Scritti di domenica

Il libro di Alessandro Mendini è un brulicare di riflessioni, lettere, messaggi, interviste, incursioni: sono alcune delle righe più interessanti prodotte dalla letteratura del design degli ultimi cento anni.

Alessandro Mendini, Scritti di Domenica (a cura di Loredana Parmesani), Postmedia Books, 2016, 600 pp., 97 ill.

 

Immagino Sandro Mendini che legge l’ennesima recensione su Codice Mendini, uscito a maggio per Electa grazie alla ricerca coraggiosa, dedita, precisa di Fulvio Irace, che trent’anni fa da Napoli approdava a Milano chiamato dallo stesso Mendini per lavorare con lui al progetto della rivista Domus. Lo vedo oscillare tra il senso di colpa di chi si sente troppo, stimato, studiato, lodato rispetto a una professione mista che, tutto sommato, ha sempre praticato per amore e vocazione, e lo sghignazzo irriverente e un po’ sadico del ladruncolo che pensa “tanto non mi prenderete mai”. E non è un caso, credo, che mentre a maggio usciva questo libro colossale, il più voluminoso mai scritto sul suo conto (368 pagine, 55 illustrazioni, 50 anni di lavoro) con una copertina che “sembra una riproduzione in piccolo dell’EUR”, insieme Postmedia Books pubblicasse i suoi Scritti di domenica, un brulicare di riflessioni, lettere, messaggi, piccoli testi, interviste, incursioni che ruotano intorno a un perno di scrittura rigorosa, limata, nelle pieghe della quale si possono leggere alcune delle righe più interessanti prodotte dalla letteratura del design degli ultimi cento anni.

Alessandro Mendini, Scritti di Domenica, Postmedia Books, 2016
Codice Mendini è una summa, un “canone” come l’ha brillantemente definito Lea Vergine ma non ci sono quasi persone in quelle pagine o se ci sono, sono personaggi, cioè persone “piegate” al palcoscenico della sua storia: figure letterarie o dell’arte, oppure gli anonimi artigiani incontrati nei suoi insospettabili viaggi. Scritti di domenica è invece una sorta di omaggio alle persone. Un mondo fatto di amici e non, di conoscenti e non, di colleghi e non. Uniti dall’essere oggetto di queste corrispondenze. Ma potrebbe anche funzionare così: da una parte l’elezione degli oggetti stessi a figure, a romanzi, come dice bene Irace, con le quali intrattenere un rapporto amoroso, personale, antropomorfizzante, che sembra quasi sostituirsi al bisogno umano. Dall’altra, nei suoi scritti, il ribaltamento delle persone in oggetti. O del privato in pubblico. Di cui non ci si può quindi scandalizzare, perché se arriva da lì, si sa che si può trattare solo di una promozione a un piano superiore di interesse squisitamente umano.
Alessandro Mendini, Scritti di Domenica, Postmedia Books, 2016
Perciò mi pare che questi due libri – Scritti di domenica e Codice Mendini – andrebbero letti quasi insieme. Non per capirci di più, ma per capire che se, come dice in uno dei passi più commoventi (p. 265) “per me quella di abitare è un’attività difficile”, dentro la spirale mendiniana si può sperimentare felicemente anche la difficoltà.
Alessandro Mendini, Scritti di Domenica, Postmedia Books, 2016

Sandro è tra i maestri – forse insieme a Ettore Sottsass, anche se in maniera profondamente distante – la penna migliore. È un comunicatore, prima ancora che un designer o un architetto. Eppure Mendini, credo di averlo già detto, non si può davvero e fino in fondo capire. Perché gli si farebbe un torto. È innegabilmente uno degli ultimi grandi maestri del design italiano, figura con la quale non ci si può non confrontare. Ma non si può studiare Mendini: non ha allievi, non ha quasi mai nemmeno insegnato, “non credo di avere dei messaggi da trasmettere unilateralmente”, come se non fosse un racconto foriero d’insegnamenti ogni suo tremolante segno impresso sulla carta o sul progetto. Eppure, con questo libro, si può studiare il design attraverso Mendini, magnificamente. È una persona che rimane in testa a chi ha avuto la fortuna di incrociarlo con una traccia di mitezza, educazione, galanteria che vanno citati perché doti genetiche coltivate ad arte. Eppure è uno dei più caustici, radicali, pungenti e sintetici osservatori delle debolezze umane e professionali rispetto alle quali ha sempre trovato un modo elegante di schierarsi coi guanti o prendere sobriamente le distanze. “Non un maestro, dai, se mai un maestrino”: così si salvano insieme la venerazione subita seppure schernita e quella stronzaggine, per sua stessa ammissione, un po’ tipica della vecchia borghesia milanese a cui appartiene, e che non trova nessun omologo oggi nei paraggi italiani. “Bisogna arrivare forse in Corea, dove mi fanno fare le cose che qui in Italia non mi chiede più nessuno e ho trovato un tipo di borghesia simile a quella da cui provengo, solo forse più ingenua e contadina” e dove, immagino, forse un giorno Alessandro Mendini sarà eletto eroe nazionale, potendo praticare indisturbato le sue inarrivabili utopie.

Come dire: quando ci sembra di avvicinarci a un Mendini, immediatamente ne fa capolino un altro, quasi sempre a sdrammatizzare o rimescolare le definizioni, con quella modestia ironica e un po’ snob che si può permettere solo chi ha imparato come si cammina su tutte le superfici, senza venirne risucchiato.

Alessandro Mendini, Scritti di Domenica, Postmedia Books, 2016
Scritti di domenica è una preziosa, seria e curata raccolta di testi che ci eravamo dimenticati (i suoi contributi “tipologici” per l’Abitare di Boeri, per esempio), che non conoscevamo (le lettere private, le interviste pubblicate chissà dove di cui lui ha meticolosamente tenuto traccia), che rileggeremo avanti e indietro, dalla fine all'inizio, saltando le pagine, e ogni volta trovandoci sorprese. Ma è anche un manuale di scrittura applicata al design. Si dice “poeti della domenica”, di quelli che – occupandosi di tutt’altro nella vita – ogni tanto estraggono carta e calamaio e si improvvisano scrittori. Niente di più lontano da Alessandro Mendini che, con questo titolo che descrive con precisione una pratica umana e una metodologia professionale che impiega da anni, ha deciso di immolare il giorno più sacro della settimana alla scrittura. E infine, sicuramente, la questione pudica, che alimenta anche il mito del Mendini un po’ sovrumano, un po’ in isolamento, santo o colpevole, che scrive – di domenica, appunto – una lettera al mondo là fuori.
Alessandro Mendini, Scritti di Domenica, Postmedia Books, 2016
“Chi è invece Alessandro Mendini?” – si chiedeva con teatrale, icastica, acutezza la critica d’arte Lea Vergine, alla presentazione milanese del libro appena pubblicato da Electa – concludendo, dopo una serie di meravigliose ipotesi, che Mendini “non è certo un santino del postmoderno come ci hanno voluto far credere”, ma è forse, infine, un personaggio drammatico. È vero: Mendini è la cifra drammatica nella commedia a lui tanto cara, è il motto di spirito che respinge il lutto, è la tristezza nell'ironia del kitsch, è l'impotenza nell'azione gulliveriana. Ed è anche il contrario. È un metodo per costruire utopie.
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