I due progetti che presentiamo in queste pagine si situano in due situazioni ambientali differenti: la zona industriale di Kurashiki e l’area metropolitana di Yokohama. Il primo è un esempio della tendenza alla conversione degli edifici industriali, di cui la città sull’Isola di Honshu è l’apripista; il secondo dimostra come l’architettura possa salvare i luoghi e, similmente all’economia illegale, moltiplicare i profitti. Se per Yokohama, seconda solo a Tokyo per popolazione, si tratta di una rifunzionalizzazione ambientale, per Kurashiki, città pilota nella conservazione e nel recupero di costruzioni storiche, siamo di fronte alla conversione di un fabbricato industriale moderno in un museo, a opera dello studio TNA.
Koganecho a Yokohama: l’architettura sotto la sopraelevata
Bombardato dai B-29 americani durante la Seconda guerra mondiale, nel primo dopoguerra il distretto di Koganecho ha visto proliferare sotto il tracciato ferroviario mercato nero, droga e prostituzione, tanto che, oltre a essere cantato da William S. Burroughs, nel 1963 è stato utilizzato come set da Akira Kurosawa per il suo Anatomia di un rapimento. Fino al 2005, qui sorgeva un quartiere a luci rosse con oltre un centinaio di chon-no-ma (case di prostituzione con una sola donna) e scorrevano fiumi di alcol. Poi, i ripetuti raid da parte della polizia del Governo locale hanno ripulito l’area, ma hanno anche prodotto una pesante stagnazione economica. Locali, negozi e botteghe hanno chiuso uno dopo l’altro, creando un vuoto materiale, ma aprendo alla possibilità per gli abitanti della zona d’immaginare un altro destino per se stessi e per Koganecho.
Le realizzazioni coprono un segmento di circa 100 m sotto la linea ferrata. Tutti gli interventi hanno cercato di mediare la scala dell’opera d’ingegneria civile con quella più intima e confortevole del disegno d’interni. Gli spazi hanno un’atmosfera molto rilassata, ottenuta attraverso la creazione di volumi essenziali, senza nessuna ricerca formale eccessiva. I progetti sono nati codificando il paesaggio informale dell’area di Koganecho e hanno dato vita a un’architettura sofisticata ma semplice, ritmata da pareti sottili, inserite tra gli archi della sopraelevata, o dalle spesse colonne esistenti, che sorreggono il piano dei treni. I materiali scelti—legno, vetro e cemento—comunicano un’impressione di ospitalità.
Il “sistema Kurashiki” e lo studio TNA
Durante il periodo Edo (1603-1868), Kurashiki si è gradualmente sviluppata in una città-porto fluviale ed è diventata un grande centro di coltivazione e distribuzione del riso. I canali storici sono stati preservati, come anche i magazzini dai caratteristici muri bianchi e dalle tegole nere: erano, infatti, i soli edifici (assieme ai castelli) a essere costruiti in pietra, e non in legno, per questioni di sicurezza. Negli anni Sessanta, quando i centri storici giapponesi venivano rasi al suolo e rimpiazzati da edifici moderni di dubbia qualità estetica, un gruppo di cittadini di Kurashiki, coadiuvato dall’amministrazione municipale, redasse un piano di preservazione e riconversione di intere aree d’interesse storico. Il progetto ebbe talmente successo che si parlò del “sistema Kurashiki”. Nel 1991, a completamento di un percorso di trasformazione, la città si piazzò prima nella League of Historical Site Tourist Attractions con 4 milioni e mezzo di visitatori, dimostrando che si può produrre economia attraverso la riconversione del settore industriale in sistema culturale [2].
Il museo Kamoi—nato per conservare ed esporre la produzione dell’azienda omonima, inizialmente specializzata in carta moschicida e, successivamente, in nastri adesivi di carta di riso—occupa una struttura a due piani di un fabbricato all’interno di un’area industriale ancora attiva. Sorge negli spazi un tempo utilizzati per miscelare le paste collanti adoperate nel processo manifatturiero. L’edificio ha un impianto rettangolare molto semplice e ben definito: un piano terra trasparente e aperto verso il paesaggio esterno; un piano superiore con pareti cieche e un’unica finestra a nastro lungo il bordo alto per dare luce all’interno; infine, una scala che connette i due livelli.
Al piano terra—un ambiente unico—, i vetri trasparenti pongono esterno e interno in continuità visiva. Una Mini Cooper ricoperta dall’adesivo prodotto dalla Kamoi e un macchinario d’epoca trovano spazio fra sedie e tavoli in legno all’interno di una sala multiuso, utilizzata sia per incontri e conferenze, sia per il pranzo comune degli impiegati. Al secondo piano, un allestimento minimale racconta la storia della Kamoi attraverso la grafica aziendale d’antan e oggetti vari: una collezione preziosa, dato che i prodotti dell’azienda giapponese sono talmente raffinati da essere venduti negli shop dei musei di tutto il mondo.
Ieri, oggi, domani
Dopo i disastri naturali del marzo 2011, la società giapponese—un sistema economico e sociale avanzato, ma in crisi—sta navigando verso un orizzonte non ben definito, grazie al quale si aprono delle possibilità—soprattutto per l’architettura—per valutare nuove opzioni e strategie che non hanno timore di guardare alla ricchezza della tradizione costruttiva locale. Il riciclo e il riuso erano entrambi presenti nell’architettura giapponese: basti pensare al sashimono, una tecnica di lavorazione del legno, adoperata dai carpentieri e dagli artigiani del periodo Edo. Dovendo far fronte alla penuria di materia prima, essi idearono un sistema costruttivo a incastri per produrre il mobilio delle abitazioni dei samurai più facoltosi. Una volta che i mobili venivano dismessi, il legno veniva smontato e riutilizzato per altri scopi. Tramandato di generazione in generazione, il legno transitava di forma in forma passando così a nuova vita, rinnovando il credo giapponese per il quale gli oggetti hanno un’anima capace di reincarnarsi. Con l’ascesa economica del dopoguerra, che ha visto la potenza asiatica diventare quasi la nazione numero uno al mondo, il Giappone ha abbracciato senza riserve una cultura di sfrenato consumismo, che ha decretato la secondarietà di certe sane pratiche e tradizioni costruttive.
I due interventi di Kurashiki e Yokohama mostrano come sia possibile recuperare sia ambienti sia edifici, integrandoli alle necessità contemporanee, per produrre un’architettura di qualità capace di incidere positivamente sulla produzione di un nuovo futuro. Salvator-John A. Liotta, Architetto e Senior Researcher, Tokyo University
Note:
1. Jon Mitchell, Koganecho transformed: from sleaze to teas, in The Japan Times, 24 marzo 2011
2. André Sorensen, The Making of Urban Japan: Cities and Planning from Edo to the Twenty-First Century, Nissan Institute/Routledge Japanese Studies Series, 2004, p. 322