Architetture invisibili. L’esperienza dei luoghi attraverso gli odori, Anna Barbara, Anthony Perliss Skira, Milano 2006 (pp. 224 euro 33,00)
L’olfatto, nonostante la sua apparente inadeguatezza a una corretta restituzione tridimensionale, è un avamposto sensoriale che può svelare con largo anticipo la natura di un luogo: anche se in modo inconscio, è possibile attraversare realtà invisibili, stabilendo nuovi perimetri e percorsi, anche dove i muri non ci sono, lasciando che il rapporto tra esterno e interno sia aggiornato costantemente dagli aromi sospesi nell’aria. Tutto ciò crea una nuovissima percezione che, paradossalmente, definire tridimensionale diventa riduttivo. Si tratta piuttosto di un flusso dinamico di molecole, che trasporta informazioni e sensazioni, velocemente recepite e elaborate dall’olfatto e dal nostro cervello, registrate poi in un vastissimo database che ne codifica anche le più flebili sfumature: una sorta di archivio della memoria che scatena improvvisi déjà vu, odori che rimandano a momenti spazio temporali che appartengono al nostro passato, anche il più remoto. Fatta questa premessa e sdoganato il valore progettuale dell’olfatto, è lecito chiedersi quale sia l’odore dell’architettura: o meglio, se possa esistere una progettualità dell’odore di un luogo. Anna Barbara e Anthony Perliss tentano di dare una risposta a queste domande con un viaggio tra l’architettura dell’odore e l’odore dell’architettura, a cominciare dalla definizione del naso come strumento di misura articolato e complesso: una macchina composta di cavità, ossa turbinate, spirali, mucose e recettori sensoriali. Le narici sono un vero e proprio “molo di carico di aria e odore”, che trasferiscono informazioni attraverso messaggi elettrochimici che viaggiano sui nervi olfattivi. Non a caso, la prima parte del viaggio affrontato dagli autori riguarda la morte e la simultaneità di due desideri, l’allontanamento dell’odore del trapasso, crudele e violento nel processo di putrefazione, e l’urgenza di poter comunque venerare i propri defunti attraverso rito e emozione: dall’imbalsamazione degli egizi alla tumulazione, fino alla cremazione, i processi di cristallizzazione e allontanamento della morte anticipano poi un’architettura di contorno che diventa nuova dimora. La morte e il suo odore, obbligato anche quando inaccettabile, sono quindi elementi che acutizzano inconsciamente l’ansia a circondarsi di profumi: magari saccheggiando dal materiale olfattivo archiviato nella nostra memoria e amplificandolo. Anche nel quotidiano, senza necessariamente affrontare la morte, odori sgradevoli possono determinare reazioni progettuali. Come Gaetano Pesce, che nel progetto della Casa di Bahia, oltre a immaginare muri in gomma capaci di vibrare come le onde del mare, decide di sostituire nella lavorazione del caucciù la repellente ammoniaca con sciroppo di ginepro. L’esperimento è limitato a un espediente tecnico, per rimediare a un semplice fastidio olfattivo, ma genera comunque nuove esperienze sensoriali all’abitante che vivrà la casa. In tal senso, è sicuramente più interessante verificare la determinazione di un luogo attraverso un odore: il profumo della cera e dell’incenso appartiene alla sacralità delle navate di una chiesa, l’odore di disinfettante ai corridoi di un ospedale. In questo caso gli odori sono conseguenza di una funzione, sfuggono quindi da una definizione progettuale e assumono il ruolo di “icone odorose”. L’Osmic Gate di Clino Trini Castelli è il progetto dell’ingresso a un circolo di golf segnato da un percorso in legno di pino norvegese impregnato di creosoto: un antitarmico ma anche un odore che appartiene all’immaginario delle ferrovie di una volta, ne erano infatti intrise le traversine in legno dei binari. Può esistere quindi una progettualità sensoriale, non sempre consapevole, fatta spesso di contaminazione tra mondi apparentemente distanti. Per comprendere meglio questo aspetto, gli autori hanno provocato appuntamenti inusuali, avvicinando mondi apparentemente distanti, stimolando dialoghi inattesi sulla magia dell’odore. Per esempio, l’architetto Philippe Rahm ha incontrato il profumiere Maurice Roucel all’interno delle catacombe di Parigi, oppure il progettista Elizabeth Diller si confronta con Roger Schmid, un’autorità nel mondo delle fragranze, al Meatpacking District di New York, l’antica zona dei mattatoi: e ancora, la designer Petra Blaisse incontra Martin Gras, (inventore del profumo Cerruti 1881) dentro uno dei mulini a vento di Zaanse a Amsterdam. Nascono così riflessioni sospese tra quanto scientificamente provato nei laboratori e inconsciamente archiviato nella memoria: oltre a una galleria vastissima di episodi sinergici tra luoghi e odori, esposti nel susseguire dei capitoli del libro, questi dialoghi diventano punti di partenza per la ricerca di nuovi ingredienti progettuali, dove il linguaggio della profumeria si sovrappone al gesto dell’architettura in una forma di esperanto sensoriale. Proseguendo nel solco di quanto immaginato da Richard Neutra, che nel 1949 già scriveva: “Dovremmo quindi rivolgere tutta l’attenzione possibile a tutti gli aspetti non visivi dell’ambiente”. Odori compresi.
Massimiliano Di Bartolomeo Architetto