Il problema che si pone è dato dal brevissimo ciclo di vita di quest'opera architettonica, costruita nel 2004 e demolita nel 2011, per realizzare una nuova galleria d'arte nelle vicinanze, simile alla prima e sempre progettata da Mendes da Rocha e dal gruppo Metro. È un caso che combina la rapidità del decadimento architettonico alla contrapposizione fra riproducibilità e unicità dell'opera architettonica moderna. Una volta assolte le proprie funzioni, gli edifici tendono al degrado o a scomparire, se non trovano una nuova destinazione o se non vengono conservati adeguatamente. In architettura i monumenti si conservano, una nozione che è cambiata molto nel corso del Novecento per comprendere anche complessi urbani e costruzioni che fossero "testimonianza di una civiltà particolare, di un'evoluzione significativa o di un avvenimento storico" [2]. L'utilità che è venuta meno in questo caso, generandone la distruzione, non è stata quella dell'edificio in sé, bensì dell'uso del terreno sul quale sorgeva. La possibilità di maggiori indici di fabbricabilità in quell'area venne stabilita dopo la sua edificazione, cambiandone il valore immobiliare e diventando oggetto d'interesse da parte di una grande impresa. Il ritmo di cambiamento urbano a San Paolo è vertiginoso. All'inizio del secolo la città contava 239.000 abitanti, oggi ne conta 11,2 milioni. Nonostante ogni sforzo di controllo pubblico, questa velocità è una caratteristica strutturale della società brasiliana contemporanea. La costruzione della nuova sede della galleria nelle vicinanze, su progetto degli stessi autori, è stato un modo per mantenere le principali qualità di quest'opera, la specifica destinazione e l'espressione poetica della sua architettura: l'opacità del volume del cemento faccia a vista e l'illuminazione zenitale dell'interno. La nuova collocazione e le dimensioni del terreno le conferiscono un maggior distacco nel paesaggio urbano, diventandone completamento. Aver riprodotto le qualità architettoniche della galleria originaria può aver impedito che nascesse un movimento in difesa della sua conservazione. Sarebbero comunque andati perduti alcuni aspetti originali e irripetibili in quest'operazione? Sono mancati gli organi preposti alla salvaguardia del patrimonio storico? Tutta la vicenda non fa che confermare quanto siano diventati mobili i concetti di originalità, riproduzione e conservazione nella società contemporanea. La produzione delle avanguardie moderne si basò sul riconoscimento dei profondi cambiamenti nello statuto dell'arte, generati dalle nuove condizioni della sua riproducibilità tecnica. Le nozioni di tipo e di produzione in serie—che fossero nella formulazione della Nuova Oggettività o nel concetto purista di Le Corbusier—sembrano aver abbattuto definitivamente l'aura di unicità dell'oggetto artistico in architettura. Lo sviluppo della cultura della fine del secolo XX rivelò che questo movimento non era tanto lineare e, spesso, cercava di conferire artificialmente alcuni valori di unicità ai prodotti delle tecniche industriali. Alcune opere di Mendes da Rocha, come la Pinacoteca do Estado o la Praça do Patriarca, si fondano sul rapporto con il preesistente, essendo inconcepibile la loro riproduzione altrove. Cosa che non si è verificata con la galleria che, data la sua situazione urbana e la sua breve esistenza, non possedeva un carattere eccezionale che ne giustificasse la conservazione. Una demolizione e una nuova costruzione che non hanno destato reazioni in Brasile, pur trattandosi dell'opera di un architetto che è stato insignito addirittura del premio Pritzker. La vicenda è così la "testimonianza di una civiltà colta in un preciso istante" che si trasforma velocemente, in modo distaccato, forzando i limiti degli attuali principi che presiedono alla conservazione. Renato Anelli
Note:
1. Paulo Mendes da Rocha intervistato da Guilherme Wisnik nell'articolo Il costruttore di enigmi, Folha de São Paulo, 9 dicembre 2007
2. Carta di Venezia, 1964; II Congresso internazionale degli Architetti e Tecnici dei Monumenti