Avete inaugurato nel 2005 il vostro Arper Environmental Department. Cosa ha spinto l’azienda ad investire sulla sostenibilità prima che questa parola fosse un’ovvietà oltre che una moda?
L’esigenza è scaturita dal desiderio di perseguire un senso di utilità che andasse oltre l’utilità manifesta dei prodotti e dei segni gradevoli che rendono piacevole l'ambiente in cui si abita. Spontaneamente, volevamo relazionarci anche con l’ambiente circostante e nel contesto sociale e produttivo attraverso le piccole azioni di ognuno che possono migliorare la situazione. Il concetto di sostenibilità sintetizza questa spinta ed è il risultato di un processo: perché non ci si può limitare a dire “faccio un prodotto riciclabile e quindi sono sostenibile”. Anche il confronto con il mercato estero ci ha aiutato: l’esportazione in Arper ha sempre oscillato intorno 90-93%, e questo ci ha portato ad entrare in contatto con mercati evoluti, più attenti al tema della sostenibilità di quanto non lo fossimo in Italia nei primi anni 2000, quando il concetto era poco chiaro. Per questo abbiamo creato l’Arper Environmental Department, dotandolo di un team interno che, focalizzandosi su queste tematiche, lavorasse in tandem con il dipartimento di sviluppo prodotto.
Crede che il concetto di sostenibilità abbia ancora contorni poco chiari?
Operiamo in un mercato in cui la sostenibilità viene spesso citata a sproposito: a volte chi te la richiede non si è neanche preoccupato di capire se ciò di cui sta parlando ha un senso o è fuori tema. L’azienda sostenibile è un sistema complesso ed è la sua complessità che deve risultare sostenibile, altrimenti diventa un esercizio di maniera o opportunistico fine a se stesso. Credo comunque che il 2019 sia stato un anno spartiacque: il movimento riassunto nel nome di Greta Thumberg ha rispecchiato il sentiment dei giovani, giustamente preoccupati l’inquinamento e le problematiche demografiche. Fare i conti con le risorse naturali è doveroso e obbligatorio, e il piano dell'Europa per il Recovery Fund fa ben sperare, mostrando come la sostenibilità è un dovere ma anche una grande opportunità.
Arper ha recentemente concluso la mappatura della prestazione ambientale di alcuni dei suoi prodotti in catalogo. Come è stata compiuta?
Non posso far capire che una sedia consuma meno energia della precedente se non ho un metro di misura. Per questo abbiamo fatto ricorso a quattro etichettature, quattro parametri che potessero riassumere questa complessità e che fossero al contempo facili da comprendere anche dai consumatori finali: il consumo di CO2, il consumo di acqua, l’impiego di materiali riciclati, in che misura questi materiali siano riciclabili. In futuro, l'ideale sarebbe riuscire ad arrivare ad una certificazione che riassuma in maniera sintetica la misura della sostenibilità, come avviene per gli elettrodomestici o le case. In questo modo, si potrebbe lasciare al consumatore la possibilità di non scegliere solo in base al fattore estetico o al il prezzo, ma anche in base al consumo di energia.
Tra le novità nel catalogo di quest’anno c’è la poltrona Aston Club, firmata da Jean-Marie Massaud. Un fiore all’occhiello visto che ogni suo componente è riciclabile. Qual è il lavoro dietro le quinte per arrivare a questo risultato?
Rendere riciclabile un prodotto significa pensare come sostituirne le componenti e come impostarne la re-industrializzazione. D’altro canto, le caratteristiche dei materiali sono in continua evoluzione. All’inizio del 2000 le plastiche riciclate erano pochissime, mentre oggi è diventato un po’ più semplice, anche se il fattore estetico e la resistenza meccanica rimangono due talloni di Achille. Per quanto riguarda l’estetica, che nell’arredo è un fattore primario, è necessario riconsiderare il presupposto di perfezione in un prodotto: come per il nodo del legno, bisogna accettare le caratteristiche intrinseche del prodotto e non vederle come difetti. Se voglio una seduta sostenibile in plastica riciclata devo accettare l’idea che possa essere “sale e pepe”, che presenti impurità. Una plastica riciclata perfetta implicherebbe un tale processo di trattamento che finirebbe per essere una contraddizione.
