La rassegna continua con partiture, sculture, installazioni e readymade di ogni genere.
Gli strumenti presentati sono oltre centottanta. Alcuni evocano suoni o rumori attraverso la forma; la maggior parte ne produce davvero. Alcuni ne emettono di continuo, e noi ci troviamo a captarli man mano che ci muoviamo. Altri si scatenano d’improvviso, a ritmi alterni, sorprendendoci, e poi tornano ad acquietarsi in attesa che il loro turno si ripresenti. Alcuni richiedono il nostro intervento. Molti vivono di vita propria. Nel percorso incontriamo il piano optofonico; se facciamo ricorso alla guida scopriamo che, pur somigliando a un pianoforte, il piano optofonico è uno strumento meccanico costituito da dischi dipinti, prismi, lenti, specchi e una sorgente luminosa. E che ne fu autore Vladimir Baranov-Rossiné, musicista, pittore e scultore russo, membro dell’avanguardia e sodale degli artisti più avanzati dell’epoca. Baranov-Rossiné aveva cominciato a lavorarci nel 1912 con l’idea di realizzare dei concerti luminosi. Cosa che, dopo una serie di avanguardistiche sperimentazioni, aveva fatto nel 1916 in Svezia e poi, nel 1924, in forma più compiuta, al teatro Meyerhold di Mosca.
A tratti, l’eterogeneo insieme genera una cacofonia disorientante. In mezzo a questo proliferare di suoni, a tanti rumori che sgorgano, esplodono, scorrono e ci attirano in una direzione o nell’altra è facile che avvertiamo il bisogno di un angolo tutto per noi.
Per ben due volte a venirci in soccorso è Laurie Anderson, maestra nello sfruttare il potenziale, che la voce ha, di trasformarsi in intima situazione, di trasportarci, di assorbirci, di isolarci. Il suo lavoro ci offre momenti di pausa, di solitudine, di concentrazione; la Handphone Table, per esempio: ci sediamo a un capo di un tavolo, poggiamo i gomiti sul ripiano e le mani sulla testa, ed ecco una canzone giungerci attraverso le ossa del corpo e portarci “altrove”. Con Numbers Runners, invece, una cabina telefonica modificata, grazie alle parole che ci giungono attraverso la cornetta, si trasforma in un vero e proprio microcosmo. In entrambi i casi solo dopo, quando ci stacchiamo dallo strumento, ci rendiamo conto di aver posato per un’involontaria performance. Nel complesso, sembra però che l’arte e la poesia stentino a fluire.
Fino al 3 novembre 2014
Art or Sound
Fondazione Prada
Cà Corner della Regina
Venezia