La composizione di questa casa è un richiamo, con voce colta, a tipi architettonici stratificati nella storia mediterranea, laddove l’eredità poetica dell’architettura vernacolare si riscopre nel segno e nel significato del linguaggio moderno, la cui pulsione più profonda è “questa caccia all’immagine, senza inizio né fine, pungolata dal demone dell’analogia”[1]. Grazie a questa tensione, l’accordo tra le parti che formano Casa T/A evoca un sistema di riferimenti che accoglie nel suo indefinibile raggio d’azione la masìa catalana, le masserie dell’Italia del Sud, così come la casa tradizionale di Jaffa – l’antica città a ridosso della quale Tel Aviv iniziò la sua corsa verso la modernità – il cui impianto tripartito permette il fluire dei percorsi e rende permeabili gli spazi, per mettere virtuosamente in relazione le funzioni pubbliche con quelle più intime della casa.
Il canone che Paritzki & Liani adottano ha dunque forti radici nella sapienza costruttiva che sopravvive alla debolezza e caducità del gusto, ma è anche animato dalla volontà di un’astrazione che non è mai intesa, nella loro opera, come fine a se stessa, ma come tramite a una realtà più assoluta e pura. Alla fine di una ricerca che si muove in questo senso appare “solo ciò che essenziale della natura e, dell’uomo, ciò che è universale” [2] e si afferma la volontà di un’architettura stabile, sempre coerente con la più intima natura dei luoghi, ma che sa interpretare la teoria del moderno per contestualizzarla in un codice espressivo consapevole e libero.
[1] R. Calasso, La folie Baudelaire, Adelphi, 2012, p. 29
[2] P. Mondrian, La nuova espressione plastica della pittura, 1926, in P. Mondrian, Tutti gli scritti, p. 187