Oggi, lo slogan adottato dalla municipalità, impegnata a creare interesse e attrattiva per le risorse locali soprattutto in competizione con Nantes – la vicina sorella maggiore, in forte sviluppo – è "Saint-Nazaire: l'énergie atlantique est là". La formula sintetizza con incisività il programma di rivitalizzazione che la cittadina sull'estuario della Loira ha attivato dal 1990 con il Projet Global de Développement, dopo un lungo periodo di crisi. Con grande lungimiranza, gli amministratori hanno voluto ripensare non solo gli inquadramenti dell'espansione fisica urbana e il potenziamento dei grandi poli industriali (i cantieri navali e aeronautici), ma anche le nuove modalità della vita sociale e culturale.
Negli ultimi anni, i 67.000 abitanti di Saint-Nazaire hanno vissuto il processo di incremento di quartieri residenziali e terziari con relativi servizi e infrastrutture, hanno sperimentato lo sforzo di ricucitura tra il centro urbano e la fascia marittima – l'autentica area di vocazione della città – e hanno condiviso un sistema articolato di iniziative culturali, incentrate prevalentemente sul contemporaneo e sapientemente infiltrate nel tessuto edilizio esistente. Nessun grande gesto architettonico è stato commissionato come elemento di attrazione per contenere i numerosi progetti rivolti a un pubblico differenziato. Tutti hanno trovato sede adeguata in edifici storici, opportunamente convertiti allo scopo. Basta citare il festival annuale les Escales, dedicato alle musiche del mondo, che attira fino a 40.000 spettatori, ospitato nella zona del porto; le Fanal, un centro riconosciuto per spettacoli di teatro, canto, circo, varietà, danza; Le Grand Café, che svolge un'azione di servizio per l'arte contemporanea; il Meet (Casa per scrittori stranieri e traduttori), luogo di scambio tra intellettuali internazionali.
In questo senso è stato trasformato il paesaggio mentale di Saint-Nazaire, non quello fisico. È stato rifiutato il modello Bilbao a favore della linea, più agile ma anche concettualmente più raffinata, già adottata a Parigi nel Palais de Tokyo – risistemato con tocchi invisibili dallo studio Lacaton & Vassal come luogo interdisciplinare dedicato alla creazione contemporanea – o a Karlsruhe nello ZKM – Centro per arti e media, insediato in una ex fabbrica di armi e munizioni, mantenuta sostanzialmente nel suo stato originario.
A Saint-Nazaire c'è una vecchia costruzione particolare sul porto che, proprio in questa strategia culturale proiettata verso una circolarità del riuso, è stata reintegrata alla vita della città dopo anni di abbandono. È un monumento sui generis: un blocco di 480.000 metri cubi di cemento, colati in un parallelepipedo di 299 m di lunghezza, 124 m di larghezza e 18 m di altezza. Immediatamente identificabile come un bunker, fu in effetti realizzato dalla Marina tedesca durante la Seconda Guerra Mondiale come una delle basi più importanti dei suoi sottomarini, gli U-Boot, dislocate lungo la costa atlantica della Francia occupata.
Impenetrabile ostacolo tra la città e il mare, secondo l'opinione di molti, 'inquietante', solo per citare la definizione dei più, l'edificio ha oggi la potenza d'immagine di una metafora, evidentemente colta dal governo locale nel momento in cui ne ha stimato la possibilità di inclusione e riutilizzo. Già nel 1998, vincitore di un concorso sull'area, Manuel de Solá-Morales ne ipotizzava il riuso come spazio pubblico, da rendere permeabile in direzione dell'acqua, con zone commerciali e di ristorazione, un grande parcheggio e una strada-rampa che conduceva al tetto, reso praticabile. Solo parte di queste proposte è stata poi realizzata, come l'accesso alla copertura, forse l'elemento urbano più significativo. Ma la visione della municipalità negli anni successivi è rimasta coerente, scendendo giusto a compromessi più realistici per un intervento concreto, e individuando progressive trasformazioni del complesso per fasi, con una previsione di fine lavori per il 2012.
Nel 2003 un nuovo concorso ha avuto come oggetto il cosiddetto "Alvéole 14", una delle celle doppie di ricovero per due sottomarini, con i corrispondenti locali di servizio verso terra. Il programma riguardava la creazione di una sala LiFE (Luogo internazionale delle Forme Emergenti) e di una sala VIP (scena di rappresentazione delle Musiche attuali), per una superficie totale di 5.500 metri quadri.
Il giovane studio franco-berlinese LIN, formato da Finn Geipel e Giulia Andi, risultato vincitore, ha interpretato la memoria storica del luogo con consapevole rispetto, lavorando sull'enigmaticità attuale degli spazi e sulla semplicità della circolazione. Una larga promenade rettilinea, individuata da una regolare e leggera pioggia di luci sospese, distribuisce con silenziosa discrezione le 'caverne' di spesso cemento armato, rimaste brutalmente tali – infiltrazioni d'acqua e vecchie scritte comprese. La strada interna, che già in origine toccava tangenzialmente tutti i quattordici bacini d'acqua, riporta ancora oggi le tracce dei binari su cui correvano i vagoni per il trasporto dei materiali pesanti.
Quasi nulle le sovrapposizioni di nuovi elementi, ridotte all'inserimento di qualche scala metallica o di tubature per l'impiantistica. Si avverte una sacralità super partes, un approccio liberatorio, che spazza via ogni questione etica sulla convenienza o meno di conservare, e riutilizzare, episodi della storia nazista: questione che ancora oggi è molto sentita da storici e politici, tedeschi e non. Nel progetto di LIN c'è comunque una preziosità un po' sorprendente in tanto rigore. Sul tetto, in corrispondenza dell'Alvéole 14, è stata montata una cupola geodetica traslucida, prelevata dall'aeroporto berlinese di Tempelhof, dove ospitava un radar ormai in disuso. Qui è diventata un think tank, un raccolto laboratorio sperimentale. Un segnale per la città, illuminato di notte, che qualcosa di nuovo nel bunker è avvenuto.
