di Roberto Dulio
Architettura è Louis I. Kahn, gli scritti, Maria Bonaiti, Electa, Milano 2002 (pp. 178, euro 27,00)
Introdotti da un saggio di Maria Bonaiti, e tradotti da Francesco Dal Co, sono ora disponibili anche in italiano gli scritti più significativi di Louis Kahn. Accompagnati da un raffinato e selezionatissimo apparato iconografico, si susseguono articoli, interventi (uno tenuto al Politecnico di Milano nel 1961) e lezioni: una serie di riflessioni che seppure lontane dal costituire un apparato teorico compiuto, intento estraneo alla scrittura di Kahn, appaiono essenziali per meglio comprenderne l’attività progettuale. Il primo scritto inserito nell’antologia, The Value and Aim in Sketching, è immediatamente precedente a “Modern Architecture. International Exhibition”, la nota mostra del MoMA del 1932, che avrebbe costituito un obbligato confronto per gli architetti americani. Significativamente le riflessioni di Kahn sul disegno inteso come strumento conoscitivo vengono pubblicate su T-Square Club Journal (May 1931), la rivista, il cui titolo sarà mutato l’anno successivo in Shelter, della cui redazione facevano parte Buckminster Fuller, George Howe, e sulle pagine della quale – nonostante la più complessa e ambigua posizione dello stesso Howe, le cui opere erano inserite nella mostra del MoMA – era abbastanza evidente lo sforzo di mantenere una certa indipendenza dalle suggestioni dell’avanguardia europea che la mostra promuoveva.
Kahn si colloca quindi in un ambito che manifesta da subito un atteggiamento problematico nei confronti dei dettami dell’International Style, a cui Henry-Russel Hitchcock e Philiph Johnson avevano dato corpo nell’omonimo libro (1932), o per lo meno agli slogan che la ricezione di un pubblico allargato riconduceva semplicisticamente a quel testo. E in effetti un tema, che costituirà una costante di revisione dell’ortodossia modernista, come quello della monumentalità, diventa l’oggetto del successivo scritto di Kahn raccolto in questo volume: Monumentality (1944). Il seguente contributo inserito nell’antologia, Order is (1955), arriva a più di dieci anni di distanza. È proprio a partire da questo breve testo che Kahn inaugura, secondo l’autrice, “la serie di scritti che hanno accompagnato costantemente, d’allora in avanti, la sua opera architettonica”. Ma il saggio di Bonaiti si sofferma attentamente anche su quei dieci anni di ‘silenzio’, che risultano fondamentali per comprendere i successivi sviluppi.
Dal 1945 Anne Tyng inizia la sua collaborazione con Kahn; il suo contributo nella ricerca senza sosta di un principio di verità, quasi mistico, su cui fondare l’architettura è sicuramente influente su Kahn, come dimostrano anche le lettere recentemente raccolte in Louis Kahn to Anne Tyng. The Rome Letters 1953-1954 (1997). Così che alcuni progetti, come quello per la City Tower di Philadelphia (1952-57), rimandano all’interesse della Tyng per la geometria sottesa al mondo organico e inorganico, e la ricerca di analogie tra la forma della natura e quella dell’architettura, riallacciandosi in questo senso anche al cosiddetto movimento tecno-organico, e per altri versi ad alcune ricerche di Fuller.
Ma, precedentemente all’incontro con la Tyng, Kahn aveva iniziato la frequentazione assidua di Howe, con cui nel 1940 costituiva un sodalizio professionale. Nonostante il rapporto di lavoro tra Kahn e Howe si interrompa nel 1942, i due continueranno a frequentarsi ed appoggiare le rispettive carriere. È proprio grazie a Howe che durante tutti gli anni Quaranta filtrano su Kahn, pochissimo affascinato dalla lettura, certi influssi delle teorie spengleriane, nei quali si precisa meglio, secondo le parole dello stesso Howe, l’idea dell’architettura come “produzione di significant form”. A questo punto, tra il 1950 e il 1951, Kahn trascorre circa due mesi a Roma, ospite della American Academy. Tale periodo rappresenterà uno dei punti fondamentali della sua biografia, e su di esso Bonaiti pone giustamente l’accento, anche simbolicamente, scegliendo di aprire e chiudere l’antologia degli scritti dell’architetto americano con una lettera e una cartolina scritte da Kahn ai suoi collaboratori dello studio professionale durante quel soggiorno romano. L’interpretazione storiografica ricorrente tende a collocare l’interesse di Kahn per l’architettura antica alla tradizione Beaux-Arts. Anche il recente libro di Sarah Williams Goldhagen Louis Kahn’s Situated Modernism (2001), al cui valore documentario frequentemente si riferisce spesso la stessa Bonaiti, tende a minimizzare l’importanza del soggiorno romano, e a collocare tali interessi di Kahn, oltre al riferimento Beaux-Arts, ad un clima intellettuale tutto americano.
Bonaiti sostiene invece, e in maniera convincente, che la lezione romana abbia un peso rilevante sul lavoro e sugli scritti di Kahn. Accompagnato dall’archeologo americano Frank Brown, Kahn visita le rovine dell’architettura romana, di cui coglie l’essenza di spazio atto ad “ospitare e nutrire i riti”, le institutions – come Brown le definisce nel suo Roman Architecture (1961) – della vita quotidiana di una società. Queste considerazioni, unitamente all’idea di significant form di Howe, che quando si trovava a Roma nel 1947 aveva singolarmente insistito perché anche Kahn lo raggiungesse, fanno ben comprendere come la tappa romana possa risultare fondamentale sul piano ideale. Certo la matericità dell’architettura romana, colta durante le visite dirette, così come la “celebrazione del fare umano” filtrata dalle stampe di Piranesi, costituiscono un elemento di influenza anche formale, la cui ascendenza è però manipolata in maniera sapiente e mediata da una profonda sensibilità moderna. Per accorgersene basta osservare il Sher-e-Bangla Nagar di Dacca (1962-74).
Dall’ideale mistico condiviso inizialmente con Anne Tyng, Kahn passa alla fine degli anni Cinquanta ad un piano propriamente etico. L’antologia dei suoi scritti accompagna questo percorso; Roma, o meglio le sue institutions, ne sono lo sfondo: “Il mio progetto a Dacca – afferma Kahn – si ispira alle Terme di Caracalla, anche se è molto più grande. Gli spazi residui delle terme sono un anfiteatro, uno spazio trovato, una corte. Attorno vi sono giardini e nel corpo dell’edificio, ovvero nell’anfiteatro, vi sono gli interni e negli interni vi sono giardini a livelli diversi, luoghi che rendono omaggio all’atleta e luoghi che onorano la conoscenza del modo in cui l’uomo è stato creato. Tutti questi sono luoghi di benessere e di riposo, luoghi in cui ci viene consigliato come vivere per sempre…”.
Roberto Dulio, architetto
Louis Kahn alla ricerca della verità
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- 07 gennaio 2003