Nato a Dhaka, in Bangladesh, nel 1970 e laureatosi in architettura alla Bangladesh University of Engineering and Technology (BUET), Kashef Mahboob Chowdhury sperimenta nel suo lavoro le potenzialità espressive e tecnologiche della modernità in un tempo e un contesto territoriale che le attribuiscono nuovi significati. La sua attività si sviluppa con lo studio Urbana, fondato nel 1995 nella sua città natale, con il quale mette in atto un approccio all’architettura fortemente legato alla ricerca sui materiali, al rapporto con il clima e all’apporto di contenuti artistici – ai quali non è estranea la sua parallela pratica di fotografo.
La piena presenza di elementi locali nella figurazione dell’architettura di Urbana le attribuisce sfumature di senso significativamente differenti da quelle percepibili in linguaggi altrimenti affini, già sperimentati da architetti della precedente generazione moderna. Così, per esempio, la moschea per la Gulshan Society a Dhaka (2017) può richiamare le trame vibranti e trasognate già immaginate, per esempio, in Italia da Franco Purini o Antonio Monestiroli, con la sostanziale differenza, però, che i contenuti simbolici e formali risultano in questo caso corrispondenti a radicate sensibilità culturali e sociali, più che alla ricerca di linguaggi radicali.
Un principio ben presente anche in una struttura come il rifugio a Kuakata (2018), progettato in origine dopo che il ciclone Sidr aveva colpito il Bangladesh: un monumento architettonico tra i campi coltivati simile a un primitivo Guggenheim newyorkese. È una sorta di rifugio climatico – quasi l’estrusione di quelli disseminati in Europa durante la Seconda Guerra Mondiale – che funziona principalmente da scuola e ambulatorio ma nel quale mille persone e i loro greggi possono trovare rifugio non da colpi di cannone ma da venti ciclonici e alte maree: mobili e attrezzature si possono facilmente spostare in una zona deposito.
Un approccio progettuale al quale si possono ascrivere anche altri lavori significativi di Urbana, come l’ospedale di Satkhira (2018), che sorge in un’area a prevalenza rurale che era stata colpita da un ciclone qualche anno fa. Tutti progetti che, ancora una volta, ci ricordano come l’etica sostenibile possa essere perseguita in chiave estetica, prima ancora che in termini tecnici.