Nessuno ha indagato la natura del nostro tempo più di Mauro Ceruti e Edgar Morin, due filosofi giunti al cuore del presente, alla sua angosciante sensazione di vuoto di riferimenti, strumenti, orizzonti. Oggi è esperienza condivisa lo straniamento dinanzi a un baratro, un abisso di forze ignote che prima di tutto spaventa, perché dietro ogni dettaglio del mondo si apre l’universo non conosciuto. E l’altra faccia della semplicità appare come l’oscurità del suo potere infinito. Di fronte a questa complessità Morin e Ceruti vedono scaturire la “comunità di destino”. Un senso profondamente umano che lega tutti gli individui di tutti i popoli della terra. Una sensazione che conoscono bene architetti, ingegneri, designer e tutti i “tecnici” chiamati a operare concretamente nel mondo, offrendo a persone e comunità soluzioni per l’evoluzione della vita associata. In effetti la città è uno straordinario laboratorio di complessità, perché è un insieme di reti praticamente infinite, integrate ma anche sempre più autonome.
Progettare comunità di destino
“Un mondo sempre più complesso non riduce ma dilata l’orizzonte della nostra responsabilità, imponendo la necessità di prendere sempre più decisioni ma sempre più consapevoli che non potremmo mai sapere, fino in fondo, dove ci condurranno.”
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- Walter Mariotti
- 04 settembre 2023
Giulio De Carli, il direttore scientifico di DomusAir, chiude il numero con una riflessione su questo aspetto, lasciandone a me una diversa. Oggi è davvero impossibile immaginare i modelli di cambiamento senza ricorrere alla teoria degli equilibri punteggiati, alla visione discontinuista della storia naturale, alle dinamiche ecologiche e ambientali. Oggi senza comparare storia, geografia, antropologia, architettura, ingegneria, meccanica dei solidi, cibernetica e scienze evolutive non si comprende né il ruolo della diversità culturale della specie umana, né il senso della globalizzazione e quindi dove ci condurrà. Uno scenario inedito intuito fra i primi da Italo Calvino, che nei suoi Six memos for the next millennium, che avrebbe dovuto leggere ad Harvard nell’autunno del 1985, ne dedicò uno alla “molteplicità”. Per Calvino molteplicità era il romanzo che “doveva sempre rappresentare il mondo come un garbuglio, senza attenuarne affatto l’inestricabile complessità, o per meglio dire la presenza simultanea degli elementi più eterogenei che concorrono a determinarlo”. Ecco, per Calvino, Ceruti e Morin complesso significa che tante cose sono unite in maniera inestricabile. Quindi tutto è causa ed effetto, come dimostrano la pandemia, l’emergenza climatica e le guerre asimmetriche e inaspettate nel cuore dell’Europa.
Oggi la vita di tutti noi è fatta di tante crisi che influiscono le une sulle altre e che non possono essere separate. La nostra salute e la politica internazionale, i nostri affetti e l’instabilità climatica, le scelte che non prendiamo e la fisica delle alte energie. Si parla molto di economia circolare, ma tutto è circolare perché è crollato il paradigma di causalità trasformando la causa in effetto e l’effetto in causa secondo criteri né prevedibili né oggettivi. Il successo di TikTok, dove giovani spesso semianalfabeti guadagnano cifre colossali ne è la prova. TikTok non è un’anomalia del sistema, è il sistema stesso. A DomusAir sappiamo di essere eredi di una tradizione che ci ha abituato a vedere la complessità come una nebbia da dissipare. Proprio per questo, cerchiamo di non farlo. Non vogliamo ridurre tutto alla semplicità, ma proviamo a distinguere tra complesso e complicato. Il computer con cui scrivo è complicato, perché in linea di principio è riconducibile alla somma delle sue singole parti. Ma la cellula di un essere vivente, un asilo infantile e anche una città sono complessi, perché non si possono spiegare analizzando le loro singole parti. E qui viene il bello. Al contrario di quanto si potrebbe pensare, un mondo sempre più complesso non riduce ma dilata l’orizzonte della nostra responsabilità, imponendo la necessità di prendere sempre più decisioni ma sempre più consapevoli che non potremmo mai sapere, fino in fondo, dove ci condurranno. È l’aporia dei nostri giorni, che potremmo anche chiamare il nostro destino. A cui non si può sfuggire neanche volendo.