Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1040, novembre 2019
Abbiamo chiesto a una serie di autori che riteniamo importanti di scegliere un’immagine per illustrare le loro riflessioni sul futuro dell’umanità e della Terra e tutti hanno risposto con enorme generosità al nostro appello. In un contesto di crisi climatica, di minacce di una nuova (ennesima) recessione globale e di profondo scetticismo sul futuro, abbiamo cercato una nota di ottimismo tra le righe scritte da ciascun autore. Anche se non abbiamo la sfera di cristallo per vedere cosa diventeremo, abbiamo capito come ci sia molto da imparare dal passato: per esempio che la crisi può essere un’opportunità per renderci migliori e che l’umanità ha superato le crisi precedenti dando spazio alle idee. Tiriamo allora fuori il meglio di noi stessi e progettiamo un futuro pieno d’immaginazione. (Javier Arpa)
Di seguito, la visione del futuro di Beatriz Colomina.
Beatriz Colomina
Come ci rapportiamo con gli altri oggi, quando tante ‘nuove’ tecnologie sembrano strutturare ogni interazione? Quale ruolo gioca l’architettura? Qual è l’architettura dell’onnipresente connettività? La distinzione tra privato e pubblico è molto nebulosa: nel lavoro, nello svago, nella vita domestica e nel riposo. Viviamo in una cultura delle 24 ore al giorno, sette giorni su sette. La divisione tra riposo e lavoro propria della città ottocentesca potrebbe essere presto superata. L’architettura, come la conosciamo, potrebbe essere già diventata obsoleta. Non solo le nostre abitudini e i nostri habitat sono cambiati con Internet e social media, ma le previsioni sulla fine del lavoro umano, avanzate già alla fine del XIX secolo, non sono ormai più considerate futuristiche.
Trentacinque anni fa, l’economista Wassily Leontief ci ricordava come anche il cavallo fosse stato sostituito in passato. La redazione economica del New York Times ha recentemente riconsiderato la sua idea della fine dell’uomo-animale di fatica. Gli economisti si chiedono a quale modello porterà questa realtà: dalle crescenti disuguaglianze con un’elevata disoccupazione alla redistribuzione su larga scala del reddito di base universale.
La fine del lavoro retribuito e la sua sostituzione con il tempo libero creativo era già stata prevista nei progetti utopici degli anni Sessanta e Settanta di Constant, Superstudio e Archizoom. Poi, però, gli architetti sono diventati ciechi di fronte alle enormi trasformazioni in atto e, nel frattempo, la città ha iniziato a ridisegnare se stessa senza di noi.
Immagine di apertura: Beatriz Colomina, Bed-In, Padiglione olandese, 16. Biennale di Venezia “Freespace”. Foto Daria Scagliola