Il general intellect del neomaterialismo

Neomaterialism di Joshua Simon ci evita di considerare il nuovo materialismo come una prospettiva minimalista e ci fa ripensare le professioni di curatore, architetto e artista in modo trasversale.

“Produrre se stessi sta diventando l’occupazione principale di una società in cui la produzione non ha più oggetto”, scrive il “Comitato invisibile” di The Coming Insurrection, che Joshua Simon, saggista oltre che direttore e primo curatore dei MoBY (Museums of Bat Yam, presso Tel Aviv), cita nel suo libro Neomaterialism. Il libro comprende articoli di Joshua, essenzialmente riguardanti la fisionomia contemporanea delle materie prime nella prospettiva dello sviluppo di un nuovo materialismo.
Nuovo materialismo in quanto corrente di pensiero che riguarda gli “oggetti” dell’ontologia, intensamente discussa e seguita in arte e in architettura negli anni recenti: il libro elabora sotto questa angolazione anche un’avanzata discussione teoretica sulla natura delle materie prime in quanto materializzazione dei rapporti sociali.
Joshua sviluppa una trattazione della qualità di materia prima da attribuire al lavoro flessibile, attraverso il confronto di argomentazioni e testi tratti – tra gli altri – da Marx, Lazaratto, Arendt, Latour, Dean, Graber, Marazzi, Harvey. Ciò che rende tanto più interessante questa discussione teoretica sul lavoro e sui materiali (per altro risalente al secolo scorso) sono gli esempi di Joshua a proposito di esperienze specifiche di rappresentazione che riguardano, oltre che l’attività curatoriale, installazioni e mostre d’arte e d’architettura.
In questo senso il libro presenta due prospettive degne di nota: un’approfondita discussione critica sulla scuola neomaterialista, che considera l’“oggetto”, ovvero la “cosa” come il prodotto di agglomerati sociali, secondo una recente prospettiva dell’economia. In secondo luogo Joshua elabora queste teorie nel quadro della sua attività di curatore e della produzione artistico-architettonica, in termini di circolazione delle materie prime e di mondo del precariato.
Poiché fin dall’inizio ogni articolo-capitolo è la prosecuzione del precedente, l’autore sviluppa le sue argomentazioni attraverso l’analisi dei mezzi di produzione dei materiali tramite la circolazione del capitale. Capitoli come “The Community and the Exhibition, Unreadymade” trattano dell’opera d’arte, della mostra in quanto materia prima e rappresentazione di come le cose coesistono. “Il precariato è il nuovo proletariato”, afferma l’autore alla fine del capitolo “The Overqualified”, in cui discute varie definizioni di lavoro correnti nella relativa letteratura, tra cui quella di general intellect o “intelligenza generale”, di “lavoro affettivo”, di “lavoro immateriale”, di “lavoro comunicativo”; e analizza la distinzione tra lavoro e professione non più valida nelle attuali condizioni del lavoro stesso. Poiché attualmente gli studi d’architettura che si fondano sull’assoluta schiavizzazione del lavoro immateriale, i curatori e gli artisti creano senza sosta lavoro precario, conviene analizzare la circolazione della “forma” dell’architettura e dell’arte tramite l’esperienza degli oggetti e dei materiali.
Neomaterialism è un libro che ci evita, dal punto di vista teoretico, di cadere nel pessimismo di considerare il pensiero del nuovo materialismo come una prospettiva minimalista, e che ci fa ripensare la professione di curatore, di architetto e di artista in modo trasversale, allo scopo di elaborare una critica nuova non solo dell’eredità modernista ma anche post-strutturalista della rappresentazione e del rapporto tra soggetto e oggetto (attraverso esempi di mostre, di forme architettoniche e di opere d’arte).

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