Questo articolo è stato pubblicato su Domus 968, aprile 2013
Il KamerMaker è uno scintillante ibrido situato sul fianco di una via della zona settentrionale di Amsterdam, a qualche centinaio di metri di distanza dalla Stazione centrale e dal lago IJ. Un contenitore industriale forato e a specchio, alto 6 metri, ribaltato in verticale e che assomiglia a un monolite venuto dallo spazio o a un menhir di un’era dimenticata, radicato nel suolo da tempi immemorabili. Alle pareti sono fissate eliche di plastica, immobili in questa speciale mattinata grigia di marzo. Pare in attesa di qualcosa.
Il progetto giunge in un momento particolarmente fecondo della carriera dello studio. DUS, fondato nel 2004, ha lavorato fin dall’inizio in due direzioni parallele: progetti di ristrutturazione urbana per società olandesi dell’edilizia residenziale, soprattutto nella città di Nieuwegein, nel più grande insediamento abitativo comunitario del Paese; e piccoli progetti e installazioni temporanee, che rispondevano al più immediato (e architettonico) bisogno di costruire e di intervenire attivamente nell’ambiente circostante.
Il loro Gecekondu DUS Summerhouse Hotel era una struttura effimera fatta di 300 contenitori di sabbia, itinerante in varie località per offrire una “sistemazione gratuita in cambio di contributi culturali”. Dalle feste di compleanno per i bambini alle mostre di un solo giorno, è servito da luogo di incontro e da piattaforma adattabile per varie manifestazioni, con il frequente affiancamento alla struttura fisica di un sito web che collegava efficacemente la dimensione fisica dello spazio con quella virtuale. Il progetto ha attirato l’attenzione dell’Architectuurcentrum di Amsterdam ed è stato poi giudicato “il miglior progetto d’architettura del 2009” da Tracy Metz del quotidiano olandese NRC Handelsblad.
Nel 2011 la fama dello studio nell’ideazione di costruzioni effimere per l’animazione di spazi pubblici era consolidata, e i progetti si sono fatti più ambiziosi e complessi con la creazione di una programmazione ad hoc e di un ciclo di manifestazioni parallele all’ideazione di uno spazio specifico.
“Queste installazioni temporanee erano in rapporto sempre più stretto con i nostri progetti di maggiori dimensioni”, dichiara Hedwig Heinsman, socia e cofondatrice dello studio, spiegando che quell’anno segnò l’apertura di un nuovo spazio di lavoro di fronte al quale ora sorge il KamerMaker: l’Open Coop.
Situato sull’ex area della Shell nella zona nord di Amsterdam—20 ettari di edifici parzialmente demoliti, in previsione di una nuova edificazione che non riuscì a decollare dopo la crisi economica ed attualmente una delle zone più degradate della città—l’Open Coop è un’iniziativa comune di DUS e dello studio di ingegneria sociale Partizan Publik: un atelier a libero accesso dove cuochi, artisti, analisti e politici condividono lo spazio con architetti e ingegneri. Le pareti sono state abbattute, costringendo le varie discipline alla collaborazione e all’interazione.
“Come architetti progettiamo l’ambiente della società, per cui dobbiamo esserne coinvolti”, afferma Heinsman, che sottolinea come l’idea sia valorizzare lo spazio. “Per un po’ bisogna farci l’abitudine, a questo nuovo modo di lavorare, ma poi se ne ottengono grandi ricompense”.
Il KamerMaker è nato nell’autunno del 2012 in questo contesto di collaborazione. L’inaugurazione della struttura ha coinciso con PICNIC, il festival cittadino dell’innovazione e della creatività, e ha lanciato la domanda: “E se ci stampassimo in 3D una casa tutta per noi?”. “Già eravamo affascinati dalla stampa tridimensionale”, spiega Heinsman, “e ci piaceva l’idea di avere un padiglione trasferibile, che innescasse una reazione con ciò che lo circonda e realizzasse qualcosa di nuovo”. Ma, invece di andare a caccia di investitori per dare il via al progetto, DUS ha adottato un atteggiamento più proattivo, facendo da sé il primo passo e aspettando le reazioni, che sono state straordinariamente positive.
Dall’autunno scorso, DUS ha acquistato parecchio peso e, ai primi di marzo, il KamerMaker è in attesa. Presto sarà trasferito sull’altra riva del canale che costeggia l’Open Coop, dove sorgerà un cantiere e dove stamperà “la casa del xxi secolo”, un’abitazione totalmente tridimensionale con la forma di una casa di quelle che sorgono lungo i canali di Amsterdam. Questa dimensione formale cerca di evocare il contesto locale e di valorizzare l’area settentrionale della città (nel quadro di un progetto più vasto denominato “Cintura del canale settentrionale”), riprendendo anche una particolare, unica tipologia decorativa che, secondo DUS, è andata perduta nell’era della produzione di massa.
Lo studio ha sfruttato i suoi attuali saldi rapporti con alcuni partner, dal Comune alle imprese edili, e sta facendo i primi passi in quella che potrebbe diventare la sintesi di tutte le opere che ha elaborato finora, con la creazione di un sito di ricerca sperimentale in cui i diversi attori (dagli sponsor ai membri della comunità) sono invitati a intervenire in un processo di creazione comune il cui procedere viene misurato e valutato passo dopo passo.
In maggio, DUS spera di lanciare quello che chiama un “cantiere 2.0”: una manifestazione e uno spazio dedicato alla formazione dove verrà esposto, festeggiato e commentato ogni oggetto stampato uscito dal KamerMaker.
I primi elementi a essere costruiti (da completare entro l’anno) saranno una facciata riccamente decorata e il primo dei dodici spazi della casa: la “Stanza di accoglienza”. Heinsman sottolinea che “le stanze sono metafore della ricerca”, sottolineando le preoccupazioni più pragmatiche riguardanti i limiti della stampa tridimensionale e del riciclo dei materiali, oltre che questioni di maggior portata, come i consumi energetici e le relative strategie.
Per ora DUS sta stampando un gran numero di facciate e di componenti in scala 1:20 con un Ultimaker, sperimentando durabilità, decorazione e fattori strutturali. In una delle sale riunioni una scrivania è affollata di minuscoli campioni sperimentali di polipropilene bianco, microfacciate di elementi cubici e romboidali. Se in un angolo non ci fosse il ronzio della piccola stampante tridimensionale, potrebbe essere un laboratorio artigianale di un secolo fa. “È solo l’inizio”, dichiara Hedwig Heinsman. “Siamo dei neofiti e impariamo dall’esperienza".
Vera Sacchetti (@verasacchetti) Giornalista e critica di design