Superstudio. Opere 1966-1978, a cura e con un saggio introduttivo di Gabriele Mastrigli, Quodlibet, 2016, pp. 668
Documenti di un’architettura radicale
Il libro curato da Gabriele Mastrigli, in concomitanza con la mostra al MAXXI per i 50 anni di Superstudio, è destinato a diventare uno strumento essenziale per i futuri studi sul gruppo.
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- Beatrice Lampariello
- 20 maggio 2016
Negli ultimi 15 anni circa, numerose sono le pubblicazioni e le esposizioni, in Europa e in America, che hanno studiato, con rinnovato interesse e con una visione critica, quella che è stata definita, già nel 1971, Architettura Radicale [1], riaccendendo un dibattito, rimasto sopito per anni anche a causa dell’ostracismo di storici e intellettuali, sull’opera dei suoi principali esponenti: 9999, Archizoom, Remo Buti, Riccardo Dalisi, Ugo La Pietra, Gianni Pettena, Strum, Superstudio, Ufo e Zziggurat.
Ormai, nei saggi storici dedicati agli anni Sessanta e Settanta, l’Architettura Radicale è diventata un punto di riferimento essenziale anche per cogliere le ragioni dell’affermazione delle più recenti avanguardie architettoniche.
Il libro curato da Gabriele Mastrigli, pubblicato in concomitanza con la retrospettiva, curata sempre da Mastrigli al MAXXI di Roma in occasione del cinquantesimo anniversario della fondazione del gruppo Superstudio [2], s’inscrive in questa linea di ricerca ed è destinato a diventare uno strumento essenziale di orientamento per i futuri studi sul gruppo. Il libro raccoglie saggi, disegni e relazioni di progetti di architettura e design, fotomontaggi, fotografie inedite e apparati (regesto delle opere, lista degli scritti, degli stampati e delle esposizioni, bibliografia aggiornata, notizie biografiche) che consentono di ricostruire la storia di Superstudio dalla sua fondazione sino agli ultimi interventi della fine degli anni Settanta. Nonostante l’apparenza antologica, il volume propone una ricostruzione critica dell’opera di Superstudio, fondata su uno studio approfondito e dalla precisione archeologica dei documenti conservati presso gli archivi del gruppo e dei suoi membri (Gian Piero Frassinelli, Alessandro Magris, Roberto Magris, Adolfo Natalini, Alessandro Poli e Cristiano Toraldo di Francia). Fotografie e progetti combinati con testi dei quali sono segnalate le parti modificate in fase redazionale, rivelano come, dietro le immagini seducenti e dal forte impatto visivo prodotte da Superstudio sin dal 1968, vi sia in realtà un discorso più ampio e profondo incentrato sull’architettura e il suo destino.
La struttura dell’opera è impostata sulla suddivisione tematica e in progressione prevalentemente cronologica delle opere più importanti e note del gruppo. La scelta dei testi e dei progetti individua dei periodi significativi nell’arco temporale considerato, secondo una classificazione analoga a quella proposta da Natalini nel 1977 [3]; e dimostra come in un tempo brevissimo Superstudio sia riuscito a diventare un interprete fondamentale del dibattito internazionale in architettura, urbanistica e design, contribuendo a delineare nuove forme di intervento fondate su un impianto teorico e metaforico. Non compaiono invece nel libro i comunque pochi edifici realizzati da Superstudio che avrebbero potuto confermare l’applicazione di alcuni ragionamenti teorici anche nel campo della costruzione, e allo stesso tempo negare l’interpretazione erronea, e talvolta ancora presente, del gruppo quale mancato autore di architettura [4].
Le sezioni tematiche del libro illustrano il percorso teorico e progettuale del gruppo e le visioni, talvolta contrastanti, dei suoi membri. I racconti appassionati di Toraldo di Francia, Natalini e Frassinelli, e il saggio introduttivo del curatore, vasto e circostanziato al punto da spiegare l’opera di Superstudio sullo sfondo del contesto politico e culturale, i riferimenti e le relazioni con le altre avanguardie dell’Architettura Radicale, forniscono le interpretazioni essenziali per addentrarsi in una ricerca generata da una contaminazione critica di culture diverse. Così diventa evidente come dopo le prime opere improntate su forme, colori e procedimenti creativi derivanti dalla Pop Art, Superstudio si sia proiettato nella ricerca di altri orizzonti culturali e figurativi per procedere verso la generazione di una poetica che ha rinnovato principi e forme del design e dell’architettura tardo funzionalista.
È significativo in questo senso il racconto scritto attraverso vignette – “storyboard” secondo la definizione di Superstudio – elaborato per illustrare un Viaggio nelle regioni della ragione, e incentrato sulla riduzione delle opere disegnate o realizzate dal gruppo sino al 1968, a forme geometriche astratte prive di ogni connotazione funzionale. Il viaggio rappresenta una tappa fondamentale per la scoperta di un solido geometrico concepito al di là di ogni programma, indipendente da ogni logica strutturale contingente, espressione di una geometria capace di diventare l’immagine stessa della ragione: il Monumento Continuo. Questo solido rivestito con una superficie quadrettata che nulla rivela dell’interno, rappresenta la prima forma di un’architettura assoluta, o “disegno unico”, del quale gli Istogrammi d’architettura e il Catalogo di ville costituiscono le altre espressioni.
Ma la ricerca di Superstudio non si è arrestata all’invenzione di un modello di architettura totale applicabile a ogni scala e per qualsiasi funzione. I progetti “didattici” elaborati all’inizio degli anni Settanta per una Architettura riflessa e una Architettura interplanetaria dimostrano come il gruppo si sia orientato verso una dissoluzione dei limiti tradizionali dell’architettura, per procedere verso una sua rifondazione “non fisica” su basi antropologiche. “L’allegra morte dell’architettura non dovrebbe far paura a nessuno: è molto che ci prepariamo, distaccandoci sempre più dalla fisicità della costruzione”, scriveva Natalini nel 1971 [5]. Così lo studio dei riti e delle leggi che regolano il comportamento antropico costituisce il tema dell’ultima ricerca di Superstudio, quella messa a punto con le 12 Città ideali, gli Atti fondamentali, i Salvataggi di centri storici italiani e la Cultura materiale extraurbana. “L’unica architettura sarà la nostra vita”, proclamava il gruppo nel 1978 poco prima della sua dissoluzione [6].
1. Germano Celant, Senza titolo, in “IN. Argomenti e Immagini di design”, n. 2-3, marzo-giugno 1971, pp. 76-81.
2. “Superstudio 50”, mostra curata da Gabriele Mastrigli al MAXXI di Roma, 21 aprile–4 settembre 2016.
3. Adolfo Natalini, Com’era ancora bella l’architettura nel 1966, in Spazioarte, n. 10-11, giugno-ottobre 1977, pp. 6-11.
4. Si veda per esempio Stephen Wallis, The Super Superstudio Italy’s legendary radical design group never actually finished a building, and yet its hallucinogenic visions are still making waves, in “The New York Times Style Magazine”, 17 aprile 2016, p. 278.
5. Adolfo Natalini, lettera a Domus, 26 aprile 1971 (Archivio Natalini, Firenze).
6. La moglie di Lot e la coscienza di Zeno, La Biennale di Venezia 1978: Utopia e crisi dell’antinatura. Intenzioni architettoniche in Italia, catalogo della mostra, autoedizione, Venezia 1978.