Il caleidoscopio di Eliasson

Con la facciata dell'Harpa Concert Hall, Olafur Eliasson costruisce un dispositivo visivo, messo a punto in un intenso dialogo con Henning Larsen Architects.

Questo articolo è stato pubblicato su Domus 949, luglio/agosto 2011

Guarda il video di Pedro Kok

Joseph Grima: Negli ultimi anni l'architettura ha occupato un posto sempre più importante nel tuo lavoro. E il tuo più recente (e, forse, più ambizioso) intervento architettonico, una collaborazione con lo studio Henning Larsen Architects per l'Harpa Concert Hall, è stato appena inaugurato a Reykjavík. Puoi parlarci di questo lavoro? Naturalmente è irrilevante tentare una distinzione netta tra arte e architettura in un progetto come questo, vorrei comunque che ci raccontassi in che misura percepisci l'edificio e il contributo artistico come un unicum.
Olafur Eliasson: Concordo sul fatto che in questo caso non sia interessante fare distinzioni tra arte e architettura. Rispetto molto il linguaggio dell'architettura, perché può servire a dire cose che non potrebbero altrimenti essere raccontate con il linguaggio dell'arte e viceversa. Quando abbiamo iniziato a collaborare al progetto dell'Harpa di Reykjavík, la struttura della sala concerti era già stata definita, ma fin dal primo momento ho ritenuto importante chiarire che qualsiasi cosa avessi fatto doveva essere integrata all'edificio dal punto di vista estetico e strutturale. Era molto importante che il mio intervento non fosse limitato ad apporre un elemento decorativo alla struttura. Con la mia squadra di lavoro abbiamo deciso di creare una grande facciata che offrisse, al contempo, una soluzione al problema delle colonne che avrebbero interferito con la struttura e con la percezione di un insieme indistinto. Insieme abbiamo definito il principio di una griglia costituita da un elemento modulare che fosse anche strutturalmente attivo. Questa premessa ha creato un terreno fertile all'integrazione tra arte e architettura. E in questo modo ha potuto svilupparsi una continuità tra le due discipline. Non è sempre facile creare una relazione ininterrotta tra arte e architettura e non mi riferisco tanto alla continuità tra superfici, quanto piuttosto a una continuità ideologica.

Puoi raccontarci del quasi-mattone, l'elemento base della facciata dell'Harpa? Questo tipo di forma geometrica è stato una presenza ricorrente nel tuo lavoro degli ultimi anni.
In questi anni mi sono impegnato a fondo a studiare il principio dell'aggregazione e della tassellatura dello spazio e, più in generale, ho lavorato sul concetto di space filler. Ho anche affrontato una ricerca di base sui poliedri e sulle performance geometriche delle forme in termini di superfici e sistemi. Il modello originale del quasi-mattone deriva da un sistema geometrico proporzionale originato da un grande dodecaedro riconoscibile in questo modulo base quando lo si guarda con attenzione. Ma è proprio in Islanda che, per la prima volta, abbiamo avuto occasione di applicare questo principio modulare alla scala del paesaggio. Ho sempre immaginato l'edificio come un relitto sospinto verso la riva da una grande onda, una roccia o altro che, in corrispondenza del prospetto sud, riportasse il segno del distacco da una massa originaria lasciando emergere la sua struttura molecolare. Così, l'idea iniziale consisteva in un sistema omogeneo di facciata che nel lato sud, però, lasciava emergere questa specie di spaccatura. L'evoluzione del quasi-mattone, poi, deve molto al fondamentale lavoro di Einar Thorsteinn, un ingegnere islandese, che è anche matematico, artista e filosofo e che ha studiato con Frei Otto, partecipando al progetto dello stadio di Monaco prima di ritornare in Islanda. Quando Thorsteinn ha deciso di rientrare in Germania, ho avuto la fortuna di coinvolgerlo nello studio e, da quel momento in poi, la sua presenza è stata costante. Ha sperimentato, studiato e svolto un lavoro di base sia sui poliedri sia sui principi di Buckminster Fuller, ma soprattutto si è dedicato a studiare i principi della cristallografia. Tuttavia, gli interessi di Thorsteinn sulle questioni strutturali di ingegneria sono permeati da una visione idealista.

Come funziona esattamente l'unità modulare da punto di vista strutturale?
Per molti anni, in studio, ho lavorato su diversi principi geometrici con cui mettere a punto un nuovo tipo di mattone da costruzione, che costituisse un'alternativa alla facciata curtain-wall. Il mattone poliedrico contiene al suo interno tutte le funzioni necessarie alla costruzione di una facciata secondo un sistema aggregabile, e offre una grande varietà di strutture geometriche possibili. I mattoni, e i modi in cui sono connessi, formano una struttura tridimensionale auto-portante, che è stata studiata in dettaglio proprio per ottimizzare l'uso del materiale. Grazie alla riduzione della quantità di materiale, abbiamo potuto compensare i costi aggiuntivi del ricalcolo e della riprogettazione necessari in molte occasioni. Il compito d'intervenire sull'architettura dell'edificio senza compromettere il messaggio etico del progetto è ricaduto sulla squadra di progetto dello studio, guidata da Sebastian Behmann. Questo principio è stato poi applicato all'edificio dagli architetti.