Per l’altra novità, la seduta Adell firmata Lievore + Altherr Désile Park, avete progettato una scocca in polipropilene riciclato all’80% la cui texture rievoca gli anelli degli alberi e le striature delle conchiglie con 500 linee progettate a mano. Da dove viene l’idea del richiamo alla natura per un materiale che oggi viviamo come la sua antitesi?
Abbiamo cercato di fare un collegamento: abbiamo fatto un prodotto riciclato e abbiamo usato un’estetica che rendesse meno sintetica la superficie del prodotto, che richiamasse da vicino i materiali naturali, pur sbizzarrendoci su delle forme che senza la plastica sarebbero state difficilmente riproducibili. Questo sintetizza la filosofia della nostra azienda e i nostri principi: fare un percorso educativo pur restando all’interno di un discorso commerciale. Il rischio di un percorso utopico è che sia un discorso che siamo i soli a capire. Il nostro, invece, vuole essere un messaggio comprensibile e condivisibile.
In apertura, la sedia Adell, foto Salva Lopez
Infine, una domanda sull’attualità: congratulazioni per la nomina a Presidente di Federlegno. Qual è il ripensamento strategico e le priorità che vede per la Federazione in una fase così delicata e particolare di rilancio dell’economia?
Il periodo non è chiaramente dei migliori, siamo al comando della nave nel mezzo della burrasca: certo è più facile arrivare quando tutto va bene, ma ci sono delle congiunture che non si possono scegliere. Nel mio programma i punti importanti sono cinque e il primo riprende quello di cui abbiamo parlato fino a questo momento: la sostenibilità. È una grande occasione per il nostro sistema, che deve prendere coscienza che i finanziamenti stanziati non sono un sostegno sterile al comparto, ma un impulso ad una riconversione sostenibile che la Federazione deve incoraggiare, stimolando le aziende a cogliere l’opportunità e facilitando l’accesso alle risorse. Questo va di pari passo con il secondo punto, il network della filiera e il capitale umano: la Federazione deve sostenere le nostre imprese, in particolare le più piccole, a restare più forti sul mercato globalizzato anche attraverso dei poli formativi che sono già sul territorio e che hanno bisogno di un coordinamento.
E gli altri punti?
La cultura d’impresa è il terzo punto. Con Assarredo ho fatto cercato di instaurare un nuovo modo di lavorare anche attraverso l’AssarredoLAB, un format che ci ha permesso di incontrare più di 600 imprenditori con cui abbiamo condiviso le tematiche di lavoro individuate dal Consiglio e da cui abbiamo raccolto riscontri ed esigenze. Per far evolvere la cultura d’impresa ci vogliono poi compagni di viaggio: guardo a quello che stiamo già facendo con il mondo accademico e il PoliDesign, ma penso anche la Triennale, la punta di diamante della nostra cultura. Un altro punto strategico è il rapporto con Confindustria, partner strategico con la quale dobbiamo rafforzare collaborazione e coordinamento, anche con l’obiettivo di non duplicare i servizi. L’ultimo punto, infine, riguarda la digitalizzazione e gli eventi. Il Salone del Mobile di Milano è la vetrina del nostro comparto, negli anni siamo riusciti a farne il principale punto di riferimento nel mondo dell’arredo e del legno. Questo asset deve essere ulteriormente valorizzato, rafforzando quella parte del Salone che non è stata sviluppata abbastanza, quella digitale. Per questo stiamo lavorando per far sì che attraverso un portale potenziato il Salone si conquisti non solo una leadership fisica, ma anche una virtuale.
Le è mancato il Salone quest’anno?
Mi è mancato e ci è mancato tantissimo, credo sia a noi diretti interessati, sia a Milano e l’Italia tutta perché l’energia che si genera con il Salone non ha pari. E siamo già desiderosi di varcare la soglia del Salone del prossimo anno, augurandosi che si trasformi in un bel segnale di ripresa per il dopo Covid.