Quando i media parlano di dati, e del loro potere nella nostra vita, il quadro non è per nulla chiaro. Come se la nostra vita oggi fosse qualcosa di diverso dai dati, che potremmo decidere di includere o escludere. Le cose non stanno così e chi pensa che il digitale sia un device, una dimensione o una possibilità del tempo presente è completamente fuori strada. Perché i dati sono ormai un elemento costitutivo e pervasivo delle nostre esistenze, esperienze, identità, che vanno al di là della misurazione del traffico, dei servizi medici per gli anziani, dei tools educativi dei servizi scolastici, della finanza globale e personale. La lista è infinita e per questo filosofi come Cosimo Accoto parlano di “nuova terra-formazione”, di “gemelli digitali” del nostro pianeta. In realtà, tutto andrebbe bene se non fosse che parlare di dati significa parlare di algoritmi. E qui viene il bello perché questa parola resta per la maggior parte di noi ancora un mistero che rischia di cambiare tutta la nostra vita per sempre. Anzi, l’ha già cambiata. In realtà, la parola non è nuova, visto che appare nel IX secolo come trascrizione latina del nome del matematico persiano Al-Khwarizmi.
Dati di fatto
L'editoriale del numero 14 di DomusAir esplora il ruolo degli algoritmi e dei dati nella società odierna, analizzando i loro impatti su vita quotidiana, economia e dinamiche sociali.
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- Walter Mariotti
- 29 giugno 2024
Dodici secoli dopo, l’algoritmo resta circondato da un’aura enigmatica e pericolosa, rilanciata dai calcoli informatici che governano le nostre vite ormai digitali. Per capirlo bene basta leggere un piccolo libro che sta avendo molto successo, La dittatura degli algoritmi, scritto da Paolo Landi, intellettuale e critico letterario prestato alla comunicazione, che per anni ha diretto la comunicazione di Benetton lavorando anche a stretto contatto con Oliviero Toscani. Landi non solo spiega bene cosa siano gli algoritmi e perché riguardano la definizione della nostra vita oggi, ma soprattutto perché hanno a che fare con le dinamiche non solo individuali ma anche economiche e sociali, spingendosi addirittura a ridisegnare la lotta di classe.
Nei social network infatti le divisioni, gli antagonismi, le ostilità resistono e rimangono quelle che erano in epoca predigitale ma vengono aggiornati sul piano psico-sociologico. Impegnati a riunire in unità statistiche e sottoinsiemi le masse solitarie del web, gli algoritmi sono i moderni padroni del mondo e delle coscienze, le orientano, le manovrano e queste – che sono dipendenti dai social fino a utilizzarli sul 91% della crosta terrestre – offrono una nuova versione del capitalismo. Per fortuna nelle città le cose non stanno (ancora) così. Nello scenario urbano i dati sono un mezzo per costruire e trasmettere idee, semplicemente come una raccolta di parole crea una storia, o un artista che usa la vernice fornisce un’immagine del mondo. L’analisi dei dati ha fatto un enorme bene al mondo, dall’alleviare e curare le malattie al combattere lo sfruttamento e le violazioni dei diritti umani. Il pericolo però sussiste anche in città, perché come spiega Landi l’analisi dei dati temporali e gli algoritmi troppo spesso escludono donne, poveri e gruppi etnici. Come uscirne, se è ancora possibile? Come conciliare il potenziale intrinseco con il rischio che portano con sé di emarginare persone e gruppi? Come salvare le buone pratiche dell’uso dei dati da quelle disumane? È il dilemma dell’Intelligenza artificiale, un’espressione dove il sostantivo chiarisce l’aggettivo. Tutto è in mano alle persone, agli individui, alle società perché il modo in cui si usano i dati racconta la visione del mondo di chi li usa, i valori, gli scopi. Oggi come ieri noi cambiamo il mondo a seconda di come usiamo le informazioni in nostro possesso. Per questo occorre stare in guardia, ma anche essere ottimisti, perché come diceva Socrate – uno che di dati si intendeva – c’è il bene e il male ma il bene è sempre superiore al male.