Promuovere le abilità artigiane locali, studiare soluzioni sostenibili, stimolare l’armonia sociale o portare linfa alla vita di un villaggio o di una città. Sono questi i valori su cui punta il premio d'architettura definito il più "generoso" del mondo - il suo valore è di 500mila dollari contro i "soli" 100mila dollari del Pritzker Prize - giunto quest'anno all'ottava edizione.
Ed è proprio per rispondere a questi valori che tra i premiati il 6 novembre - la cerimonia ufficiale si è tenuta nella cittadella di Aleppo in Siria - sono stati scelti (tra i 427 lavori presentati) nove progetti apparentemente diversi tra loro, ma legati da un unico filo: il progetto come chiave per migliorare le condizioni di vita tra comunità diverse nella società mussulmana.
Dai programmi di recupero e sviluppo urbano e rurale in Iran e Marocco a un complesso scolastico in Guinea, dal Museo Nubiano in Egitto all’SOS Children’s Village in Giordania, per approdare a un centro sociale in Turchia, a un parco di 30 ettari in Iran e a un hotel in Malaysia. Premio alla carriera (Chairman’s Award) per l’architetto cingalese Geoffrey Bawa, la cui opera è stata definita "una miscela sottile di modernità e tradizione, Est e Ovest, formale e pittoresco".
Il meccanismo che governa il premio è semplice: ogni tre anni è nominato un comitato di "osservatori" internazionale (Steering Committee) - nel 2001 ne hanno fatto parte, tra gli altri, Kenneth Frampton, Zaha Hadid e Frank Gehry - che seleziona e segnala i progetti (nel senso più vasto del termine che comprende anche restauro, riuso, urbanistica, edilizia pubblica e privata), realizzati tra il 1988 e il 2000 e utilizzati, almeno in parte, da una comunità islamica. Alla giuria (Master Jury), formata da nove personalità - nel corso degli anni si sono alternati, Giancarlo De Carlo, Kenzo Tange, James Stirling, Charles Moore, Hans Hollein, Fumihiko Maki, Peter Eisenman, Charles Jencks, Alvaro Siza e Arata Isozaki - spetta invece il compito di valutare e scegliere i progetti vincitori.
Una curiosità: testimone della prima "tornata" del premio nel 1980, unica rivista europea, era Domus che al più "umile" tra i premiati, il muratore egiziano Aladdin Moustafa, dedicò la copertina e l'editoriale di dicembre. L’allora direttore Alessandro Mendini gli si rivolge in una "lettera aperta": "Tu sei solo un muratore egiziano, ma in questo caso possiedi la maestria del lavoro manuale e ricordi la giusta lentezza del tempo... Tu sei un virtuoso maestro di cupole, archi, volte, colonne, minareti, ricami e griglie di pietra, e lo stesso Hassan Fathy (il più grande architetto di quell'architettura islamica moderna che quasi non esiste) ha lavorato insieme a te" (Domus 612/1980).
http://www.akdn.org/agency/aktc_akaa.html