Nato a Genova nel 1937, Renzo Piano ha sempre mantenuto nel suo approccio all'architettura un forte imprinting con le proprie origini – la famiglia di costruttori, la città portuale e industriale –, unito a una propensione alla sperimentazione, alimentati anche dagli incontri giovanili con Franco Albini, Peter Rice, Richard Rogers. L'interazione con quest'ultimo che porterà al progetto-manifesto del Centre Georges Pompidou (1971-1977) getta in fondo le basi della successiva ricerca progettuale di Piano, al di là di ogni evoluzione linguistica.
I grandi affreschi radicali del periodo trovano nella très grand machine di Parigi nello stesso tempo una verifica e una smentita. Da un lato, l'intervento ribalta infatti i canoni consolidati dell'architettura: eliminando il concetto di facciata e la divisione tra gli spazi interni, si costituisce come il tassello di un’ideale piattaforma infinita e omogenea, come quella teorizzata dagli Archizoom nella No-Stop-City (1970). Contemporaneamente, a partire da quel progetto, Piano stabilisce una netta differenza rispetto alle avanguardie radicali, privilegiando soluzioni solide e praticabili rispetto agli slanci immaginifici ma delicati dell'utopia.
In sottile equilibrio tra visione e pragmatismo, l'architetto genovese riesce così a muoversi come una impressionante macchina nel palinsesto globale dell'architettura, maneggiando per mezzo secolo con una disinvoltura quasi disarmante la grande scala del progetto, sia che si rivolga verso l'orizzonte (aeroporto Kensai di Osaka, 1988-1994), sia che punti verso il cielo (The Shard, London Bridge Tower, 2000-2012). Un ideale viaggio attraverso gli assi del mondo che oggi, in uno dei progetti recenti più significativi, torna sintomaticamente a Parigi.
Apparentemente molto diverso dal suo più celebre concittadino del Beaubourg, il Palazzo di Giustizia (2010-2017) non ne richiama certamente le tecnologie costruttive, né tantomeno i codici espressivi. Ma la sua articolazione potente, che richiama l'isolato di una città sradicato dal suolo e montato in verticale, forse non è che l'ennesima prova di quell'utopia razionale che da sempre guida i naviganti.