Viviamo in un mondo in costante mutamento, dove ogni concetto di stasi o permanenza è stato completamente cancellato. Le crisi che stiamo attraversando – climatiche, finanziarie, socio-economiche, politiche o di identità culturale e di valori – aumentano la nostra consapevolezza dell’instabilità. Nelle nostre vite, l’unica costante è sempre stato il cambiamento, è vero, ma oggi il suo ritmo è più accelerato. È giunto il momento di ripensare i presupposti fondamentali di città, edifici, progetti e ruoli nella società: dobbiamo smettere di considerarli statici, cioè come oggetti e spazi distinti.
Scrive Carlo Rovelli: “Tutta l’evoluzione della scienza indica che la migliore grammatica per pensare il mondo sia quella del cambiamento, non quella della permanenza. Dell’accadere, non dell’essere. Si può pensare il mondo come costituito da cose, sostanza, entità, qualcosa che esiste. Che permane. Oppure pensare che il mondo sia costituito da eventi, accadimenti, processi. Qualcosa che succede, che non dura, che è un continuo trasformarsi. Che non permane nel tempo¹”. Affrontare il pensiero della mutevolezza, del potenziale di adattamento e della trasformazione del nostro contesto, è essenziale.
Oggi ciò che ci circonda è costruito sulla base di presupposti superati. Dovremmo chiederci come far fronte a questo problema nel momento in cui i temi stessi cambiano senza sosta: le città continueranno a essere ridefinite e rioccupate, e le questioni di inclusività democratica e giustizia saranno costantemente ridiscusse e aggiornate. L’idea di temporalità suggerisce che, invece di concentrarci su spazi e oggetti, dovremmo rivolgere la nostra attenzione al tempo. Ci muoviamo costantemente in questa dimensione, quindi l’idea di “dove” deve essere associata a “quando”.
È giunto il momento di ripensare i presupposti fondamentali di città, edifici, progetti e ruoli nella società: dobbiamo smettere di considerarli statici, cioè come oggetti e spazi distinti.
Alcuni metodi di misurazione del tempo sono stati identificati già 3.500 anni fa dagli Egizi. Nell’Ottocento, con la meccanizzazione, i dettami del tempo hanno permesso all’economia di funzionare. “L’orologio, non la macchina a vapore, è lo strumento chiave dell’era industriale moderna”, disse Lewis Mumford nel 1934. Henri Bergson ne ha postulati due diversi: il “tempo oggettivo”, tracciato da mezzi meccanici, e il “tempo vissuto,” che misura le esperienze umane. Come ci mostra Rahul Mehrotra in questo numero, se il tempo diventasse il fulcro della costruzione delle città potremmo dischiudere le potenzialità dell’architettura come strumento transitorio per l’urbanistica.
Scrivendo riguardo ai processi che definiscono le nostre economie e le nostre ontologie, Fredric Jameson osserva che facciamo parte di un “mondo che è ancora organizzato intorno a due temporalità distinte: quella della nuova grande città industriale e quella della campagna contadina[...] Uno dei grandi temi convenzionalmente identificati come dominante nel Modernismo letterario – vale a dire la temporalità stessa, e quel ‘tempo profondo’ che Bergson pensava di poter concettualizzare... – è molto precisamente la modalità in cui questa struttura economica transitoria del capitalismo incompleto può essere registrata e identificata come tale²”.
Il tempo definisce le nostre città, le nostre economie, i nostri ambienti e noi stessi; dovrebbe essere lo strumento di progettazione strategica che usiamo per navigare tra le onde dell’incertezza, mentre osserviamo i diversi modelli meteorologici della società e dell’ambiente. Il pensiero temporale diventa una scelta cruciale per sopravvivere in un mondo in cui le crisi aumentano e colpiscono un’ampia fetta dell’umanità. Invece di concentrarci su forme e profili, perché non spostare l’attenzione su movimenti, eventi e processi che dipendono tutti da una durata prescritta o presunta? Pensare temporalmente può, a volte, offrire soluzioni dirette a una crisi attuale o diventare una strategia di pianificazione che consente, per esempio, di cambiare gli stili di vita, come le composizioni e le definizioni alternative di famiglia, o stimolare gli interventi temporanei che rispondono a bisogni essenziali e urgenti.
