti editore), dedicato “alla mia terra che offre continui spunti di dolore e di amore”; nel 2012, Racconti di architettura, con lo stesso editore, dove sul retro di copertina si legge: “Ogni cosa di valore non la incontri per caso. Vuole che tu ci vada apposta”. I libri si sono intervallati con le architetture: il municipio di San Prisco, casa Fe, l’azienda vinicola Sclavia, tra Dragoni e Liberi, e la Casa per studenti ad Aversa, e altre opere, tutte, come dice lui stesso, ‘incastonate’ nella sua terra e raccolte nel volume Opere e omissioni (2014, casa editrice LetteraVentidue, Siracusa). Infine nel 2017, ancora con Tullio Pironti editore, questo ultimo libro: L’altra città. Guida sentimentale di Napoli.
Napoli: miserie e grandezza raccontati con il cuore di un architetto
Chi meglio di un costruttore dello spazio può raccontare la città? Riccardo Dalisi recensisce “L’altra città. Guida sentimentale di Napoli” di Davide Vargas.
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- Riccardo Dalisi
- 09 novembre 2017
Me lo porta in una bella giornata di sole nel mio studio e ne parliamo come vecchi amici. Davide dice che i tre libri costituiscono una “trilogia dei luoghi parlanti”. Dice: “Per me è stato come costruire un edificio nelle cui stanze pezzo dopo pezzo ho custodito ogni luogo o frammento o lacerto che abbia aggiunto vita alla mia vita”. E infatti “l’altra città”, che nel sottotitolo si definisce ‘guida’, sia pure ‘sentimentale’, a rigore non è una vera e propria guida della città. Pur lavorando lungo itinerari plausibili dal punto di vista spaziale e urbanistico, si prende il lusso di scegliere luoghi e monumenti secondo un criterio personale e una personale selezione. Più che una descrizione storico-artistica oggettiva (che pure esiste, nelle note tecniche) prova la carta dell’impatto emotivo con oggetti e spazi. Rende conto di un tipo di visita a tali luoghi non rivolto soltanto a osservarli artisticamente e storicamente, quanto a penetrarli spiritualmente. Spiritualmente: parola impegnativa e desueta, che immediatamente conduce al sospetto di un personalismo privo di addentellati oggettivi, che siano saldamente fondati nei dati, nelle date, nei documenti. La sorpresa è che non è così.
Il racconto procede in maniera visiva, unendo immagini a suggestioni mentali che esse suscitano, a ricordi antichi che esse risvegliano. Ed è qui che vedo entrare in campo il territorio circostante della città, l’entroterra campano: come se a guardare fosse qualcuno che alla città non appartiene per nascita, la conosce, e bene, ma vi è arrivato da altri luoghi: come di fatto è per l’autore. Quando la collina tufacea di Parco Grifeo si associa ai grembiali a fiori delle mamme meridionali che si affacciano ai balconi per richiamare in casa i figli che giocano nei cortili, o quando il panorama di corso Vittorio Emanuele è osservato puntando gli occhi dalle minime erbette ed erbacce che frastagliano il suolo al profilo mitico dell’isola di Capri, si sente che a guardare è qualcuno che ancora può avvertire la miseria e la nobiltà della capitale così vicina al resto del territorio campano e, nello stesso tempo, lontana. Una capitale più bella del proprio borgo natìo, ma che è anche superba e infìda, agognata e respinta, e anche respingente: quasi inconsapevole di se stessa, non attenta a proteggere la propria bellezza, così abituata a detenerla da diventare ignara che a pochi chilometri da sé lo scenario è tanto più povero e meno illustre. Su questa scia, io credo, il libro-guida di Vargas guadagna per strane vie un posto possibile proprio dentro la tradizione delle guide ufficiali e a esse aggiunge qualcosa. Anche quelle antiche guide accompagnavano lo sguardo dello straniero con l’intento di muoverne le emozioni, specialmente se rivolte ai nobili viaggiatori del Grand Tour; tuttavia, trascuravano l’entroterra campano, spesso depresso e non troppo ospitale.
Questa nuova guida sfida il visitatore a osare uno sguardo più ampio, capace di leggere l’intera città nel contesto globale della regione, trasformando il colore folcloristico, ormai vieto e insopportabile, della convivenza d’inferno e paradiso, di angeli e diavoli nella città di Napoli, in riflessione sul bacino di appartenenza della città stessa. Non perché a Napoli c’è il Vesuvio che incombe e minaccia; non perché il lago d’Averno è l’ingresso degli Inferi, non perché il sangue di San Gennaro si scioglie al richiamo adirato della folla (“fai il miracolo, faccia gialluta”), in un misto di devozione e paganesimo, la città è un misto di miserie e di grandezze; essa lo è diventata, e lo è oggi, perché non è stata in grado di rappresentare l’intero territorio regionale, di diventarne forza catalizzatrice e motore di sviluppo. Dunque, sottilmente, un libro molto personale ma anche un singolare atto d’accusa possibile solo allo sguardo di un costruttore di città e di spazio, come ogni architetto ha da essere.
- L' altra città. Guida sentimentale di Napoli
- Davide Vargas
- Tullio Pironti
- 2017