Guido Scarabottolo, Prontuario iconografico per il designer contemporaneo, La Grande Illusion, Pavia 2016, 85 x 155 mm, 96 pagine.
Prontuario iconografico
Aggirando l’ostacolo di una recensione impossibile, abbiamo chiesto a Guido Scarabottolo di raccontarci il suo provocatorio prontuario per il designer contemporaneo: 96 pagine tutte uguali, nate seguendo il filo di un ragionamento visivo
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- Francesca Esposito
- 07 ottobre 2016
Prontuario iconografico per il designer contemporaneo è un piccolo libro: 8,5 x 15 cm, con una tiratura di 600 esemplari, pubblicato dalla casa editrice pavese La grande Illusion. Il testo in questione, una riflessione sullo stato della grafica contemporanea, è costituito da 96 pagine provocatoriamente tutte uguali che riportano al centro un rettangolo nero con angoli smussati e, a mo’ di didascalia, il nome dell’oggetto rappresentato in diverse lingue: italiano, inglese francese, tedesco, spagnolo, greco, russo, cinese, giapponese, arabo, ebraico, bengalese, hindi, turco, svedese e swahili. Meglio ammetterlo: farne una recensione è impossibile.
L’unica alternativa possibile resta, quindi, quella d’intervistarne l’autore, Guido Scarabottolo che, in partenza per New York, replica sarcastico: “Così non vale, in questo modo scarichi il problema su di me”. Milanese, classe 1947, l’autore di questo ironico “manualetto” è un illustratore e grafico che ha lavorato, e lavora ancora oggi, per molti editori italiani, per la RAI, per agenzie di pubblicità e per le maggiori aziende nazionali e internazionali. Le sue opere sono comparse su Il Sole 24 Ore, The New York Times, The New Yorker e, negli ultimi 12 anni, è stato art director di Guanda. Designer a tempo perso, ogni tanto realizza oggetti e mobili, molto spesso è in giro per il mondo per mostre e collaborazioni.
Francesca Esposito: Un manuale di sopravvivenza per il graphic designer. Quando è nata l’idea di questo libro? Guido Scarabottolo: Non so quando sia nata di preciso, ma dato che faccio l’illustratore e il grafico, sono anni che mi arrabatto per capire le cose. Mi rendo conto che se disegno un telefono a selettore rotante, quello che si usava ai miei tempi, i giovani non riescono a riconoscerlo come oggetto. Mi è venuta la curiosità di vedere quanti di quelli che in passato avevano una forma precisa, ben legata alla funzione, sono stati sostituiti oggi da un rettangolo nero. Mi sono trovato, quindi, a completare le pagine con un elenco di oggetti – dal telefono al libro, dal calendario al ricettario – tutti sostituiti nel tempo da una forma convenzionale fatta per essere vista in modo semplice.
Francesca Esposito: Quindi c’è un rettangolo nero in tutte le pagine, tranne una in cui compare un teschio. Guido Scarabottolo: L’ho fatta solo per vedere cosa resta fuori da questa forma, è una libertà poetica che mi sono preso. Francesca Esposito: E cosa resta fuori? Guido Scarabottolo: La morte. È una cosa che viene ancora rappresentata con un teschio, che è tra l’altro un tema che frequenta spesso le mie illustrazioni.
Francesca Esposito: A chi consiglieresti di leggere questo prontuario? Guido Scarabottolo: Si tratta di un ragionamento visivo: lavoro per immagini e ho sempre provato imbarazzo nell’utilizzare le parole. Il mio lavoro è quello di portare a una riflessione attraverso le figure: apro delle finestre, poi la gente ci veda pure quello che vuole. La mia non è altro che una libera interpretazione e un suggerimento personale.
Francesca Esposito: Da anni lavori nel mondo dell’illustrazione. Qual è la situazione della grafica oggi? Guido Scarabottolo: Il discorso si fa ampio, questo rettangolo nero sta diventando quello che una volta era la stampa, che oggi sta perdendo il proprio monopolio. Questo porta conseguenze sulla forma d’immagini e scrittura: il New Yorker fa le copertine animate per le edizioni digitali, il New York Times ha cambiato il futuro del giornalismo online con Snow Fall, un reportage di quattro ore con video, foto e grafici multimediali. L’immagine statica è stata sostituita da un’altra in movimento che usa testi, illustrazioni e recitazione per trasmettere contenuti: questo ha portato delle conseguenze per gli illustratori.
Francesca Esposito: Guardi con fiducia al futuro della grafica? Guido Scarabottolo: Non è questione di fiducia, è un dato di fatto. Ci si può opporre ed essere nostalgici o si può assecondare questo cambiamento. Ma c’è un piccolo, fondamentale, tratto che rende un’immagina statica diversa da un’immagine in movimento: nel primo caso, sei tu a gestire il tempo di fruizione; nel secondo i ruoli si ribaltano, sono loro a gestire il tuo tempo.
Francesca Esposito: Illustratore, ma di formazione architetto al Politecnico di Milano. Quanto ha influito questo percorso sulla tua professione? Guido Scarabottolo: Ha influito più di quanto possa sembrare. Nel mio modo di affrontare un disegno ci sono costanti richiami a quella cultura del progetto che ho interiorizzato nel corso dei miei studi. Non c’è posto per la casualità. Questo prontuario non è altro che una provocazione che affronta con ironia il problema della perdita d’identità iconica e di una conseguente omologazione di forme. Quell’aura religiosa che ammantava il mondo dell’immagine dagli anni del Bauhaus sta pian piano svanendo. Nel mondo della fotografia sono state le nuove tecnologie a portare a una certa democratizzazione; in quello della grafica c’è molto fermento portato dalla crisi, che ha creato una situazione stimolante per un mestiere che oggi è diventato un po’ presuntuoso. Le macchine ormai fanno tutto, compreso sostituire il lavoro, per ora manuale e fra poco anche intellettuale. Francesca Esposito: Restiamo umani? Guido Scarabottolo: Resteremo noi. E andremo da qualche altra parte.
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