Quando fai riferimento al messaggio etico di Einar Thorsteinn e alle sue implicazioni ideologiche presumo ti riferisca al progressivo interesse nei confronti del lavoro di architetti utopisti come Buckminster Fuller e Frei Otto e della loro fiducia nel potenziale di trasformazione dell'architettura.
Fuller era meno ideologico di quanto si credesse. Era ossessionato dall'efficienza e dall'egualitarismo. La sua era un'utopia moderna. Quello che mi affascina di architetti come Fuller, ma potrei dire la stessa cosa del lavoro di Frei Otto e di Paolo Soleri, è la critica che hanno fatto del moderno in un'epoca ancora profondamente moderna. In quest'accezione, non li definirei tanto utopisti. Quello che mi interessa, piuttosto, è che, grazie alla rielaborazione di alcuni principi spaziali fatta a quel tempo, sia possibile oggi, o come è successo a me negli anni Novanta, elaborare nuove soluzioni spaziali. O comunque trovare risposte, proposte o anche discussioni capaci di favorire una critica degli spazi moderni nelle performance legate allo spazio.

L’Islanda è ricca di fenomeni naturali unici, come le colonne di basalto cristallino, di cui il quasi-mattone è una reminiscenza
Per molti di questi architetti, in particolare per Otto e Fuller, la dimensione etica, connessa a un'idea di riduzione, era sinonimo di efficienza e contenimento dei costi, mentre ritenevano la dimensione estetica o decorativa della geometria meno interessante e puramente consequenziale.
Il tema del contenimento dei costi è diventato urgente solo in seguito, in particolare da quando è sinonimo di efficienza climatica. Essendo cresciuto in Danimarca non ho mai considerato il tema del contenimento dei costi un veicolo ideologico. Negli anni Novanta ero interessato, come molti altri, alla critica della modernità in voga all'epoca. Il postmoderno era stato promosso e la critica, anche cinicamente, aveva un atteggiamento apocalittico. Pensatori francesi come Jean-Luc Nancy erano molto influenti nella mia scuola. In quegli anni ero interessato alla Catena di Vetro di Bruno Taut; inoltre guardavo agli architetti espressionisti tedeschi, alle caleidoscopiche città degli anni Venti e alle città semi-esoteriche di Rudolf Steiner. Mi sono interessato perfino al costruttivismo russo e a Konstantin Melnikov. Gli anni Novanta, per me, hanno rappresentato proprio la scoperta di queste figure vitali. Einar rientra nello schema e, nonostante le differenze, è oggi l'unico rappresentante di quel mondo.

In che modo nel tuo lavoro il tentativo di trascendere il modernismo si interfaccia con la realtà?
Credo che la nostra intenzione di trascendere il modernismo sia meglio espressa dal concetto di Gesamtkunstwerk. L'edificio e il lavoro artistico formano un insieme che oltrepassa il rigore innaturale e dogmatico del modernismo e il fervore quasi apocalittico del postmodernismo.

In questo momento stai lavorando al quartiere generale Kirk Kapital in Danimarca. Questa volta non si tratta di una collaborazione, come nel caso di Harpa, ma il progetto è sviluppato interamente dal tuo studio. È il tuo primo intervento strettamente architettonico?
Il nostro lavoro negli ultimi dieci anni è stato in qualche modo sempre in relazione con l'architettura. Il metodo di lavoro dello studio è simile a quello di un laboratorio: facciamo un lavoro teorico, ma anche empirico. Inoltre lavoriamo specificatamente sul corpo, gli arti, il modo in cui ci muoviamo, balliamo, stiamo in piedi, distesi, piegati. Anche se sembra stano, questi sono esercizi o esperimenti strettamente collegati all'arte, ma anche all'architettura. Credo si possa dire che esiste una sovrapposizione tra le due discipline, anche se hanno modi diversi di sviluppare il concetto di permanenza e hanno rapporti diversi nei confronti di regole e codici. La sfida è come accostare e trasferire il linguaggio da un campo all'altro. Esistono architetti che affrontano questo tema, ma lo fanno anche molti artisti. Devo dire (dal profondo del cuore) di non credere che l'edificio Kirk Kapital non sia un'opera d'arte. È un grande lavoro artistico, a cui semplicemente accade di avere una forma cha ha bisogno di un'architettura.
Artist: Olafur Eliasson, Studio Olafur Eliasson
Facade Design Team: Sebastian Behmann, Ben Allen, Einar Thorsteinn
Architects: Henning Larsen Architects A/S, Batteriid Architects Ltd.
Henning Larsen Architects Team: Peer Teglgaard Jeppesen, Ósbjørn Jacobsen, Klavs Holm Madsen, Steen Elsted, Ingela Larsson
Owner and Operator: Harpa, Portus Group, AGO, Totus Contractor: IAV hf., Iceland Prime Contractor Ltd.
Acoustic Design Consultant: Artec Consultants Inc.
Landscape Architects: Landslag efh., Lisbeth Westergaard
Engineers: Artec Consultants, Mannvit Engineers, Hnit Consulting Engineers, Efla Engineers, ArtEngineering GmbH, Ramboll
Other Consultants: ASK Architects, Almenna Consulting Engineers, Verkis Consulting Engineers, Verkhönnun Engineers, Jasper Parrott (International Consultant), Vladimir Ashkenazy (Artistic Advisor)
Total Floor Area: 28,000 m2
Cost: approx. $150,000,000
Construction Phase: 2007—2011

Ultimi articoli di Architettura

Altri articoli di Domus

China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram