Percorsi della fotografia in Italia, Maria Antonella Pelizzari, Contrasto Edizioni, Roma 2011 (pp. 187, € 25)
Photography and Italy, Maria Antonella Pelizzari, Reaktion Books, London 2011 (pp. 187, UK 15.95, US $ 29.95)
Lewis Baltz, con il suo corrosivo gusto del paradosso, ipotizzò una volta che la gran fanfara che accompagnò il centocinquantenario della nascita della fotografia nel 1989 andasse invece considerata la cerimonia funebre di un linguaggio assassinato e sepolto sotto la sua stessa ideologia. "Nel 1990", scrisse, "pareva che il mondo in un certo senso, fosse già finito. Cioè che si fosse sottratto alla nostra comprensione. Dopo il 1990 nessuno aveva tempo per le immagini di documentazione, men che meno io…". [1]
Le parole di Baltz vengono alla mente mentre si legge Photography and Italy, la prima opera storica del genere scritta in venticinque anni. Pubblicato nel pieno del dibattito sull'identità di questo linguaggio e nel corso delle celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell'unità nazionale italiana, il libro di Maria Antonella Pelizzari è un'impareggiabile opera di ricerca che promette di suscitare domande importanti su un piano più generale. Si possono ancora creare narrazioni culturali fondate sul concetto canonico di 'fotografia' come rappresentazione, autorialità e tecnologia? È ancora produttivo parlare di 'Italia' in una prospettiva di internazionalizzazione e deterritorializzazione crescenti?
Una risposta di fatto a queste domande viene direttamente dal contesto in cui Photography and Italy nasce. Il libro è il più recente di una collana tematica pubblicata dalla Reaktion Books sul rapporto tra fotografia e altri mondi, compresi l'arte (letteratura, cinema), le nazioni e i continenti (Australia, Egitto, Africa, Stati Uniti) e settori del pensiero e della prassi umani (spiritualismo, scienza, volo) e uscirà il mese prossimo in edizione italiana per Contrasto edizioni. Dopo mezzo secolo di storie generaliste – come The History of Photography di Beaumont Newhall, concepita alla fine degli anni Trenta e ancora abbondantemente ristampata, The Picture History of Photography di Peter Pollack (1958) e A World History of Photography di Naomi Rosenblum (1984) – negli anni Ottanta alcuni storici, in particolare francesi, iniziarono a rendersi conto che nessuna voce individuale avrebbe mai potuto dar conto della crescente quantità di temi e di dati scoperti in Europa e in America nei decenni precedenti. A New History of Photography di Michel Frizot (1998) è un esempio calzante, con i contributi di oltre trenta specialisti che forniscono prospettive molteplici sui fondamenti sociali, culturali e politici di questo linguaggio. In modo più tradizionale l'Encyclopedia of Nineteenth-Century Photography (2007), l'Encyclopedia of Twentieth-Century Photography (2005) e l'Oxford Companion to the Photograph (2007) sono venuti più recentemente a colmare le lacune dello strumentario bibliografico di base degli storici della fotografia.
Photography and Italy
Nata in origine in lingua inglese, è ora in uscita in edizione italiana per Contrasto la prima panoramica sulla storia della fotografia in Italia.
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- Antonello Frongia
- 30 settembre 2011
In queste rassegne la fotografia italiana è generalmente mal rappresentata, soprattutto a causa del tradizionale carattere policentrico del paese e della carenza di studi generali sull'evoluzione moderna della sua cultura visiva. Photography and Italy appare in equilibrio tra l'esigenza di una narrazione unitaria e la recente tendenza storiografica alla moltiplicazione delle impostazioni e delle prospettive. Ben scritta in una prosa nitida ed essenziale, è una monografia a pieno titolo, equamente basata su ricerche originali e sulla letteratura più aggiornata. Il libro è organizzato cronologicamente intorno a poli tematici: il peculiare incontro di tecnologia e archeologia ("Immagini moderne di un mondo antico"), l'affermazione dello Stato nazionale ("Mitologie risorgimentali"), le contraddizioni dell'industrializzazione ("Il matrimonio della pietra e dell'acciaio"), la democratizzazione della pratica fotografica ("Dilettanti e professionisti"), l'articolazione delle avanguardie dal Futurismo al fascismo ("Modernità italiana"), l'etica del Neorealismo ("Narrazioni postbelliche"), il lento delinearsi dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta di una prospettiva sperimentale, autoriflessiva, orientata in senso concettuale ("I margini dell'inquadratura") e la nuova ricerca dell'identità e del Sé ("Alienazione e appartenenza").
Secondo Maria Antonella Pelizzari gli otto capitoli disegnano "una narrazione non lineare, inconsueta e a volte, interessante proprio per le sue contraddizioni" (p. 9). Contemporaneamente danno un contributo al più generale territorio di studi tematici elaborato a livello internazionale negli ultimi decenni, che solleva temi di autorialità, di genere, di politica, di colonialismo e di ambito sociale. Le precedenti ricerche di Pelizzari testimoniano la sua lunga predilezione per questi temi, con particolare attenzione alla rappresentazione dello spazio e dell'architettura, e la sua partecipazione a progetti di collaborazione.
Professore associato presso il dipartimento d'Arte dello Hunter College e presso la scuola di perfezionamento della City University di New York, alla fine degli anni Ottanta Pelizzari si è dedicata ad analizzare la fotografia degli "spazi borghesi" delle città italiane dell'Ottocento. In seguito ha pubblicato vari saggi ed è stata curatrice di varie opere collettive, tra cui un numero sull'Italia dell'Ottocento della rivista History of Photography (1996), il volume Traces of India: Photography, Architecture, and the Politics of Representation (2003) e un numero speciale di Visual Resources sulle "intersezioni tra fotografia e architettura" (con Paolo Scrivano, 2011).
Quella che inizia a prender forma tra le righe di questa storia è la mappa di una modernità italiana 'alternativa' ai grandi Stati nazionali e industriali dell'Ottocento.
In Photography and Italy la tensione contemporanea tra identità e dispersione lascia un segno sulla storia stessa della fotografia italiana. "Paradossalmente", afferma Pelizzari nell'introduzione, "ciò che rende 'italiana' questa storia è il suo carattere policentrico, e perfino in qualche modo straniero" (p. 7). L'intero libro si struttura intorno all'idea che le pratiche fotografiche in Italia si siano sviluppate in risposta a una varietà di forze centrifughe, che prosperavano in assenza del ruolo centralizzato dello Stato moderno. Da un lato la tipica frammentazione della struttura urbana del paese (le cosiddette "cento città", ciascuna contraddistinta dalla sua storia e dalla sua cultura) è stata per i fotografi dell'Ottocento una risorsa incomparabile, sia in termini di soggetti (soprattutto monumenti e opere d'arte) sia dal punto di vista economico (per la domanda locale di ritratti e di documenti visivi). D'altro lato la presenza costante di fotografi internazionali e di acquirenti stranieri in tutte le più ricche città del Grand Tour favorì la crescita di un mercato dedicato al turismo, che alla lunga influì sul modo di vedere e di rappresentare il paese. Sullo sfondo lo Stato italiano restava parecchio indietro rispetto agli altri Stati d'Europa sia nel promuovere campagne fotografiche sia nel provvedere a un sistema unitario di norme sulla proprietà intellettuale e sulla riproduzione delle immagini.
E quindi, mentre Firenze, Roma e Milano si distinsero ben presto come i centri più dinamici di progresso economico e intellettuale, la cultura e l'immaginario dei fotografi del XX secolo furono altrettanto influenzati da città periferiche come Senigallia, Palermo e Modena, o da regioni come la Basilicata e il Friuli Venezia Giulia. E mentre i Fratelli Alinari e Mario Giacomelli ebbero un ruolo importante nella costruzione di immagini della nazione particolarmente suggestive per il pubblico internazionale, personaggi come Frédéric Flacheron, il conte Primoli, Elio Vittorini, Cesare Zavattini e Luigi Ghirri (per citarne solo alcuni) elaborarono visioni originali a partire dalla loro esperienza internazionale ed ebbero spesso un ruolo fondamentale nel creare un collegamento tra la fotografia e altre pratiche rappresentative, tra cui la pittura, la letteratura e il cinema.
A partire da queste premesse Photography and Italy ribalta la prospettiva 'essenzialista' di studi fondamentali pubblicati negli anni Ottanta e Novanta, come Il modo di vedere italiano di Giulio Bollati e La percezione visiva dell'Italia e degli italiani di Federico Zeri. Pelizzari, ampliando la sua ricerca al contesto degli oggetti fotografici – compresi i luoghi di scambio intellettuale (dibattiti, riviste, associazioni) e i canali di 'consumo' (studi, mostre, giornali, libri) – ridefinisce certi caratteri della modernità incarnati dalla prassi fotografica fin dalla sua comparsa nell'epoca del Romanticismo: la rapidità della creazione e della circolazione dei modelli visivi (per quanto stereotipati e falsificati), l'internazionalizzazione della competenza professionale, lo scambio intellettuale reciproco tra attività artistiche e professionali, la frammentazione, la riproduzione e la dispersione delle immagini.
Quella che inizia a prender forma tra le righe di questa storia è la mappa di una modernità italiana 'alternativa' ai grandi Stati nazionali e industriali dell'Ottocento. La fotografia italiana, si potrebbe aggiungere, subì lo svantaggio di una base economica più limitata a paragone degli Stati Uniti; di un ruolo più ristretto dello Stato a paragone della Francia; di un'innovazione tecnologica più lenta a paragone della Germania. E tuttavia, suggerisce Pelizzari, la peculiare versione italiana della modernità fotografica si delineò a livello sovrastrutturale nella "ripetizione di inquadrature iconiche e formulaiche, a rischio di cancellare le trasformazioni moderne e dinamiche di un paese in via di formazione" (p. 169, corsivo mio). È precisamente il rischio cosciente della ripetizione con lievi varianti a sostenere il mercato della fotografia dell'Ottocento; e fu spesso la sua immagine speculare (polemica o ironica che fosse) a nutrire l'immagine novecentesca dell'Italia (il grido di Marinetti "Uccidiamo il chiaro di luna!" del 1909 può ben aver avuto come bersaglio i romantici montaggi della Venezia notturna che erano in circolazione da oltre trent'anni).
La disamina di Maria Antonella Pelizzari compare in un momento cruciale del dibattito sul ruolo della fotografia nel passato e nel futuro della cultura pubblica italiana. Nonostante la tendenza internazionale a un riassorbimento della fotografia nella sfera dei "linguaggi della visione" e dell'arte in generale, in Italia una concezione modernista di questo linguaggio come pratica rappresentativa distinta negli ultimi vent'anni si è riaffermata, non tanto sul piano teorico quanto attraverso un'invasione di riviste, di festival, di gallerie, di fiere e di editori di fotografia. Sporadici tentativi di ringiovanimento sono venuti dal Museo di fotografia contemporanea di Cinisello Balsamo, presso Milano, aperto pochi anni or sono con un convegno internazionale sul tema La fotografia è contemporanea?. Nel frattempo sono stati annunciati progetti per un nuovo "museo della fotografia" collegato al Museo d'Arte Contemporanea di Roma (MACRO). La questione resta se un museo (come qualunque altro spazio culturale) del XXI secolo concepito intorno alla parola 'fotografia' – a prescindere dalla qualità e dall'originalità dei pezzi che conserva – debba mirare a divenire un negozio d'antiquariato, un archivio potenzialmente infinito della modernità oppure un dinamico luogo di informazione e di confronto per gli artisti come per il pubblico.
Photography and Italy, pur non intendendo porsi come modello per direttori e curatori, fornisce informazioni utili e materia di riflessione sul modo in cui questioni analoghe sono state affrontate nel passato. Forse più semplicemente, ma con altrettanta rilevanza, ci ricorda che i buoni storici, come i buoni fotografi, i buoni curatori, i buoni critici e i buoni cittadini, sono coloro che possiedono la capacità di innovare la comprensione di ciò che vediamo, o non vediamo. Per dirlo con le parole di Pelizzari, anche "in un mondo totalmente mappato e rappresentato" la lotta "per scoprire un nuovo linguaggio, superando la ridondanza di ciò che è stato rappresentato e raccontato, e sfidando la conoscenza codificata di ciò che è stato immaginato deve proseguire". (p. 169).
NOTE:
1. Lewis Baltz. Opere/Progetti, documentazione della mostra a cura di Roberto Margini, Civici Musei di Reggio Emilia, 30 novembre 1991-5 gennaio 1992.