Il futuro, a livello globale, è la città. Oggi le città contano più abitanti delle aree rurali, ed entro il 2050 si stima che il 75 per cento dell’umanità vivrà nei centri urbani. Le città consumano il 64% dell’energia primaria globale e sono responsabili del 70 per cento delle emissioni di carbonio del mondo, ma sono anche dei generatori di ricchezza. Nel 2017, per esempio, il PIL di New York era equivalente a quello del Canada.
Le città sono focolai di creatività e innovazione, come illustra il fatto che circa il 60 per cento dei brevetti registrati negli Stati Uniti e nel Regno Unito nel 2016 provenivano da realtà urbane. Credo che le città siano una manifestazione intrinsecamente positiva della società umana. Tuttavia, per iniziare a immaginare la città del futuro, dobbiamo prima guardare al passato.
La storia ci aiuta a capire che l’unica costante è il cambiamento. Da tempo immemorabile le città hanno attraversato momenti di crisi e continueranno a farlo in futuro, il che non è così grave come sembra. Storicamente, la risposta a una crisi è sempre stata fornita da soluzioni tecnologiche innovative, che producono effetti sociali positivi. Per esempio, il grande terremoto di Lisbona del 1755 portò all’introduzione di un sistema di costruzione antisismica rappresentato da telai prefabbricati di legno con elementi di rinforzo diagonali, noti come gabbie pombaline, utilizzati per sostenere le nobili facciate degli edifici della città.
Se consideriamo la Londra ottocentesca, nel breve arco di 34 anni ci furono decine di migliaia di morti per colera a causa dell’acqua, perché il Tamigi era una fogna a cielo aperto. La tecnologia è venuta in soccorso con il sistema fognario sotterraneo di Bazalgette, che serve ancora oggi la città. Nello stesso secolo, il Great Fire di Chicago ha portato alla costruzione di grattacieli e all’adozione di tecnologie antincendio. New York e Londra, le due città più popolose del pianeta, sprofondavano nel letame di cavallo, un problema considerato totalmente irrisolvibile. Tuttavia, l’automobile, che oggi fa la parte del cattivo, è venuta in soccorso. Nel giro di un decennio le strade erano di nuovo pulite.
La crisi climatica che affrontiamo oggi è una delle maggiori sfide del nostro tempo e la nostra risposta è destinata a definire l’intera epoca. Ciò che accade in qualsiasi luogo nel mondo ha implicazioni globali. La Cina, la seconda economia planetaria, nei prossimi 30 anni sarà urbanizzata a un ritmo equivalente all’aggiunta di una città delle dimensioni di Londra ogni anno.
Gli effetti del cambiamento climatico possono sembrare remoti se lo identifichiamo con un solitario orso polare che perde il suo habitat su una calotta di ghiaccio in via di scioglimento, ma se lo inseriamo nel contesto urbano globale vediamo che 14 delle 17 città più grandi del mondo si affacciano sul mare e il 40 per cento della popolazione mondiale vive in una fascia di 100 km dalla costa. Prevediamo allora uno sviluppo globale in cui una città come Londra possa finire sott’acqua? Forse la risposta sta nel trovare soluzioni in cui l’urbanizzazione e la sostenibilità si rafforzano reciprocamente.
Dieci anni fa, abbiamo iniziato un esperimento in un luogo decisamente ostile, il deserto degli Emirati Arabi Uniti, dove abbiamo allestito un campo di pannelli solari. Il 40 per cento della sua produzione energetica ha alimentato un istituto di ricerca per le energie rinnovabili con diverse centinaia di persone che lavorano 24 ore su 24, 7 giorni su 7, mentre il restante 60 per cento dell’energia viene immesso nella rete elettrica. Abbiamo sperimentato anche il trasporto sotterraneo, utilizzando le prime auto robotizzate con ricarica a induzione, ricerche che hanno anticipato l’avvento dell’auto a guida autonoma, attualmente in fase di sperimentazione in molte parti del mondo. Sappiamo che alcuni Paesi stanno già rivedendo l’infrastruttura stradale esistente e mettendo in discussione il ruolo futuro dell’auto. Per esempio, negli anni Novanta Boston ha demolito una serie di superstrade sopraelevate non più indispensabili, interrandole in una rete di tunnel, il Central Artery/Tunnel Project, detto Big Dig. Le conseguenze di questa decisione sono state un aumento del valore dei terreni e una diminuzione dei tassi di criminalità. A Seul, un fiume che era stato coperto di cemento alla fine del secolo scorso è stato riportato in vita sotto forma di parco pubblico.
