Eme3 2012: Bottom-Up

Il risultato migliore del festival di architettura, quest'anno dedicato al tema della creatività che nasce dalla base, è stato il rafforzamento delle reti estese di scambio e di collaborazione.

Quest'anno il festival Eme3, dedicato con il titolo Bottom-Up al tema della creatività che nasce dalla base, fa parte della più vasta corrente che sostiene l'esigenza di una maggiore partecipazione orizzontale all'architettura e alle pratiche culturali. Una tendenza che ha origine in un più ampio discorso sulla partecipazione nella sfera dell'arte e del design e, più immediatamente, nei molteplici movimenti politici del passato recente. Il festival diviene così un interessante terreno di studio sulle sfide rappresentate dalla selezione e dall'esposizione delle pratiche di partecipazione.

La manifestazione si è aperta la sera del 28 giugno con presentazioni di Santiago Cirugeda (Recetas Urbanas) e di Andrés Jaque (Oficina de Innovación Política): due architetti di provata esperienza sui temi del festival. Cirugeda e Jaque hanno affrontato il pubblico in un interessante dibattito sulla tensione tra lavoro oltre i limiti della legalità e necessità di continuare a svelare le contraddizioni e le lacune dell'attuale legislazione per provocare un cambiamento. Il dialogo ha messo in luce i limiti e i rischi della prospettiva bottom-up, e le frustrazioni di parecchi designer e operatori culturali nei confronti dei tradizionali confini disciplinari. Ha anche segnato la fisionomia dello stesso festival, in cui dibattiti e tavole rotonde parevano più adeguati al tema delle tradizionali conferenze di documentazione.
In apertura e qui sopra: la Galería de Magdalena, Sr Lorenzo, encaja_2 e il momento della foto ufficiale alla Galería de Consellers
In apertura e qui sopra: la Galería de Magdalena, Sr Lorenzo, encaja_2 e il momento della foto ufficiale alla Galería de Consellers
Nel dibattito Communication and Bottom-Up, a cura di Ethel Baraona (dpr_barcelona) il fumettista Koldo Lus (Klaustoon) ha spiegato l'origine della sua mostra allestita in luoghi inconsueti della città di Portimãu. Dato che i suoi disegni erano fatti per essere incontrati casualmente invece che in una galleria al chiuso – forse il risultato di una ricerca su Internet o di un link casuale – Lus ha pensato che la traduzione ideale da Internet alla stampa fosse la loro esposizione nelle vetrine, con la creazione di un percorso nel quartiere storico della città. Il commento di Lus ha implicitamente messo in luce uno dei problemi della mostra di Eme3: gli spazi chiusi di solito non favoriscono la varietà che invece le pratiche orizzontali di solito incoraggiano.
Vista generale della Eme3 Plaza Eme3 con il progetto M1, cupola nomade, eretta nella piazza del Duomo di fronte al COAC e circondata da transenne con un ingresso
Vista generale della Eme3 Plaza Eme3 con il progetto M1, cupola nomade, eretta nella piazza del Duomo di fronte al COAC e circondata da transenne con un ingresso
La mostra per lo più seguiva modalità espositive e comunicative tradizionali: grandi striscioni a stampa nell'atrio della COAC (l'associazione degli architetti catalani) realizzati da ciascun gruppo come elaborato di concorso. Analogamente certi architetti e certi gruppi di progettazione sono stati invitati a tenere conferenze sul loro lavoro. In ogni caso, al di là dell'interesse dei progetti e delle conferenze, propagandare orizzontalità e partecipazione a porte chiuse e con impostazioni unidirezionali è sembrato contraddittorio: la forma non andava d'accordo con il contenuto, sia nel recinto della Eme3 Plaza (con il progetto M1, cupola nomade eretta nella piazza del Duomo di fronte al COAC e circondata da transenne con un ingresso) sia tra le pareti di vetro della sede del COAC. Nonostante fossero aperti al pubblico, entrambi i siti tendevano a scoraggiare la partecipazione della variegata folla di turisti, artisti di strada e vagabondi che circolava nella piazza circostante e si attardava nell'attiguo mercato (un modello migliore di esposizione pubblica?). In contrapposizione con queste mostre le manifestazioni e i laboratori locali non hanno faticato a integrare una folla variegata e dinamica, e hanno incoraggiato il genere di partecipazione propagandata dal festival. I progetti, ubicati in aree abbandonate della Ciutat Vella scelte da Eme3, nascevano sia dalla ricerca dei partecipanti in quanto tappe di un percorso, sia come incontro casuale da parte dei passanti. Tre di queste manifestazioni si sono svolte quasi in contemporanea nel festival e meritano una citazione particolare. La Galería de Magdalena e la Periferia Doméstica hanno allestito una serie di mostre parallele con artisti di Barcellona, offrendo doni urbani sotto forma di piccole opere d'arte come collage, sementi e cartoline postali. In vari isolati della Ciutat Vella il progetto invitava i passanti a fermarsi, a conversare, a condividere, a portarsi via qualcosa e qualche volta a lasciare un dono (pagina Facebook).
Una dichiarazione critica dei curatori, a proposito delle sfide e del dibattito attuale sulle strategie bottom-up in generale, sarebbe stata una gradita aggiunta alla natura più celebrativa del festival.
<i>Deus anys sense vergonyes</i> ("Due anni senza vergogna")
Deus anys sense vergonyes ("Due anni senza vergogna")
Albert Arias, Nacho Domínguez-Adame e Paco González hanno impegnato quartiere e visitatori del Forat de la Vergonya, piccola e conflittuale area del quartiere del Born, in Deu anys sense vergonyes ("Due anni senza vergogna", calembour sul nome del quartiere). Il dibattito sulla trasformazione dei quartieri in zone residenziali borghesi e sui conseguenti conflitti tra residenti era documentato attraverso ricordi anonimi e l'invito a ricordare (sito del progetto e supplemento speciale). Infine l'Institute of Placemaking (Pieterjan Grandry, Jia Gu e Valentina Karga) ha usato un isolato del Raval per creare una sequenza di azioni che includevano edifici, appelli, formazione e condivisione di saperi, culminando in un pasto comunitario che comprendeva la preparazione delle portate con la cottura solare e utilizzava addirittura minestre preparate in occasione del laboratorio precedente (sito del progetto). La diversità di questi tre progetti, il loro dichiarato carattere pubblico e la varietà dei partecipanti, insieme con i limiti delle più chiuse mostre del festival, mettono in luce il carattere di sfida con cui le strategie di partecipazione contraddistinguono la propria presentazione pubblica. In questo senso forse il risultato migliore del festival è stato il rafforzamento delle reti estese di scambio e di collaborazione.
The Institute of Placemaking
The Institute of Placemaking
Infine, una dichiarazione critica dei curatori, a proposito delle sfide e del dibattito attuale sulle strategie bottom-up in generale, sarebbe stata una gradita aggiunta alla natura più celebrativa del festival. La crisi economica che fa da sfondo a molti di questi progetti rende imperativo uno sguardo critico: chi finanzia che cosa, qual è il pubblico di riferimento e chi parla a nome di chi? I progetti esposti davano risposte molto differenti, così come il festival stesso, finanziato da una varietà di sponsor pubblici e privati. Una tavola rotonda su questi temi sarebbe stata un contributo di cui si sentiva grande necessità.
<i>Deus anys sense vergonyes</i> ("Due anni senza vergogna")
Deus anys sense vergonyes ("Due anni senza vergogna")
The Institute of Placemaking
The Institute of Placemaking

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