In questo numero presentiamo architetti, designer e artisti che hanno affrontato direttamente, sotto il profilo della temporalità, le condizioni più precarie e le sfide più impegnative che l’umanità sta affrontando. Secondo le stime della Banca Mondiale, il numero di rifugiati a livello globale salirà a 35,3 milioni nel 2022, con un aumento di quasi 8 milioni rispetto al 2021. Questo numero è quasi triplicato in un decennio. Marina Tabassum insieme a Face, l’organizzazione no-profit da lei cofondata, sta seguendo la crisi dei rifugiati in Bangladesh di etnia rohingya, la comunità perseguitata e costretta a migrare in massa dal Myanmar e diventata una delle più grandi popolazioni apolidi al mondo.
Il tempo definisce le nostre città, le nostre economie, i nostri ambienti e noi stessi; dovrebbe essere lo strumento di progettazione strategica che usiamo per navigare tra le onde dell’incertezza, mentre osserviamo i diversi modelli meteorologici della società e dell’ambiente.
Shigeru Ban sta lavorando per dare un contributo alla crisi dei rifugiati ucraini, progettando e costruendo rifugi e sistemi divisori. Nel frattempo, sta anche sostenendo l’industria del legno all’interno dei comuni ucraini, così che il commercio possa continuare anche durante la guerra e l’industria sia pronta per la ricostruzione. Le strutture temporanee di Alejandro Saldarriaga a Bogotà, in Colombia, si ispirano al Realismo Magico, la tradizione letteraria colombiana, per offrire una continuità emotiva nel momento di massima instabilità pandemica. Per garantire una continuità simile a Città del Messico, WORKac ha progettato spazi raffinati per i programmi comunitari.
A Los Angeles, che sta conoscendo un aumento esponenziale della migrazione, Michael Maltzan invita la comunità ad abitare le nuove infrastrutture della città. L’opera di Shahzia Sikander gioca sulla temporaneità dell’installazione per mettere in luce la sistematica presenza della disuguaglianza di genere e razziale. In Ghana, DK Osseo-Asare sta studiando modelli alternativi per convertire i materiali di scarto in nuovi flussi economici e costruire una piattaforma economica e commerciale. Le sue strutture si basano sulle ricerche per la sua tesi di laurea su Buckminster Fuller e risuonano sulle geodetiche nello spazio e nel tempo. Secondo la definizione di Fuller, “Una geodetica rappresenta la linea di congiunzione più breve tra due eventi qualsiasi³”. Per Stephen Hawking: “Le linee sono geodetiche sul piano piatto, e i grandi cerchi sono geodetiche sulla superficie della Terra[...] Le geodetiche nello spazio-tempo quadridimensionale corrispondono alle linee nello spazio tridimensionale⁴”.
Le linee dello spazio e del tempo sono riprese da J. Yolande Daniels nella sua esplorazione del Black City Astrolabe e delle possibilità di fare rete per gli insediamenti della diaspora africana. Gli aspetti temporali sono esaminati anche nei saggi di Farshid Moussavi e Jenny French, che indagano le condizioni dell’edilizia sociale, della casa e del comfort. Siamo in continua evoluzione fisica e creativa. Sia i filosofi sia gli scienziati concordano sul fatto che il tempo è un continuum. Anche se può essere in stati e forme diverse, l’idea di tempo continuo fa funzionare il nostro mondo fisico. Nella nostra breve vita sulla Terra, il modo in cui iniziamo a progettare l’apertura ai cambiamenti e come apprezziamo e comprendiamo la nostra esistenza sotto il profilo temporale avrà un forte impatto sulla nostra vita e ci aiuterà a superare ogni nuova crisi. Partecipiamo tutti al divenire comune per creare un migliore futuro condiviso.
1. Carlo Rovelli, L’ordine del tempo, Adelphi, Milano 2017
2. Frederic Jameson, A Singular Modernity: Essay on the Ontology of the Present. Verso, New York 2002. pag. 142
3. Amy C. Edmondson, A Fuller Explanation: The Synergistic Geometry of R. Buckminster Fuller, EmergentWorld Press. Pueblo, Colorado 2007, pag. 259
4. Stephen Hawking e Leonard Mlodinow, The Grand Design. Bantam Books, New York 2010, pag. 102
Immagine di apertura: Marina Tabassum Architects, lavoro comunitario a Kurigram, Rangpur. Le comunità che risiedono sui char hanno imparato le tecniche di costruzione dei Khudi Bari, strutture con una ridotta impronta al suolo che possono essere imballate e spostate. Photo © Afsary Islam Toma