Figura appartata nella densa vicenda artistica della Venezia del novecento Mario Deluigi (1905-1978) ne risulta protagonista per la inesausta ricerca nel campo della pittura e per la contemporanea attività didattica svolta per lo più nella mitica scuola di architettura formatasi attorno a Giuseppe Samonà nel secondo dopoguerra.
Svelare proprio dall'angolazione di questa "vocazione" didattica quanto dipanatosi nella vita dell'artista è il racconto e l'analisi ben documentata che Giovanni Bianchi propone nel volume per le Edizioni del Cavallino frutto di estese ricerche e riflessioni che si sono giovate del riordino dei documenti dell'archivio privato custodito dalla figlia Caterina.
Accanto ai numerosi contributi che in anni recenti hanno messo a fuoco personalità e fatti partecipi della vicenda umana e artistica del nostro pittore, emerge con forza che l'approfondimento del suo proprio specifico ruolo non poteva essere più rinviato pena la parzialità del quadro di riferimento. Possiamo così riordinare esperienze e incontri, autori noti e opere realizzate sullo sfondo di profonde affinità intellettuali, nella prospettiva di una aggiornata interpretazione che tenga conto di plurimi contributi e non solo di visioni monografiche.
Non troveremo nel lavoro di Giovanni Bianchi ipotesi per letture manualistiche finalizzate a coltivare tecniche e i materiali; troveremo una vicenda biografica, quella di Mario Deluigi pressoché autodidatta, che si forma e si svolge cercando la propria "costruzione" negli anni '20 e '30 del novecento scoprendo il "moderno" e giovani compagni di strada ai quali accompagnarsi in questa avventura. Non per caso sarà Carlo Scarpa l'interlocutore privilegiato per tutta una vita. Una vicenda biografica che prende l'avvio dalla frequentazione saltuaria delle aule dell'Accademia di Belle Arti di Venezia negli anni in cui il magistero della tradizione tenuto da Ettore Tito veniva sostituito da quello più sperimentale di Virgilio Guidi (1925).
Arturo Martini a Venezia nei primi anni '40 per la cattedra di scultura vedrà bene in Mario e nel suo gruppo di amici il cenacolo di riferimento per discutere del rinnovamento delle arti e del fare plastica in un tremendo frangente esistenziale che porterà alla luce il famoso libello "scultura lingua morta".
Intenso e folgorante il rapporto con Martini, di cui Deluigi sarà assistente, vedrà disseminati nell'arco di pochissimi anni chiusi nell'atmosfera bellica, intenti e considerazioni che formeranno una generazione intera di giovani artisti presenti ai corsi: "sento che in questo piccolo gruppo c'è tanta purezza da spaventare le nevi del monte bianco" sarà questa la sensazione provata dal più vecchio maestro in una lettera di saluto.
Qui prende forza lo scandaglio di Giovanni Bianchi che scandisce il volume in quattro periodi. Il primo prende in esame gli anni tra il 1942-44 in cui Arturo Martini, assumendo la cattedra di scultura a Venezia, impone il giovane Deluigi quale suo assistente a titolo gratuito non essendo questi iscritto al partito fascista.
La verifica del più noto, documentato ed eccezionale rapporto con lo scultore alla luce del parallelo e duraturo scambio epistolare con il pittore Severini è l'originale contributo che il lavoro di Bianchi conduce.
Il secondo periodo esaminato mette a fuoco l'esperienza della "Scuola libera di Arti Plastiche" fondata nel 1946 a Venezia da Deluigi, Carlo Scarpa e Antongiulio Ambrosini durata lo spazio di un mattino.
Curiosa palestra di corsi autogestiti aperti ad un pubblico da troppi anni digiuno di aggiornamento internazionale, riprende e sistematizza quando si andava facendo pochi anni prima nelle due gallerie d'arte contemporanea cittadine: la galleria Cardazzo e la Piccola galleria Nonveiller. Così si alternano contributi sulla storia dell'arte, dell'architettura, di poesia, letteratura e musica ad opera di prestigiosi relatori.
Una visione totale dell'arte con serate di recitazione e concerti cui parteciperà, invitato, anche Giuseppe Samonà dissertando sul tema: "considerazioni critiche sull'architettura contemporanea", e che sicuramente influirà positivamente nel particolare progetto didattico messo a punto per l'Istituto Universitario di Architettura di Venezia che in questi mesi prende l'avvio.
Ma questa è storia ormai nota.
Nella sua ricerca pittorica frattanto l'artista, entrato in contatto con gli spazialisti milanesi dal 1947, perviene nei primi anni '50 ai suoi personalissimi "grattages", sintesi conseguente a tanta speculazione teorica e testi definitivi nella sua biografia artistica. Su questa linea procederà copiosa e matura la produzione degli anni successivi vissuti a contatto con le maggiori personalità dell'architettura internazionale in transito per Venezia nonché indispensabile collaboratore alle iniziative di Bruno Zevi e Giuseppe Mazzariol. Il volume di Bianchi documenta la sintonia con Zevi nel seguire gli studenti nella realizzazione di plastici didattici in occasione della mostra a Roma per il quarto centenario michelangiolesco. Bepi Mazzariol, committente illuminato di Le Corbusier e L.Khan, negli anni '60 sarà l'amico e il sostegno critico del lavoro artistico di Deluigi; le vicende della Biennale del '68 fermeranno l'ottimismo fiducioso di entrambi impegnati nella ricerca di un "filo rosso" dell'arte moderna nel Veneto.
Quarto e ultimo periodo documentato è quello relativo alla creazione del Corso di Disegno Industriale a Venezia, pionieristica iniziativa veneziana tutta racchiusa tra Istituto d'Arte e volontariato di giovani architetti ed intellettuali veneziani.
Alla fine e per breve tempo l'attività della nuova Università Internazionale dell'Arte, voluta a Venezia da Mazzariol con finalità anche pratiche nel campo del restauro, vede "Mario il Mago", così definito da Manlio Brusatin come nel racconto di Thomas Mann, ancora all'opera nelle soffitte di Palazzo Fortuny, costante presenza per gli studenti.
E il cerchio si chiude sulla vicenda umana dell'artista ma non sul lascito critico che decine di allievi hanno serbato nella frequentazione didattica e sulla sua opera pittorica: "solo ora nell'era del colore digitale percepiamo il segreto della dimensione dialettica del colore che è stato completamente di Deluigi". (M. Brusatin, AA.VV., Deluigi. Scarpa. Viani, Milano 2006, pag. 8.) Luigi Guzzardi