La stessa storia si ripete in Europa: a Madrid, le strade vengono ora ripensate come spazi per le persone, il che indica una crescente tendenza alla pedonalizzazione.
Un argomento che mi affascina – e che viene studiato dalla Norman Foster Foundation di Madrid in collaborazione con il MIT – è capire come il fare di più con meno in termini di energia e di processi costruttivi possa portare a un effetto positivo. Guardando il quadro globale, i Paesi che consumano più di quanto il pianeta possa sostenere devono ridurre il loro consumo.
Come avverrà? Per dirla in modo semplice dobbiamo fare di più con meno, consumare meno e passare da una società in cui immettiamo continuamente prodotti nuovi e produciamo incessantemente rifiuti a un’economia più ciclica. Prendiamo a esempio un edificio che abbiamo realizzato qualche tempo fa: il Gherkin (‘Cetriolo’), che sorge nella City di Londra.
Se penso al suo futuro, immagino che potrebbe non essere più utilizzato come edifico per uffici, perché l’idea stessa di ufficio sta diventando obsoleta. Forse diventerà una fattoria verticale che produrrà veri cetrioli, con un contadino che li trasporterà con un drone!
La crisi climatica che affrontiamo oggi è una delle maggiori sfide del nostro tempo e la nostra risposta è destinata a definire l’intera epoca. Ciò che accade in qualsiasi luogo nel mondo ha implicazioni globali
In futuro, se l’auto non sarà più quella che conosciamo, cosa succederà alla rete autostradale? Come sarà la campagna? Le visioni di ieri sono più vicine di quanto pensiamo. Le tecnologie intelligenti collegheranno intere città cambiando il modo in cui viviamo e lavoriamo. La distanza fisica cesserà di essere un problema. Le case e le imprese autonome dal punto di vista energetico genereranno, immagazzineranno e distribuiranno energia gratuita per tutti.
Le infrastrutture fisiche diventeranno obsolete, creando più spazio pubblico. Possiamo immaginare più fattorie verticali all’interno della città, che si traducono in una minore necessità di trasporto a lungo raggio. I veicoli autonomi potrebbero reinventare il trasporto pubblico e la logistica.
Parcheggi, stazioni di servizio e autorimesse scompariranno e lasceranno spazio all’uso efficiente delle attuali strade e autostrade, che potrebbero diventare moderne cinture verdi. Finalmente città policentriche verdi e autosufficienti potrebbero diventare realtà. Si tratta di fare volvere e adattare le nostre città, progettando nuove pratiche che funzionino in armonia con la natura.
Ho notato spesso che la fantascienza della mia gioventù è la realtà di oggi. Perciò la fantascienza di oggi sarà la realtà per la prossima generazione. Giusto per metterlo in un contesto personale, vorrei tornare a quando avevo 16 anni e avevo appena iniziato a lavorare. Per fare una telefonata, dovevo trovare una cabina telefonica, inserire una moneta in una fessura e cercare il numero in un elenco. Se volevo effettuare una chiamata all’estero, avrei dovuto chiamare l’operatore e mettere più monete nella fessura. Per trovare un libro, dovevo andare alla biblioteca di quartiere. Se volevo vedere un film nuovo, dovevo andare al cinema. Se volevo avere le ultime notizie, dovevo aspettare il telegiornale o comprare un quotidiano. Se volevo ascoltare una canzone, dovevo comprare un LP. Per scattare delle foto dovevo comprare una pellicola, poi portarla a sviluppare in un negozio specializzato. Per scrivere, avevo bisogno di una macchina per scrivere.
Se all’epoca qualcuno mi avesse detto che in futuro sarei stato in grado di chiamare chiunque nel mondo mentre mi spostavo, che avrei potuto accedere facilmente a qualsiasi libro, canzone, film o serie televisiva, che avrei potuto scattare una foto e averla immediatamente di fronte a me, che avrei potuto premere un pulsante e controllare l’illuminazione e il riscaldamento nella mia casa a migliaia di chilometri di distanza... e se mi avessero detto che avrei potuto fare tutto questo con un dispositivo che potevo tenere nel palmo della mano, cosa avrei risposto? Avrei risposto: “Tu devi essere matto”. Le città pionieristiche del futuro sono destinate a stupire tutti noi, allo stesso modo.
Norman Foster è architetto. Nel 1967 ha fondato lo studio internazionale di architettura, urbanistica e design Foster Associates, oggi Foster + Partners, di cui è presidente esecutivo. Presidente della Norman Foster Foundation, ha vinto il premio Pritzker nel 1999.